Georg Groddeck Parte VI: Buon compleanno Mr. Groddeck! (Simmel, 1926)

Georg Groddeck a metà degli anni '20 (fonte: Georg Groddeck Gesellschaft)




Michele M. Lualdi  
Traduzione in spagnolo (a cura di Juan Vicente Gallardo Cuneo, ALSF-Chile)

Se i precedenti contributi giustificano una parziale diffidenza verso le principali ricostruzioni biografiche delle vicende inerenti alla partecipazione di Groddeck al congresso psicoanalitico del 1920, è lecito porsi una precisa domanda: Groddeck pronunciò realmente la famosa frase “Sono un analista selvaggio”, oppure si tratta solo di un altro elemento puramente aneddotico, se non “mitologico”?

La perentoria affermazione si trova citata già nella prima biografia di Groddeck, quella dei Grossman: non solo ne costituisce l’incipit (Grossman, Grossman, 1965, 13), ma dà forma anche al suo titolo, The Wild Analyst. Da lì (si veda in particolare Grossman, Grossman, 1965, 95) passa poi praticamente in tutti gli studi successivi: in entrambi i resoconti di Grotjahn (Grotjahn, 1966a, 264 – tradotto in italiano con “analista allo stato brado”; Grotjahn, 1971, 152), in Clark (Clark, 1980, 417) e in Gay (Gay, 1988, 369), fino ai più recenti Martynkewicz (Martynkewicz, 1997, 260) e Alt (Alt, 2016, 650).

Basta poi ricercare in internet l’accoppiata “Groddeck” “analista selvaggio” per constatare quanto l’abbinamento è diffuso: nel momento in cui scrivo, mi risultano quasi 2000 risultati (ai quali si dovrà ora aggiungere il presente scritto…).

Ma a dispetto di una tale diffusione del dato, o forse proprio per questo, risulta difficile comprovarlo con una fonte affidabile e di prima mano. Per una sorta di empirica proporzionalità inversa, per cui tanto più una conoscenza è diffusa, quanto meno sembra necessario o addirittura sensato indicarne l’origine, finisce che di quest’ultima si perdono le tracce. Se però consideriamo che nella più recente monografia su Groddeck leggiamo: “Sembra che egli abbia esordito con l’affermazione autoironica: ‘Sono un analista selvaggio’” (Martynkewicz, 1997, 260, corsivo mio), la nostra domanda iniziale appare giustificata: la frase fu davvero pronunciata oppure è solo un ‘si dice che’? Da dove origina questa notizia?

Tra tutti i biografi, gli unici a offrire qualche buon appiglio sono i Grossman, che riportano un lungo brano di un articolo di Ernst Simmel in cui l’autore ricorda tra l’altro “quel giorno, al congresso de L’Aia, quando [Groddeck] salì sul palco per proclamare: ‘Sono un analista selvaggio’” (Grossman, Grossman, 1965, 166). Fonte preziosa questa, in quanto, a differenza di tutti i biografi citati, Simmel è testimone oculare degli eventi che narra: partecipa al congresso de L’Aia del 1920, per giunta esponendo la propria relazione, Sulla psicoanalisi del giocatore, nella stessa giornata di Groddeck (Anonimo,1920, 379). Sarebbe dunque voce affidabile quella di chi, a soli 6 anni di distanza, ricorda accadimenti cui ha assistito.

Ma di che articolo si tratta? Qui i due biografi non ci sono di grande aiuto. Ci dicono che comparve, in occasione del sessantesimo compleanno di Groddeck (1926), sul “Journal” (Grossman, Grossman, 1965, 165), ma non si preoccupano di meglio specificare cosa intendono con tale dicitura. Di certo non l’International Journal of Psycho-Analysis, fondato nel 1920 e diretto da Ernest Jones, nella cui settima annata non si fa alcuna menzione del compleanno di Groddeck. Purtroppo le cose non migliorano scorrendo la bibliografia del volume, da cui anzi veniamo a spere che i due autori non hanno consultato nessun Journal, recuperando invece l’articolo di Simmel da una sua ristampa-traduzione curata da Mary Collins (una paziente di lunga data di Groddeck poi divenuta amica di famiglia e traduttrice dei suoi lavori; Martynkewicz, 1997, 316):

“Simmel Ernst, ‘Birthday Message,’ reprinted in The Unknown Self, trans. By M. E. Collins, Vision Press, New York, 1959” (Grossman, Grossman, 1965, 210, corsivo degli autori).

Anche Grotjahn, nel suo contributo del 1966, riprende un breve passaggio di Simmel:

[Groddeck] Si era orgogliosamente e polemicamente definito ‘analista brado’ e, in occasione della festa per il suo sessantesimo compleanno, Ernst Simmel aggiunse: [segue uno stralcio di circa sei righe con le parole di Simmel]” (Grotjahn, 1966a, 268)

Dalla sua estrema sintesi non si coglie certo che Grotjahn si accinge a riportare il testo di un articolo e non una semplice constatazione di Simmel, chissà come e grazie a chi sopravvissuta al tempo. Solo il raffronto tra l’edizione inglese di Grotjahn (Grotjahn, 1966b, 315) e il volume dei Grossman ci conferma che egli non fa altro che riprendere parola per parola una piccola parte di quanto dell’evanescente scritto citano i due precedenti biografi. E infatti in bibliografia inserisce il testo di questi ultimi ma nulla di Simmel.

L’unico altro autore che torna sull’omaggio di Simmel per il sessantesimo compleanno di Groddeck è Martynkewicz, ma non nella narrazione degli eventi del congresso de L’Aia e non come fonte della frase di cui ci stiamo occupando: da lui, come da Grotjahn, letti singolarmente, non potremmo mai dedurre che trovando questo articolo potremmo avere tra le mani una risposta credibile (e positiva!) alla nostra domanda. In ogni caso Martynkewicz, oltre a riassumerne una breve parte, indica, pur con qualche imprecisione, la rivista su cui comparve: Internationale Psychoanlytische Zeitschrift [1] (Martynkewicz, 1997, 306). Imprecisione che peraltro non trova rettifica nemmeno nella nota bibliografica associata, da cui anzi veniamo a sapere che egli non ha consultato la rivista in questione ma la ristampa dell’articolo contenuta nel volume di Groddeck, Der Mensch und sein Es (Martynkewicz, 1997, 373 n. 64).

Riassumendo abbiamo: 1) i Grossman, che ci parlano di un articolo di Simmel, analista presente al congresso del 1920, in cui è confermata la realtà dell’affermazione di Groddeck. Dal loro volume però non si riesce a risalire direttamente al testo originario dell’articolo, a meno di non voler passare per la tappa intermedia di The Unknown Self, con la speranza di trovarvi lumi; 2) Grotjahn, dalla cui sintetica citazione di Simmel non afferriamo né che si tratti di un suo articolo né che lì vi sia un qualche riferimento utile alla nostra indagine: dunque del tutto inutile; 3) Martynkewicz, dal quale, esattamente all’opposto dei Grossman, otteniamo qualche informazione in più sulla fonte dell’articolo ma, come per Grotjahn, non potremmo mai sapere che tale articolo ha a che fare con l’oggetto della nostra ricerca. Se non altro, fortunatamente per noi, le indicazioni che egli ci dà sono sufficienti per capire quale rivista si debba concretamente interrogare: l’Internationale Zeitschrift für Psychoanalyse.

Mettendo assieme i vari cocci arriviamo dunque alla meta: e nel quarto fascicolo della dodicesima annata (1926) della Zeitschrift troviamo infine lo sfuggente tributo di Simmel per il sessantesimo compleanno di Groddeck. E sì, una rapida scorsa conferma che contiene il racconto della famosa frase di Groddeck: “Sono un analista selvaggio”.

Dunque, per lo meno su questo accadimento che ha finito per caratterizzare così tanto l’immagine di Groddeck, abbiamo trovato ragionevoli conferme, una fonte di prima mano… cosa che rende ancora meno comprensibile la scelta di Martynkewick il quale, nonostante citi espressamente come i Grossman l’articolo di Simmel e sia per giunta l’unico dei biografi a indicare il testo originale in tedesco, risulta anche il solo a mettere in dubbio la realtà del dato! (Mentre, come abbiamo visto nei precedenti contributi, non va altrettanto cauto con altri dettagli della ricostruzione privi invece di valide conferme documentali…).

Vista la significatività di questa fonte per le nostre indagini propongo di seguito la traduzione del tributo di Simmel, che ci offre tra l’altro un’occasione per ricordare la vivace e genuina personalità di Groddeck.

Faccio precedere due considerazioni. La prima è che nemmeno in questo articolo compare l’aneddoto sul gioco di parole “Eye/I” che, stando a Grotjahn, sarebbe stato raccontato da Simmel a proposito di Groddeck e sulla cui fonte già ci siamo interrogati: la domanda è destinata a rimanere ancora aperta.

La seconda e più consistente riflessione riguarda un errore commesso da Simmel in un preciso passaggio dell’articolo: nel momento in cui deve indicare il primo scritto psicoanalitico di Groddeck, Condizionamento psichico e trattamento psicoanalitico delle affezioni organiche (Groddeck, 1917), lo confonde con il breve abstract in cui questi riassume la propria conferenza tenuta al congresso del 1920, Sul trattamento psicoanalitico delle malattie organiche (Groddeck, 1920). L’interesse di questa sovrapposizione è proprio nel suo creare un falso nesso tra lo scritto del 1917 e gli eventi del 1920. In un precedente contributo si è argomentato sull’assenza del vero e proprio testo della conferenza del 1920 e di come diversi elementi dei resoconti offerti dai vari biografi sul suo contenuto non trovino solide conferme nella documentazione disponibile. La cosa curiosa è che tali elementi si potrebbero in parte agilmente riferire proprio al lavoro del 1917. Grotjahn e Martynkewicz parlano di una conferenza contenente libere associazioni (Grotjahn, 1971, 152; Martynkewicz, 1997, 261) e con esse inizia il saggio del 1917 (Groddeck, 1917, 14-7 e poi ancora 30 e segg.); Alt parla invece di confessioni intime (Alt, 2016, 650), che ritroviamo effettivamente nelle associazioni libere riferite da Groddeck nel 1917. Ancora, tra i contenuti della conferenza i Grossman indicano la presbiopia (Grossman, Grossman, 1965, 97), Grotjahn e Martynkewicz l’enuresi notturna (Grotjahn, 1971, 152; Martynkewicz, 1997, 261): ebbene, le ritroviamo entrambe nel saggio del 1917 (Groddeck, 1917, 20 e 32); lo stesso dicasi per la constatazione del duplice valore dei sintomi come difesa e realizzazione del desiderio proibito, di cui per la conferenza del ‘20 parlano i Grossman e, sulla loro scorta, Clark (Groddeck, 1917, 36; Grossman, Grossman, 1965, 97; Clark, 1980, 417). Quanto poi all’affermazione che la conferenza avrebbe disturbato l’uditorio, riferita dai Grossman, da Clark e da Alt (Grossman, Grossman, 1965, 97; Clark, 1980, 417; Alt, 2016, 650), essa rischia di suonare come una decontestualizzazione e una reificazione del semplice timore espresso da Groddeck nel saggio del 1917:

“Mi aspetto che questa relazione sorprenda spiacevolmente anche gli analisti (non tutti)” (Groddeck, 1917, 41).

Come possibile sorgente di confusione, si aggiunga poi che questo scritto di Groddeck mostra diversi punti in comune con il saggio del 1921 Sulla psicoanalisi dell’organico nell’uomo, questo sì realmente e concretamente legato alla conferenza del 1920: non si tratta solo del tema generale affrontato, ma anche di riferimenti specifici come quello al significato dei problemi della vista (Groddeck, 1917, 19-20) e del raffreddore da fieno (Groddeck, 1917, 34), indicato nel testo del 1921 come “ipersensibilità del naso”, o la constatazione che l’Es impiega per la difesa dai conflitti inconsci, a seconda dei casi e delle possibilità, il sintomo fisico o quello psichico (Groddeck, 1917, 28). Si può infine facilmente constatare come la frase iniziale del saggio del 1921 altro non sia che la continuazione di quella di chiusura del 1917. Se infatti quest’ultimo termina sulla considerazione che:  

“La psicoanalisi non deve arrestarsi di fronte alle affezioni organiche, né lo farà, e un giorno conosceremo in tutta la sua ampiezza l’ambito in cui essa esercita il suo potere” (Groddeck, 1917, 41).

Lo scritto di quattro anni successivo si avvia dichiarando:

“La ricerca psicoanalitica ha ampliato di anno in anno il proprio territorio. Finora tuttavia l’organico nell’uomo è rimasto per essa un tabù, benché ogni singolo psicoanalista sia stato costretto di quando in quando a entrare nell’area consacrata dalla parola ‘organico’. Da dove origini questo timore sacro meriterebbe un’indagine. Tuttavia vale più la pena oltrepassare il confine e dare un’occhiata alla terra proibita (corsivo mio).

Si coglie forse così un’ulteriore fonte, oltre a quella già ipotizzata (la conferenza tenuta da Groddeck nel 1925 a Berlino) del racconto tramandatosi degli eventi del 1920 e si rafforza la sensazione di trovarsi di fronte a una ricostruzione che condensa in sé elementi in realtà da ricondurre a tempi e luoghi diversi e che altri ne fraintende (come potrebbe essere per il timore di Groddeck di spiacere agli analisti con le sue parole, trasformato nella concreta reazione di questi, per giunta in altro contesto).

La parola ora a Simmel, uno degli analisti che, insieme con Ferenczi e pochi altri, fu tra i primi a riconoscere il valore e la validità di questo audace pioniere.


Georg Groddeck, per il sessantesimocompleanno [2]

[591] Il 13 ottobre 1926 Georg Groddeck ha compiuto sessant’anni. Nulla gli sarebbe certo più sgradito del fatto che in questa occasione i suoi colleghi – secondo la prassi – gli facessero gli auguri in quanto “festeggiato” per una simile ricorrenza. Lo sappiamo: Groddeck detesta tutto ciò che sa di corporazione, quand’anche essa si riunisca al solo scopo di rendergli onore. Se proprio volessimo ringraziarlo per il fatto che dal suo operato sono derivati al movimento psicoanalitico progressi in una ben precisa direzione, di certo accoglierebbe anche tale ringraziamento solo con qualche parola autoironica. Infatti a lui non interessa in prima battuta la psicoanalisi, né come movimento né come scuola, ma l’essere umano in sé, in particolare l’essere umano nella difficoltà della sua malattia.

L’impulso ad aiutare questi ha fatto diventare Groddeck medico e gli ha fatto anche trovare la via per la psicoanalisi. Egli è stato infatti da sempre consapevole della parzialità di un certo modo di essere medico, che nulla sa della vita psichica di chi soffre nel corpo. Applicando le conoscenze e le esperienze psicoanalitiche in ambito somatico ha creato un ponte dallo psichico al fisico, quale fondamento di un nuovo trattamento dei malati e soprattutto di un nuovo modo di essere medico. Egli si è opposto a un mondo di pregiudizi, specialmente tra colleghi, con la peculiarità e l’originalità del suo sapere. – Al contempo ha curato qualche “incurabile”.

Certo anche oggi, nel pieno del lavoro pratico, Groddeck non è orientato a guardare indietro, ma del tutto in avanti, ai problemi ancora da risolvere. Per questo il suo 60° compleanno dà tanto poco a lui quanto a noi occasione per una tranquilla retrospettiva, qualcosa come un riconoscimento bibliografico dei suoi scritti. Se ciononostante commemoriamo qui questo giorno, è più per il bisogno di [592] autoriflessione su ciò che noi, la psicoanalisi e soprattutto le presone malate dobbiamo a quest’uomo.

* 

Quando noi soci dell’Associazione Psicoanalitica Internazionale pensiamo a Groddeck, torniamo naturalmente con il ricordo al giorno in cui per la prima volta si presentò personalmente alla nostra cerchia, al congresso de L’Aia. Salì sul palco degli oratori e dichiarò: “Sono un analista selvaggio”. E in ciò aveva ragione. Solo che la parola “selvaggio” va qui intesa in un senso diverso da quello nel quale la impieghiamo abitualmente, [ossia] per indicare quegli “psicoanalisti” che, senza formazione ma anche senza avere compreso un minimo dello spirito della psicoanalisi, ardiscono avvicinarsi alle persone psichicamente sofferenti in qualità di terapeuti. In quanto socio del nostro movimento, a Groddeck piace definirsi selvaggio perché non ha da ringraziare altri che se stesso per la propria formazione. Gli piace chiamarsi selvaggio anche per un temperamento [3] appassionato, che vuole aiutare anche dove altri rinunciano o nascondono la loro impotenza dietro i fittizi servigi di una diagnostica “esatta” [4]. Questo temperamento è la fonte di quell’“essere selvaggio” [5] che grazie al suo talento unico ha permesso a lui – un fanatico dell’arte della cura – di mettere le scoperte di Freud dello psichico-inconscio al servizio della lotta contro le malattie fisiche. L’essere selvaggio di Groddeck è però anche coraggio [6] che conosce solo il perseguimento di un obiettivo, ossia la verità senza riserve, la cui incarnazione per lui è Freud. – Selvaggia, lo sappiamo, è anche la sua ira, con cui combatte una vetusta terapia medica che prima di Freud poneva al centro del progetto curativo, per medico narcisismo, il medico invece del malato [7]. – Noi non crediamo sia lecito prendersela con un siffatto essere selvaggio se, come in Groddeck, vi va associata un’innata e assai talentuosa maestria.

Mentre noi altri siamo e dobbiamo essere impegnati con solerzia ad apprendere tutto ciò che in psicoanalisi è stato ed è continuamente realizzato da Freud e, nella nostra ‘scuola’, ossia nelle nostre Società, a discutere, a chiarire e di nuovo a insegnare, – mentre noi dobbiamo avere e dare ‘linee guida’ per il nostro agire terapeutico, – Groddeck può rinunciare a ciò, poiché quello che egli stesso ottiene in sommo grado con i malati fisici resta finora senza precedenti. – A lui si addice perfettamente l’affermazione coniata una volta dal filosofo Georg Simmel sulla differenza tra artista e scienziato: “Lo scienziato vede qualcosa perché lo conosce – l’artista conosce qualcosa perché lo vede”. Così noi conosciamo o cerchiamo di conoscere ciò che [593] possiamo apprendere studiando. Groddeck vede e conosce senza [la necessità di] questa deviazione. Egli stesso sottolinea sempre quanto si sente lontano da ogni “specialità scientifica”. E se certamente i suoi libri, anche in senso convenzionale, non sono “scientifici”, ha comunque ragione Freud quando, ne “L’Io e l’Es”, afferma che Groddeck “dichiara invano di non avere nulla a che fare con la scienza rigorosa ed elevata” [8]. In realtà egli è per lei più importante di quanto lui stesso non voglia ammettere.

Infatti noi “esperti” non possiamo più rinunciare alle conoscenze che Groddeck ci trasmette. “Il libro dell’Es”, un’unica variazione sull’importante tema: come la totalità del corpo, quello malato come quello sano, sia uno strumento della psiche – questo libro, che rappresenta il precipitato di molte osservazioni e di un’incondizionata dedizione alle persone malate, di certo non viene ancora sufficientemente stimato da noi quanto a ricchezza dei punti di vista terapeutici. In questo e nei suoi altri libri, Groddeck ha messo nero su bianco un’abbondanza di conoscenze intuitive. A noi, in quanto “scuola”, il dovere di elaborare sistematicamente queste conoscenze e così aiutare a preparare quella generazione medica che Groddeck si aspetta da una nuova scienza medica globale, creata per mezzo della psicoanalisi [9].

Egli stesso si è certamente conquistato un posto tra i grandi della medicina grazie alla sua opera rivoluzionaria. Ha dato alla psicoanalisi di Freud, quando ancora era disprezzata e bandita sul suo terreno d’origine, lo psichico, diritto di cittadinanza nella fisioterapia.

Ma corro qui il pericolo di dare un dispiacere a Groddeck parlando ancora, secondo il vecchio uso, di psicoterapia e medicina organica. Infatti dal 1916, da quando è apparso il primo [10] libriccino di Groddeck, “Sul trattamento psicoanalitico della malattie organiche” [11], non possiamo più contrapporre la psiche al corpo. Infatti per Groddeck una malattia psichica è medicina “organica” tanto quanto ogni paronichia [12] è un’affezione psicogena.

Con questo approccio al problema della guarigione [13] e questo tipo di concezione della vita, ci sembra ovvio che Groddeck doveva venire a conoscenza della psicoanalisi. Andiamo dunque a trovare, già nel suo libro “Nasameku – l’uomo malato e il sano” [14], affermazioni che attestino un’intima affinità con le nozioni e formulazioni di Freud. Dell’essere malato in generale afferma: “Non vedo alcuna possibilità di definire ‘scientificamente’ la parola [‘]malato[’]; mi si conceda dunque di giudicare personalmente: malato è per me colui che è compromesso nella propria efficienza e malato si considera[15]. E della guarigione dalla malattia afferma: “Non noi siamo gli artefici della guarigione, perché lo è la vita stessa. Lo riconosciamo tranquillamente e in tutta consapevolezza; poiché così come [594] siamo servitori della natura, ne siamo anche i maestri” [16]. In questo è stata propria di Groddeck fin dal principio, nel suo atteggiamento personale verso il malato, la modestia del vero esperto, insieme con quell’orientamento di vedute che abbiamo appreso da Freud. [Orientamento] per il quale nulla, ma proprio nulla del malato è trascurabile; nessuna delle modalità o delle manifestazioni del suo essere gli appare così irrilevante da non doverla valutare in rapporto al complesso, ossia la personalità malata. Così Groddeck se la prende nel suo “Nasameku” con “la sciocca serietà dell’esperto” [17], che fa a pezzi l’unità del corpo con le sue nozioni specialistiche [18], e afferma con il medesimo piglio: “Quale che sia un vero calzolaio, egli pensa che le dita dei piedi dell’uomo siano inutili zavorre, la cui esistenza è giustifica solo dal fatto che grazie alla suola degli stivali vengono incurvate verso l’alto e rese inservibili per camminare” [19]. – “La diagnosi”, ha al contempo detto, “deve comprendere l’intera persona oltre alle sue condizioni di vita[20]. La diagnostica non deve però diventare un raffinato fine in sé e servire soltanto il narcisismo del medico: “Un medico che parli della diagnosi davanti al malato dimostra di non essere un buon medico, ma solo di voler essere ritenuto tale” [21]. Quanto giustamente valuti Groddeck, nonostante l’importanza di un sapere specialistico, lo mostra il seguente commento, da un lavoro di questa rivista (1920): “Una visione unilaterale”, vi si afferma, “va bene se di tanto in tanto si cambia il punto da cui si osserva” [22].

Chi, come l’autore di queste righe, ha avuto la fortuna di conoscere da vicino, durante una visita di qualche giorno a Marienhöhe [23], passeggiando piacevolmente nella Foresta Nera del Baden con il dottor Groddeck, la personalità di quest’uomo, riconoscerà con ammirazione quanto la sua stessa vita sia un’opera d’arte. Tutte le sue dichiarazioni, scritte od orali, si tratti di poesie o di nozioni mediche, la modalità complessiva del suo agire medico, sono frutti coerenti di una personalità intuitiva, travolgente e artisticamente creativa.

Augurerei volentieri a molti analisti simili visite a Groddeck. Da lui verrebbero arricchiti, per il loro faticoso lavoro con il malato, in coraggio, fiducia, responsabilizzazione, e di fronte alle difficoltà esteriori [24] del loro esercizio professionale guadagnerebbero ancor più in termini di libertà interiore e di indipendenza. Infatti “liberi”, ha detto una volta, “sono quelli che credono in se stessi perché non temono la responsabilità” – e questa considerazione non vale per nessuno più che per lo stesso Groddeck. E proprio un movimento [595] come il nostro, quello psicoanalitico, che ha sempre da imporsi contro un mondo di resistenze, ha bisogno di uomini del genere.

Se noi psicoanalisti gli porgiamo oggi il nostro saluto, non può che essere lo stesso con cui egli ha a suo tempo dedicato il proprio libro “Nasameku” al suo maestro Schweninger [25]: “Al medico e all’uomo”. Infatti Groddeck incarna in sé ciò che pretende dagli altri: una speciale forma di impiego, nell’essere medico, dell’essere uomo.

Ernst Simmel

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Bibliografia

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Simmel E., GeorgGroddeck zum sechzigsten Geburtstage. In Internationale Zeitschrift der Psychoanalyse, 1926 (XII), 4 Heft, 591-5.


[1] L’imprecisione è già nell’edizione originale tedesca.

[2] Titolo originale: Simmel E., Georg Groddeck zum sechzigsten Geburtstage. In Internationale Zeitschrift der Psychoanalyse, 1926 (XII), 4 Heft, 591-5. Nel testo, i numeri tra parentesi quadre si riferiscono alle pagine dell’originale. Con i corsivi rendo ciò che nell’originale è riportato a caratteri distanziati. Tutte le parentesi quadre sono mie. In merito ad alcuni punti proporrò un raffronto tra la mia traduzione e quella inglese della Collins, citata dai Grossman e da Grotjahn.

[3] L’elemento selvaggio del carattere di Groddeck è colto bene anche da Ferenczi, che proprio in risposta alla lettera circolare del 15 marzo 1925 citata nella Parte IV, in cui Max Eitingon, Karl Abraham e Hanns Sachs riferiscono dello “sgradevole” comportamento di Groddeck durante la conferenza a un congresso psicoanalitico tenutosi a Berlino, così commenta il 18 aprile: “Venirgli incontro in qualche modo lo renderebbe malleabile; minacciarlo con qualche paragrafo di certo lo renderebbe più selvaggio [verwildern]” (Ferenczi, Freud, 2005, 39). Mi sfugge in parte il senso di ciò che traduco con “minacciarlo con qualche paragrafo” (originale: “Das Drohen mit Paragraphen”). Può darsi che chiarimenti possano venire dalla lettura completa della lettera circolare del 15 marzo 1925, che tuttavia non sono riuscito a recuperare. Avanzo l’ipotesi che la proposta di Eitingon, Abraham e Sachs fosse di sanzionare Groddeck avvalendosi di qualche paragrafo della costituzione dell’Associazione psicoanalitica internazionale, ma la questione rimane al momento aperta.

[4] Questo è il solo passaggio riportato da Grotjahn e che come detto si trova, identico, nel testo dei Grossman. Lo riporto qui dapprima nella versione inglese, poi nella traduzione italiana del saggio di Grotjahn e infine nell’originale tedesco, di modo che si possano valutare le differenze tra le varie traduzioni e la loro aderenza all’originale.

Così dunque Collins-Grossman-Grotjahn: “Groddeck may be permitted to style himself ‘wild’ – in relation to the movement of which he is a supporter – in the sense that he owes his training to no one but himself. He may also be termed ‘wild’ by virtue of his passionate temperament, which impels him to action where others throw up a case as hopeless or disguise their real helplessness under the cover of ‘accurate diagnosis’” (Grossman, Grossman, 1965, 167; Grotjahn, 1966b, 315).

Di seguito invece la resa italiana del passaggio: “A Groddeck può essere concesso di definirsi ‘selvatico’ a proposito del movimento di cui si fa sostenitore, nel senso che la sua formazione la deve esclusivamente a se stesso. Lo si può però definire ‘selvatico’ anche a motivo del suo temperamento impulsivo, che lo spinge all’azione anche là dove altri abbandonerebbero un caso definendolo disperato oppure celando la propria impotenza dietro l’etichetta di una ‘precisa diagnosi’” (Grotjahn, 1966a, 268).

Infine l’originale tedesco: “Groddeck mag sich als wild bezeichnen – als Mitglied unserer Bewegung, weil er seine Ausbildung niemand anderem als sich selbst verdankt. Er mag auch wild heißen als ein leidenschaftliches Temperament, das helfen will, auch wo andere resignieren oder ihre Ohnmacht hinter den Scheinmaßnahmen einer ‚exacten‘ Diagnostik verbergen” (Simmel, 1926, 592).

Tralascio un raffronto puntuale tra le traduzioni, limitandomi a segnalare un grossolano errore storico, consistente nel definire Groddeck un supporter/sostenitore del movimento psicoanalitico. Egli infatti nel 1926 ne era socio (Mitglied) a pieno titolo già dai sei anni, essendo stato accolto nella società psicoanalitica tedesca (si veda ad es. Anonimo, 1926, 145).

[5] “Wildheit” nell’originale. Sostantivo che riprendere l’aggettivo “wild”, qui reso con “selvaggio”. Purtroppo in italiano non è possibile (come invece in inglese, che possiede l’aggettivo “wild” e il sostantivo “wildness”, naturalmente impiegati dalla Collins; Grossman, Grossman, 1965, 167) conservare la stessa radice nel passaggio da aggettivo a sostantivo, se non parzialmente, impiegando “selvatichezza”, che tuttavia rimanda con maggior immediatezza a “selvatico” e non a “selvaggio”. Considerata la centralità dell’aggettivo “selvaggio” in questo scritto e soprattutto nella diffusione italiana della figura di Groddeck come analista selvaggio (e non selvatico), ho preferito dunque per “Wildheit” ripiegare sulla resa “essere selvaggio”, di modo da meglio conservare la radice comune con l’aggettivo.

[6] Anche questa considerazione la possiamo ritrovare nella lettera di Ferenczi del 18 aprile 1925, sopra segnalata. Giusto poco prima del passaggio citato scrive infatti: “… ma veramente l’arroganza è in lui soltanto eccesso di coraggio, che non gli manca” (Freud, Ferenczi, 2005, 39).

[7] Riecheggia qui forse un passaggio dello scritto di Groddeck presentato nel contributoprecedente, Sulla psicoanalisi dell’organico nell’uomo: “I due fattori che guidano il trattamento psicoanalitico e che sono decisivi nella sua applicazione, resistenza e transfert, sono noti da sempre nella terapia organica, se così si può dire. In realtà… le conseguenze del transfert sono state descritte [dai medici] a totale soddisfazione della propria perfezione”.

[8] Simmel virgoletta: “vergeblich beteuert – er habe mit der gestrengen, hohen Wissenschaft nichts zu tun”. In realtà il testo preciso di Freud è: “vergebens aus persönlichen Motiven beteuert, er habe mit der gestrengen, hohen Wissenschaft nichts zu tun” (Freud, 1922a, 251). Simmel elimina dunque quello che sembra essere un accenno di interpretazione, da parte di Freud, della dichiarazione di Groddeck, dovuta a suo dire “a motivi personali” (“aus persönlichen Motiven”). La traduzione nel testo è mia. In OSF il passaggio suona: “[per motivi personali,] si ostina invano a dichiarare di non avere nulla a che fare con la scienza, nel suo significato più rigoroso ed elevato” (Freud, 1922b, 486).

[9] Di nuovo, forse, un’eco dello scritto di Groddeck presentato nel contributo precedente in cui, subito dopo il passaggio sopra ricordato, Groddeck auspica: “Questa teoria [del transfert e della resistenza], la più importante delle sue [di Freud] dal punto di vista pratico, può diventare forse l’unico bene comune per tutti i medici; essa dovrà diventarlo e per questo lo diventerà”. In ogni caso, il desiderio di contribuire con la psicoanalisi alla formazione medica era un tema sentito negli anni ‘20. Ne parlano ad esempio anche Sándor Ferenczi e Otto Rank, forse non a caso entrambi ammiratori di Groddeck. Solo pochi anni prima di questo scritto di Simmel infatti, nel loro lavoro a quattro mani del 1923, Traiettorie di sviluppo della psicoanalisi, affermano: “attendiamo da un massiccio addestramento analitico di tutti i medici un sostanziale progresso di tutta la medicina. C’è addirittura da aspettarsi che il sapere psicoanalitico, ossia il sapere sull’essere umano, diventerà un punto di convergenza di tutto il sapere medico…” (Ferenczi, Rank, 1923, 116).

[10] Quello che Simmel va a citare non è in realtà il primo volume pubblicato da Groddeck, né in assoluto, né dedicato espressamente alla tematica del rapporto psiche-soma. È tuttavia il primo lavoro in cui viene fatto esplicito riferimento a Freud e alla psicoanalisi. In precedenza erano apparsi: Ein Frauenproblem, Naumann, Leipzig, 1902 (i Grossman indicano erroneamente come anno di pubblicazione il 1903; Grossman, Grossman, 1965, 208); Ein Kind der Erde, Hirzel, Leipzig, 1905; Die Hochzeitdes Dionysos, Pierson, Dresden, 1907 (1906 secondo i Grossmann; Grossman, Grossman, 1965, 208); Hin zu Gottnatur, Hirzel, Leipzig, 1909; Der Pfarrervon Langewiesche (novella in 5 puntate per il giornale Frankfurter Allgemeine Zeitung, 1909); Tragedie oderKomödie. Eine Frage an die Ibsenleser, Hirzel, Leipzig, 1910; Natura SanatMedicus Curat, Hirzel, Leipzig, 1913, che verrà più avanti citato dallo stesso Simmel. Oltre a questi volumi sono da segnalare numerosi articoli tra cui: il saggio di 26 pagine (sua tesi di laurea; ringrazio Michael Giefer per questa informazione) “Über das Hydroxylamin und seine Verwendung in der Therapie der Hautkrankheiten” (Buchdruckerei der “Post”, Kayssler  Co., Berlin, 1889) e “Die Frau” (Der Volkserzieher, 1909 (13), 137-42). La bibliografia dei lavori di Groddeck che conclude il suo volume Schriften zur Psychosomatik riporta per il periodo 1889-1916 altri 23 articoli qui non elencati (Groddeck, 1966, 389-90); infine il recente volume di Groddeck, Ketzereien, Stroemfeld, Frankfurt a. M., 2014, contiene 37 lavori scritti da Groddeck come autore unico o coatuore tra il 1889 e il 1908.

A quanto mi risulta solo il primo di questi scritti è attualmente disponibile in italiano. Una prima edizione era uscita nel 1980 per i tipi della milanese Guanda, l’anno scorso SE, casa editrice anch’essa di Milano, ne ha proposta una nuova edizione, segno forse di un rinnovato interesse per questo autore troppo spesso dimenticato. Le traduzioni italiane di Nasamecu (Celuc Libri, Milano, 1982) e de Il pastore di Langewische (Studio Tesi, Pordenone, 1990) a quanto mi risulta sono oggi fuori catalogo, ma se si è fortunati se ne può trovare una copia usata online.

[11] Simmel commette qui altre due imprecisioni. La prima ha a che fare con l’anno di pubblicazione del breve volume (32 pagine nell’edizione originale), che non è il 1916 ma il 1917; la seconda è nell’indicazione del titolo: al posto di “PsychischeBedingtheit und psychoanalytische Behandlung organischer Leiden, Simmel riporta “Über die psychoanalytische Behandlung organischer Krankheiten”, che è in realtà il titolo del contributo presentato da Groddeck nel 1920 al Congresso psicoanalitico de L’Aia (Groddeck, 1920, 399). Per la discussione di questo equivoco, rimando alla mia introduzione.

[12] Infezione del tessuto periungueale.

[13] Qui e successivamente rendo con “guarigione” i due sostantivi “Heil” e “Heilung”. Personalmente avrei sentito come più adatto l’italiano “cura”, ma a trattenermi da questa scelta è stata la considerazione che Simmel sta per parlare di un preciso volume di Groddeck (si veda nota successiva) in cui l’autore distingue nettamente l’azione guaritrice della natura e quella curativa del medico. Egli stesso, in un passaggio del testo, traduce il motto latino “Natura sanat, medicus curat” con: “Die Natur heilt, nicht der Ärzt, er behandelt” (Groddeck,1913, 100-1). Essendo dunque posta da Groddeck, in questo contesto, l’equivalenza tra il tedesco “heilen” (da cui “Heil” e “Heilung”) e il latino “sanare”, ho preferito conservarla anche in italiano.

[14] Più precisamente: Groddeck G., Natura sanat, medicus curat. Der gesunde und kranke Mensch gemeinverständlich dargestellt, Hirzel, Leipsig, 1913 (https://archive.org/details/bub_gb_VscsAQAAMAAJ/page/n3/mode/2up). Nasamecu (o, come preferisce Simmel, Nasameku) è appunto l’acronimo di “Natura Sanat, Medicus Curat”.

[15] Di nuovo Simmel cita con alcune imprecisioni. Scrive infatti: “Ich sehe keine Möglichkeit, das Wort krank ‘wissenschaftlich’ zu definieren; so gestatte man mir, persönlich zu urteilen: Krank ist für mich, wer an seiner Leistungsfähigkeit geschädigt ist und sich für krank hält”. Groddeck invece: “Ich sehe keine Möglichkeit das Wort krank wissenschaftlich zu definieren. So gestatte man mir persönlich zu urteilen. Krank ist für mich, wer an seiner Leistungsfähigkeit geschädigt ist und sich für krank hält” (Groddeck, 1913, 17). Come si vede, dunque, non vi sono termini in corsivo, l’avverbio “wissenschaftlich” non è virgolettato e la divisione in periodi è leggermente differente.

[16] La chiusa della citazione lascia forse un poco perplessi quanto a consequenzialità logica. Ciò è però imputabile a Simmel, che cita Groddeck in modo impreciso e tralasciando elementi chiarificatori che si trovano subito prima e subito dopo nel testo originale. Scrive infatti Simmel: “Nicht wir sind die Heilkünstler, da es das Leben selbst ist. Das erkennen wir an, ruhig und selbstbewußt; denn wie [594] Diener der Natur sind, sind wir auch ihre Meister”. Groddeck invece (in corsivo la parte ripresa da Simmel, di cui si potranno notare le differenze): “Aber sind wir darum schlechter, weil wir anerkennen: nicht wir sind die Heilkünstler, da, das Leben selbst ist es? O nein, wir erkennen das ruhig an, ruhig und selbstbewußt. Denn wie wir Diener der Natur sind, sind wir auch ihre Meister. Wir leben und handeln nach dem stolzen Wort des Königs: Ich bin der erste Diener des Staats. Das Leben aber ist größer als der Staat. Und nicht Höheres weiß ich als Arzt sein” (Groddeck, 1913, 236, corsivo mio). Che traduco: “Forse che siamo peggiori perché riconosciamo: [‘]non noi siamo i maestri della cura, poiché la vita stessa lo è[’]? Oh no, questo lo riconosciamo tranquillamente, tranquillamente e in tutta consapevolezza, Infatti così come siamo servitori della natura, ne siamo anche maestri. Viviamo e agiamo secondo il fiero detto del Re: [‘]Io sono il primo servitore dello Stato[’]. La vita è però più che lo Stato. E non conosco nulla di più elevato che essere medico”.

[17] Groddeck, 1913, 38.

[18] Di nuovo il pensiero corre al volume di Ferenczi e Rank, precisamente alla diretta prosecuzione del passo sopra citato: “C’è addirittura da aspettarsi che il sapere psicoanalitico, ossia il sapere sull’essere umano, diventerà un punto di convergenza di tutto il sapere medico e che riuscirà a portare a una standardizzazione di questa disciplina resa tanto frammentaria dall’eccessivo incremento di specializzazioni” (Ferenczi, Rank, 1923, 116, corsivo mio). Oggi modificherei quello “standardizzazione” (Vereinheiltichung) con “uniformazione”.

[19] Groddeck, 1913, 21. Minime le differenze tra la citazione di Simmel e il testo originale. Non viene riportato un “nämlich” (infatti), dopo “meint” (qui reso con “pensa”) ed è impiegato il singolare “Sohle” (suola) al posto del plurale (“Sohlen”).

[20] Groddeck, 1913, 48. Simmel impiega qui un più netto “soll” (deve), rispetto a Groddeck che scrive “sollte” (dovrebbe). I corsivi sono di Simmel, non di Groddeck.

[21] Groddeck, 1913, 48. Benché tra virgolette, si tratta qui decisamente più di una parafrasi che di una vera e propria citazione. Scrive infatti Simmel: “Ein Arzt, der vor dem Kranken von der Diagnose spricht, beweist, daß er kein guter Arzt ist, sondern nur dafür gehalten werden will”. Mentre Groddeck, più diffusamente: “Mir ist stets unverständlich gewesen, warum ein Arzt von Laien seiner Diagnosen wegen gepriesen wird. Dieses Lob beweist ja, daß er kein guter Arzt ist, sondern nur dafür gehalten sein will, daß er zu viel spricht. Denn was geht den Kranken die Diagnose an? Gar nichts.” Ossia: “Per me è sempre stato incomprensibile perché un medico venga decantato dai profani per le sue diagnosi. Questa lode dimostra anzi che egli non è un buon medico, ma solo che tale vuol essere considerato. In che senso la diagnosi riguarda il malato? Assolutamente in nessuno” (Groddeck, 1913, 48). Il brano precede immediatamente quello subito prima citato da Simmel.

[22] Frase di chiusura di Groddeck, 1920 (Groddeck 1920, 227). La citazione è letterale tranne che per i corsivi, che sono di Simmel.

[23] Marienhöhe è la clinica aperta il 6 marzo 1900 poco fuori Baden-Baden da Groddeck, con l’aiuto della sorella Lina, (Martynkewicz, 1997, 158-9). Se ne può vedere un’immagine qui.

[24] “äußeren” nell’originale, che rendo con “esterne” per evidente contrapposizione alla libertà interiore (“innerer”), subito dopo citata. Chi confronti con la versione inglese della Collins (perlomeno per come riportata dai Grossman), troverà l’aggettivo “tremendous”, suppongo per confusione con “äußersten” (estremo).

[25] Schweninger Ernst. Per evidente refuso, nell’originale si ha “Schwenniger”.

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