Georg Groddeck Parte IV: Sul trattamento psicoanalitico della malattie organiche (L'Aia, 1920)

 

Gruppo del Laocoonte (fonte: wikimedia)


Michele M. Lualdi
Traduzione in spagnolo (a cura di Juan Vicente Gallardo Cuneo, ALSF-Chile)

Se ora, dopo il lungo percorso del precedente post, ci chiediamo cosa abbia realmente detto Groddeck la sera del 9 settembre 1920 al congresso psicoanalitico de L’Aia, ci ritroviamo a dover partire da due presupposti poco felici:

1) esistono i resoconti dei biografi, ma abbiamo imparato che non è saggio dar loro cieca fiducia;

2) esiste un testo di Groddeck, Sulla psicoanalisi dell’organico nell’uomo (alla cui traduzione, per questioni di spazio, è dedicato il prossimo post), ma non corrisponde direttamente al contenuto della sua conferenza, bensì ne è solo una rielaborazione a posteriori.

Fortunatamente abbiamo altre due fonti di prima mano alle quali attingere per la nostra indagine.

Anzitutto la lettera di Groddeck a Freud dell’11 settembre 1920, che ci offre un breve sunto dell’intervento, scritto a distanza di due soli giorni:

“… ho molto ripensato alla Sua domanda se quanto ho affermato al Congresso l’ho detto proprio sul serio. Cercherò di spiegarmi.

Se si chiede a delle cosiddette persone sane di osservare gli oggetti della loro stanza, e poi di chiudere gli occhi ed enumerare tali oggetti, regolarmente esse dimenticano o questo o quello.

Se poi si analizza perché proprio quelle certe impressioni visive non sono giunte a coscienza, ne risulta che esse appartengono a complessi rimossi. C’è quindi una censura di veglia.

Se i complessi rimossi sono troppi per le persone dalla vista buona, la censura si fa più rigida e rende l’occhio miope. Se questo non basta, l’inconscio distrugge la retina mediante emorragie.

Si tratta, in campo diverso, di un fenomeno analogo alla formazione dell’antitossina per combattere la tossina o all’insorgenza della febbre e della suppurazione per vincere l’infezione. Col risolversi della rimozione [1], la censura può allentarsi, e si può quindi fare a meno delle emorragie retiniche” (Freud, Groddeck, 1970, 38-9).

Il sunto è del tutto sovrapponibile all’abstract ufficiale della conferenza approntato da Groddeck per gli atti del congresso usciti con l’ultimo numero del 1920 dell’Internationale Zeitschrift für Psychoanalyse (Anonimo, 1920). A confermare la paternità del breve testo (Groddeck, 1920), che non reca firma, non è peraltro solo il contenuto, ma anche il fatto che compare sotto il capitolo degli atti dedicato agli “Autoreferate der Vortragende”, ossia “sinossi/abstract dei relatori”.

Eccolo qui di seguito:

Dr. Georg Groddeck (Baden-Baden), Sul trattamento psicoanalitico delle malattie organiche.

Il relatore cerca di dimostrare che esistono fattori di censura che, per tenere lontano il rimosso dalla coscienza, danno origine a malattie organiche. Si inviti qualcuno, sano o malato, a osservare attentamente gli oggetti sulla sua scrivania, a chiudere gli occhi e a nominare gli oggetti; questo o quello verrà allora tralasciato e precisamente le cose associate al rimosso. Se il rimosso è troppo potente, allora aumenta la censura, l’organismo rende miope l’occhio ed eventualmente limita la vista tramite emorragie retiniche. Il processo è in ambito visivo identico alla formazione di antitossine da parte dell’organismo durante un’intossicazione o alla febbre e alla suppurazione durante un’infezione.

Se il rimosso viene portato alla luce o viene liberato il suo contenuto affettivo, le emorragie retiniche divengono inutili e vi si può rinunciare: non è un [“]si deve[”] [rinunciare] ma un [“]si si può[”]. Lo stesso vale per tutti gli ambiti vitali dell’organismo. Il relatore porta esempi di ciò (Groddeck, 1920, 399, parentesi quadre mie).

Ritengo che questo sia quanto disponiamo di più vicino alla prima conferenza tenuta da Groddeck di fronte ai membri dell’Associazione psicoanalitica internazionale. Non tanto, si badi, perché inserito tra gli atti del congresso: dovendo infatti scrivere per la Zeitschrift für Psychoanalyse, la rivista ufficiale dell’Associazione, Groddeck avrebbe potuto avere più di un motivo per “ritoccare” i contenuti della conferenza (ad esempio su richiesta di Freud o del redattore, al tempo Otto Rank), né si potrebbe escludere in linea di principio una qualche modifica operata da terzi in fase di pubblicazione, se davvero la conferenza di Groddeck risultò così indigesta a molti, come vogliono le ricostruzioni biografiche. A fare da garante per la sua affidabilità è proprio il fatto di ritrovare nell’abstract esattamente gli stessi elementi presenti in uno scritto privato di sicuro precedente, in cui Groddeck non solo non aveva motivo di modificare la rievocazione di quanto aveva detto, ma al contrario intendeva rimarcarne la serietà.

Sarà ora interessante confrontare queste due fonti di prima mano con quanto riportato nelle biografie.

Tolto Ernest Jones, che in questo caso tace praticamente su tutto, la prima ricostruzione la offrono i Grossman nel 1965:

“Il succo del discorso era la tesi di Groddeck che i problemi emotivi trovano spesso espressione in malattie organiche e possono essere trattati con la psicoanalisi. La sua affermazione più sorprendente fu che i problemi visivi esprimono sempre conflitti emotivi. Disse che miopia, presbiopia, emorragie retiniche e cambiamenti organici nell’occhio erano tutti tentativi di difendersi da desideri proibiti e di esprimerli. Questo era troppo per la maggior parte dei presenti. Ernst Simmel, che ascoltava con attenzione, si aggiustò gli occhiali dalle spesse lenti e sorrise. L’occhio, disse Groddeck, è l’Io [2]… I problemi di vista sono sempre causati dal tentativo dell’Io di rimuovere la visione di ciò che è penoso.

Dopo il discorso, Freud inviò a Groddeck una nota interrogativa. Era più divertito che offeso dallo stile dell’orazione ma non sapeva se Groddeck fosse stato del tutto serio o se si fosse solamente preso gioco dell’uditorio. Ancora a L’Aia Groddeck scrisse una risposta” (Grossman, Grossman, 1965, 97; corsivi degli autori).

Seguono sia un sunto sia il testo della lettera dell’11 settembre sopra riportata, che pare tra l’altro essere l’unica fonte impiegata dai i due autori (non vengono citati né l’abstract né il saggio Sulla psicoanalisi dell’organico nell’uomo).

Il confronto è presto fatto: lettera e abstract di Groddeck non affermano che “i problemi visivi esprimono sempre conflitti emotivi”, ma che l’inconscio può agire sull’occhio in casi di conflitti (intrapsichici) eccessivi. A rigore non viene esclusa l’esistenza di problemi organici (nello specifico della vista) privi di significato psichico e dunque non interpretabili. Nemmeno si fa riferimento alla “presbiopia” o a “cambiamenti organici nell’occhio” o a “desideri proibiti”; né si mette in luce la doppia faccia dei sintomi organici in quanto “tentativi di difendersi da desideri proibiti e di esprimerli”.

La considerazione immediatamente successiva (“Questo era troppo per la maggior parte dei presenti. Ernst Simmel, che ascoltava con attenzione, si aggiustò gli occhiali dalle spesse lenti e sorrise”) non credo possa essere più di una chiosa narrativa, ma ci torneremo tra poco. Infine non trova riscontro la frase che Groddeck avrebbe pronunciato: “L’occhio è l’Io”.

Resta dunque ben poco: “i problemi emotivi trovano spesso espressione in malattie organiche e possono essere trattati con la psicoanalisi … miopia…, emorragie retiniche… erano tutti tentativi di difendersi… I problemi di vista sono sempre causati dal tentativo dell’Io di rimuovere la visione di ciò che è penoso”. Quanto poi al trattamento delle malattie organiche tramite psicoanalisi, se ne parla espressamente nel titolo dell’abstract e vi fa riferimento la conclusione, in cui Groddeck parla dei potenziali effetti che può avere sui sintomi organici il far emergere il rimosso liberandone il contenuto affettivo.

Forse troppo poco per soddisfare il lettore? Si devono forse a ciò le varie aggiunte?

In ogni caso se, nonostante i due autori riportino la lettera di Groddeck che dovrebbe essere la loro fonte almeno alcune delle divergenze tra questa e il loro racconto non balzano subito all’occhio, lo si deve ad almeno due fattori. Anzitutto parte di ciò che aggiungono corrisponde alle più diffuse nozioni psicoanalitiche, come il fatto che ad essere rimossi siano “desideri proibiti” o che i sintomi consentano al contempo di difendersi da essi e di esprimerli. In secondo luogo le loro interpolazioni corrispondono all’effettivo pensiero di Groddeck per come egli già lo aveva espresso in altre occasioni e avrebbe continuato a fare per i restanti 14 anni della sua vita. Alcuni elementi, inoltre, si possono tranquillamente ritrovare proprio in quel Sulla psicoanalisi dell’organico nell’uomo che tuttavia essi non citano (la possibilità espressamente dichiarata di applicare la psicoanalisi ai problemi organici, alcuni esempi di modificazioni organiche dell’occhio come alterazioni della sua forma).

Il curioso dettaglio su Simmel e i suoi spessi occhiali trova invece uno sviluppo inatteso l’anno successivo nello scritto biografico di Grotjahn (Grotjahn, 1966). Qui non viene riferito nulla del contenuto della conferenza di Groddeck del 1920, ma scrive l’autore:

“Fu proprio Simmel a ricordare che Groddeck, ottimo conoscitore della lingua inglese, soleva ricorrere a volte a un gioco di parole: ‘The Eye is I, and anyone who is short-sighted does not want to see for ahead…’ (L’occhio è l’Io e chi soffre di miopia è uno che non desidera spingere troppo oltre il proprio sguardo). Grazie all’intervento personale di Groddeck, infatti, Simmel riuscì finalmente a leggere le ore sul campanile di una chiesa distante qualche chilometro e a presiedere un congresso di psicoterapia a Baden-Baden [dove si trovava la clinica di Groddeck] senza bisogno di lenti, mentre poi a Berlino dovette tornare a servirsi degli occhiali” (Grotjahn, 1966, 264; corsivo e inglese dell’autore, parentesi quadre mie).

Se da un lato questo passaggio ci fa comprendere meglio il sorriso con cui Simmel ascolta nel 1920 la conferenza di Groddeck, dall’altro decontestualizza il gioco di parole Eye-I, astraendolo dal testo e dal contesto dell’intervento al congresso de L’Aia. Purtroppo Grotjahn non ci indica la fonte dell’aneddoto su Simmel e non va meglio per la questione del gioco di parole Eye/I: se infatti fu questi a ricordarlo, non sappiamo né il quando né il come (ne parlò a qualcuno? ne scrisse? E in tal caso privatamente, ad esempio per lettera o pubblicamente, in un articolo, in un saggio o che altro? [3]). Quando poi si ricordi che l’unica fonte espressamente indicata da Grotjahn per i dati biografici di Groddeck è proprio il testo dei Grossman, non ci si può non chiedere come e perché il dato abbia subito una tale trasformazione. Certamente va ammesso che il gioco di parole ben si adatta al tema della conferenza: come dunque in varie altre occasioni precedenti, anche in questa non possiamo escludere la veridicità del dato, ma nemmeno possiamo darla per certa.

Pochi anni più tardi, nel 1971, Grotjahn torna a occuparsi di Groddeck e della sua conferenza del 1920 in un breve passaggio del volume The Voice of the Symbol. In questa occasione afferma che Groddeck parlò brevemente della propria enuresi notturna per poi seguire da lì una catena di libere associazioni. Purtroppo la fonte di questo dettaglio è solo ciò che alcuni dei presenti di allora (1920) ricordavano al momento della stesura del testo, dunque circa 50 anni più tardi (e del resto, anticipo, di enuresi notturna non si parla nemmeno in Sulla psicoanalisi dell’organico):

“Alcuni dei presenti ricordano che Groddeck parlò brevemente dell’analisi della propria enuresi e da lì proseguì con associazioni piuttosto libere” (Grotjahn, 1971, 152).

Il gioco di parole Eye/I subisce una nuova variazione e non è più qualcosa che Groddeck soleva dire ma che disse (una volta?) a Simmel, come questi raccontò (una volta?):

“Simmel riferisce la storia di come Groddeck, che parlava fluentemente l’inglese e in inglese scrisse qualche libro, gli disse: ‘L’occhio è l’Io…’” (Grotjahn, 1971, 153).

Quanto a Simmel, infine, viene ricordato anche in questa sede il miglioramento temporaneo della sua miopia durante una permanenza a Baden-Baden.

Ronald Clark, nel 1980, resta sostanzialmente fedele alla sua fonte dichiarata, i Grossman e ne riporta in forma più sintetica quasi tutta la ricostruzione, tranne il gioco di parole e l’affermazione secondo cui “I problemi di vista sono sempre causati dal tentativo dell’Io di rimuovere la visione di ciò che è penoso”. Vi sono comunque alcune divergenze. Due di esse sono “effetti collaterali” della traduzione italiana: si tratta di un refuso e di una scelta traduttiva a mio parere poco felice. Leggiamo infatti nell’edizione nostrana di Clark che la miopia e le altre problematiche di vista e occhio:

“erano tutte… sforzi per difendersi dal negato appagamento dei desideri o per manifestarlo. Qualcuno commentò che ‘questo finiva con l’esser di troppo per tutti gli ascoltatori. Ernst Simmel, che ascoltava attentamente, si aggiustò gli occhiali a lenti spesse, e sorrise’” (Clark, 1980a, 417; corsivi miei).

I Grossman non pongono l’alternativa ma la coesistenza tra difesa e appagamento dei desideri proibiti e così in effetti fa anche Clark nella versione originale, dove si ha: “efforts to defend against forbidden wishes and to express them” (Clark, 1980b, 403; corsivo mio) parte che, sebbene non virgolettata, corrisponde esattamente al testo inglese dei Grossman. Da essi è tratta anche la frase che si trova poco dopo tra virgolette. Tuttavia, essendo nell’edizione italiana introdotta da “Qualcuno commentò” (e questa è la scelta traduttiva a mio parere poco felice), pare che la citazione sia da attribuire a qualche partecipante all’evento, non ai successivi due biografi. L’ambiguità non si ha invece nell’originale che ha: “it has been remarked” (Clark, 1980b, 403), ossia “è stato commentato” (appunto dai Grossman).

L’ultima divergenza riguarda i fatti immediatamente successivi alla conferenza. Anche per Clark Freud non fu “particolarmente infastidito” dal discorso di Groddeck ma, aggiunge l’autore, “ritenne necessario chiedere se la tesi intendeva essere presa sul serio o voleva essere soltanto uno scherzo alle spese degli ascoltatori” (Clark, 1980a, 417). Manca dunque il riferimento alla “nota interrogativa” invita (e dunque preventivamente messa per iscritto) da Freud.

Più sintetico sul contenuto è Peter Gay nel 1988:

“Le malattie organiche, sostiene Groddeck, persino la miopia, sono semplicemente l’espressione fisica di conflitti emotivi inconsci e pertanto sono suscettibili di trattamento psicoanalitico… Più tardi Freud chiederà a Groddeck se il suo discorso andava preso sul serio, e Groddeck gli assicurerà di sì” (Gay, 1988, 369).

Qui scompaiono molti dei fronzoli dei Grossman ma la consultazione del loro testo, effettiva fonte di Gay, si riconosce in quel “sono suscettibili di trattamento psicoanalitico”. Anche qui scompare il riferimento alla richiesta scritta di Freud in merito a come andasse inteso il contenuto della conferenza.

Molto interessante è il resoconto offerto da Martynkewicz nel 1997:

“Con intenzione assolutamente autoanalitica egli parla di enuresi notturna, alla quale collega altri pensieri tramite associazioni apparentemente libere, portando tutta una serie di esempi tratti dalla sua pratica medica… Freud, che ha ascoltato divertito, non [è] più sicuro alla fine di come debba essere inteso l’intervento di Groddeck. Irritato, gli chiede se deve essere preso sul serio o se si tratta di uno scherzo. Groddeck invia a Freud ancora durante il congresso una nota scritta in cui non parla dei modi e dei toni della propria esposizione, ma conferma l’assoluta serietà del contenuto” (Martynkewicz, 1997, 261).

Martynkewicz recupera dunque il tema dell’enuresi notturna, che per quanto mi consta è segnalato solo da Grotjahn in The Voice of the Symbol. Tuttavia non cita (mai) né il testo né l’autore. Abbiamo poi un nuovo elemento: “gli esempi tratti dalla sua pratica medica”. Di ciò si può effettivamente trovar conferma in Sulla psicoanalisi dell’organico nell’uomo, ma nemmeno questo saggio pare essere stato consultato da Martynkewicz. In altri passaggi della biografia egli si richiama al volume tedesco che lo contiene, ma sempre con riferimento ad altri saggi lì presenti (cita in particolare le pp. 3, 4, 47, 218, 227, 331; si veda Martynkewicz, 1997, 350 n. 7; 369 nn. 55, 56, 57; 373, nn. 6, 7 [4]). Colpisce infine (e questa volta non si tratta di una qualche opinabile scelta dei traduttori) la presenza di un Freud che chiede lumi a Groddeck perché “irritato”. Il dato contrasta nettamente non solo con la reciproca stima che si coglie nello scambio epistolare di quegli anni tra i due, non solo con le precedenti ricostruzioni che riferiscono di un Freud “più divertito che offeso” (Grossman), “non… particolarmente infastidito” (Clark), ma anche con quanto poco prima affermato dallo stesso Martynkewicz, ossia che Freud aveva “ascoltato divertito” la conferenza.

Infine riporto la breve narrazione proposta da Alt nel 2016, che si fonda esclusivamente sul precedente autore:

“… un misto di confessioni intime speculazioni psicosomatiche confuse, che infastidì il pubblico. Subito dopo la fine della conferenza Freud chiese a Groddeck se questi avesse inteso seriamente le sue ‘comunicazioni’; la reazione fu una risposta assai confusa, concentrata sull’effetto psichico delle percezioni visive, ma che non rischiarava l’oscurità della conferenza” (Alt, 2016, 650).

Anche qui sorgono alcune perplessità. Anzitutto, che Freud abbia posto il suo dubbio a Groddeck “subito dopo la fine della conferenza” non lo possiamo sapere, anche se suona come molto verosimile, considerando l’incipit della lettera in cui Groddeck risponde, quella dell’11 settembre da cui siamo partiti:

“Ihre Frage, ob ich meine Mitteilungen auf dem Kongreß ernst meine, ist mir nachgegangen” (Groddeck, Freud, 2014, 34) [Resa nel carteggio italiano con: “ho molto ripensato alla Sua domanda se quanto ho affermato al Congresso l’ho detto proprio sul serio”]

Per inciso, immagino sia questo passaggio a giustificare il fatto che Alt virgoletti il sostantivo “comunicazioni” (“Mitteilungen”, appunto, sia qui sia in Alt). Interessante è però ai nostri fini il verbo impiegato da Groddeck: “nachgegangen”, da “nachgehen”, letteralmente “andare dietro”, “seguire” (ma anche “rimanere impresso”) come a indicare una questione che lo ha inseguito a lungo prima che egli si decidesse a darvi risposta (“ho molto ripensato…”). Non è inverosimile dunque immaginare che Freud gli abbia posto la domanda subito dopo la conferenza e che Groddeck abbia impiegato un paio di giorni prima di decidersi a rispondere in proposito, quando ormai non poteva più farlo di persona e diveniva dunque necessaria una lettera; ma resta solo un’ipotesi.

Inoltre ecco spuntare altri nuovi elementi: la conferenza non solo sarebbe confusa, ma conterrebbe anche “confessioni intime”; anche la lettera di Groddeck diventa “assai confusa”, cosa che francamente non condivido. In essa infine si parlerebbe dell’effetto psichico delle percezioni visive (“seelischen Wirkung visueller Wahrnemung”), mentre in realtà è esattamente l’opposto: vi si descrive l’effetto psichico sulle percezioni visive.

Qualche considerazione

C’era da aspettarselo: i vari resoconti biografici non presentano una grande coerenza né tra loro, né nel rapporto ognuno con le proprie fonti dichiarate, né infine rispetto alla scarsa documentazione reperibile (o più precisamente, che mi è riuscito di reperire): la lettera di Groddeck a Freud dell’11 settembre 1920, il suo abstract per gli atti del congresso e, pur con le dovute cautele, l’articolo scritto entro il mese successivo, Sulla psicoanalisi dell’organico nell’uomo (non abbiamo alcuna garanzia che quest’ultimo riprenda effettivamente i contenuti espressi dal vivo durante la conferenza).

Per quanto dunque riguarda la vera e propria conferenza pare proprio ci si debba rassegnare a dire quel poco che Groddeck stesso ne ha lasciato scritto a Freud (l’unico pubblico che gli interessava) prima che a noi, al massimo aggiungendo come verosimile un altro dettaglio: il riferimento non solo all’interpretabilità dei sintomi fisici ma anche alla possibilità di intervenire su di essi attraverso la psicoanalisi. Ma un conto è ciò che possiamo supporre, un altro è ciò che possiamo provare.

D’altro canto non ci si può non interrogare sulle vere e proprie trasformazioni cui è andata incontro nel corso dei decenni la narrazione di questo evento in sé così circoscritto e secondario nella storia della psicoanalisi e probabilmente anche in quella di Groddeck.

Quanto allo stile in cui fu tenuta, si è già concluso nel precedente post che 1) non abbiamo motivo di ritenere che Groddeck abbia seguito percorsi guidati dalle libere associazioni né che abbia raccontato particolari della propria vita privata e che 2) curiosamente (si veda anche la nota 8 del precedente post) una simile descrizione è comprovabile per un intervento da lui tenuto cinque anni dopo, nel 1925, a Berlino: per questo secondo caso possediamo infatti una lettera circolare del Comitato Segreto in cui KarlAbraham, Max Eitingon e Hanns Sachs riferiscono a Freud che Groddeck si sarebbe reso “particolarmente sgradevole”, comunicando “le sue libere associazioni” e dilungandosi “più di un’ora a rivelare i particolari più intimi della sua vita privata, che oltretutto riguardavano la moglie, presente in sala… compiacendosi delle impressioni più grevi” (lettera del 15 marzo 1925, citata in Martynkewicz, 1997, 298). Avranno esagerato i tre autori? Non sarei in grado di dirlo, ma di certo questa lettera resta una fonte diretta, che sarebbe scorretto non tenere in conto.

E balzano all’occhio i tanti punti di sovrapponibilità e di vicinanza del suo contenuto con le varie ricostruzioni della conferenza del 1920 passate in rassegna: per entrambe le situazioni si parla di ricorso alla libera associazione, che facilmente avrà reso confuso l’andamento della conferenza; i richiami espliciti (“grevi” addirittura) alla vita sessuale di coppia nel 1925, che certo avranno offeso l’uditorio, ricordano le “confessioni intime” di cui parla Alt, ma ancor di più il racconto che vuole i partecipanti al congresso del 1920 oltraggiati dalla presenza di Emmy von Voigt. Il fatto che questa venga regolarmente definita “amante” dai biografi non solo non corrisponde del tutto, come visto nel post precedente, alla reale situazione della coppia nel 1920, ma soprattutto non fa che rimarcare proprio quell’elemento sessuale del loro rapporto su cui si soffermò con compiacimento Groddeck nel… 1925.

Comincia a formarsi la sensazione che il momento del debutto psicoanalitico di Groddeck abbia finito per diventare, nella memoria collettiva della comunità psicoanalitica, una sorta di “Urszene”, di “scena primaria” capace di attrarre a sé e condensare tutta una serie di eventi della sua vita, in parte distesi su un ampio lasso di tempo, in parte forse nemmeno occorsi, quasi a costituire una sorta di narrazione mitologica delle origini. Narrazione che, come spesso avviene per i miti, è poi andata inevitabilmente soggetta a imprevedibili trasformazioni.

Quel che ne è del contenuto stesso della conferenza del 1920 nelle varie ricostruzioni non fa che rafforzare questa sensazione: esso si riempie di particolari regolarmente privi di appoggi documentali e che resistono ai tentativi di comprovarli, cattura via via elementi più eterogenei, finendo per assurgere praticamente a compendio di tutto il pensiero di Groddeck, fatta eccezione forse per il solo concetto di “Es”.

Si aggiunge una sorta di effetto après coup per cui, con netta inversione di direzione, non sono più i documenti a illuminare le ricostruzioni, ma queste a gettar luce su quelli. Mi riferisco in particolare al passaggio in cui Alt definisce “risposta assai confusa” la lettera di Groddeck a Freud dell’11 settembre 1920, che confusa non è, a prescindere dal fatto che si concordi o meno con il suo contenuto. È solo – così mi pare – partendo dall’idea di trovarsi di fronte al sunto di una conferenza fondata sulla libera associazione e pertanto apparentemente caotica che si può giungere a vedere il caos in quelle poche righe. Per inciso, essa dimostrano che le perplessità di Freud non inerivano la modalità di esposizione di Groddeck, ma precisamente i suoi contenuti: anche questo non depone a favore né di una conferenza confusa e oscura né di un discorso fondato sull’associazione libera.

C’è ancora un punto che possiamo indagare un poco meglio, ossia l’origine stessa della lettera di Groddeck dell’11 settembre. Credo sia lecita anzitutto la domanda: perché mai Groddeck avrebbe dovuto scrivere da L’Aia una lettera a Freud, anch’egli a L’Aia [5], quando i due avrebbero potuto parlarsi al congresso? Domanda che naturalmente può essere raddoppiata: perché mai Freud avrebbe dovuto chiedere a Groddeck per iscritto sulla serietà di quanto aveva affermato durante la sua conferenza, come vogliono i Grossman (e solo loro)?

Partiamo da questa seconda questione e consideriamo anzitutto che questa ipotetica nota di Freud non ci è pervenuta. Questi non può che aver posto la domanda tra la sera del 9 (ossia subito dopo la sua conferenza, come vuole Alt) e l’11 settembre, giorno di chiusura dei lavori del congresso e in cui Groddeck gli rispose: in altre parole durante il congresso, quando poteva parlare vis-à-vis con lui. Per questo mi pare assai più probabile che si tratti di domanda fatta a voce e non per iscritto [6].

Questo ci può aiutare a rispondere alla prima domanda, ritoccando in parte le ricostruzioni fin qui offerte. Ritengo cioè che Groddeck scrisse la sua risposta non a congresso non ancora finito (come indica espressamente Martynkewicz), bensì dopo la chiusura dei lavori, dunque probabilmente la sera, tornato in albergo. Allora gli sarebbe chiaramente stato difficile parlare a Freud, perciò dovette ricorrere a una breve lettera da fargli recapitare… sempre che la spedì: perché nemmeno di questo siamo sicuri, mancando la risposta di Freud, anche se mi sbilancerei verso una risposta affermativa, sulla base di una considerazione che farò a breve. Quel che è certo (o quasi) è che fu la base per l’abstract, considerata la pressoché totale sovrapponibilità tra i due testi: forse dunque l’abstract sostituì la lettera e fu per Groddeck un modo per confermare ufficialmente la serietà con cui chiedeva di prendere in considerazione le tesi esposte al congresso? O piuttosto si affiancò alla lettera per ri-confermare quanto già detto a Freud in separata sede? In questo secondo caso dobbiamo attribuire all’abstract un doppio livello di lettura: uno di superficie, diretto a tutti, e un altro più sottile, che solo Freud avrebbe potuto cogliere perché aveva già avuto tra le mani la lettera di Groddeck con lo stesso contenuto: “Sono tanto certo di quanto ho riferito nella mia conferenza che non mi limito a scrivertelo di persona, ma lo dichiaro anche pubblicamente!” Per questo ipotizzo che la breve missiva sia stata effettivamente spedita. Non si consideri troppo azzardata l’ipotesi del doppio canale comunicativo (a mio parere ho azzardato molto di più nel ricostruire le vicende di Emmy von Voigt): simili stratagemmi erano piuttosto diffusi e non raramente gli autori sfruttavano le proprie pubblicazioni scientifiche per sferrare allusivamente qualche attacco o lanciare qualche messaggio a questo o a quel collega [7]. Si trattava di giochi raffinati, in cui l’abilità stava proprio nel celare un messaggio nel messaggio, che solo il diretto interessato, in quanto a conoscenza di certe informazioni, avrebbe potuto cogliere. Qualcosa del genere lo si è già visto commentando l’intervento di Groddeck al congresso di Berlino del 1922, quando introducendo l’Es parlò al contempo e su due piani diversi con l’uditorio e con Freud.

Comunque siano andate le cose, poco tempo dopo la lettera dell’11 settembre Groddeck ne ricevette una da Freud, a quanto pare non conservatasi, in cui evidentemente gli si chiedeva un articolo sulla sua conferenza, da pubblicare come lavoro autonomo sulla Zeitschrift. Questa richiesta sarà stata in qualche modo in relazione alla lettera dell’11 settembre? Oppure non vi aveva nulla a che vedere per il semplice fatto che Groddeck non l’aveva spedita? Impossibile rispondere, anche se, essendo io incline a pensare che egli abbia spedito la lettera, mi piace immaginare che di rimando Freud gli abbia scritto qualche commento in proposito per poi offrirgli la possibilità di esporre in maniera più organica le sue tesi per i lettori della Zeitschrift.

La risposta fu l’invio di Sulla psicoanalisi dell’organico nell’uomo.

La traduzione di questo articolo costituirà il prossimo contributo, dopo di che potremo concludere il percorso fatto in compagnia di Groddeck prendendo in considerazione la sua frase più nota, quel “sono un analista selvaggio” con cui avrebbe iniziato la conferenza del 1920. Verità o parte anch’essa di una ricostruzione mitologica? Cercheremo la risposta.




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Lualdi M. M., Passando da Stekel. Edizione critica dell’Autobiografia di Wilhelm Jensen, Youcanprint, Tricase, 2015.

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Lualdi M. M., Introduzione. In Freud S., Scritti. 1887, Youcanprint, Tricase, 2018, 5-77. 

Lualdi M. M., Sigmund Freud. Figlio della neurologia, padre della psicoanalisi. In Freud S. (1887), Introduzione critica alla neuropatologia, Youcanprint, Tricase, 2020, 5-96. 

Lualdi M. (2021), Lo “stile idiotico”di Freud.

Martynkewicz G. (1997), Georg Groddeck. Una vita, Il Saggiatore, Milano, 2005.

Meng H., Georg Groddeck. In Internationale Zeitschrift für Psychoanalyse, 1934 (XX), Heft 3, 408-11. 


[1] “le rimozioni” (die Verdrängungen), plurale, nell’originale (Groddeck, Freud, 2014, 34).

[2] Come si chiarirà più avanti, si tratta di un gioco di parole che si coglie solo nella versione inglese in cui “Eye” e “I” sono omofoni: “The Eye is the I”. Personalmente, mi ricorda il bioniano e ben più noto “Ice scream”/“I scream” (Bion, 1970, 23).

[3] Ho provato a consultare due fonti indicate in bibliografia dai Grossman, ma senza risultati: il saggio su Groddeck di Lawrence Durrel (Durrel, 1948) e il necrologio che ne scrisse Heinrich Meng nel 1934 (Meng, 1934).

[4] Premesso che ho impiegato la stessa edizione del volume in questione indicata da Martynkewicz, non comprendo il significato del suo riferimento alle pp 3 e 4, visto che la numerazione di pagina inizia con il numero 7 (prima si hanno solo indice e titolo).

[5] Jones ci informa che dopo il congresso Freud e la figlia restarono in Olanda per diversi giorni, costretti a rinunciare al progettato viaggio in Inghilterra per il ritardo con cui arrivò il visto di ingresso per Anna. In quei giorni “van Emden e Ophuisen [sic] li accompagnarono in giro per l’Olanda” (Jones, 1957, 44). È da escludere che già nella giornata dell’11 settembre, ossia l’ultima del congresso, Freud si fosse assentato dalla città e dalla sede congressuale e con lui uno o entrambi i suoi accompagnatori olandesi. Freud e la figlia sarebbero rimasti in Olanda fino alla mattina del 28 settembre (lettera di Freud a Jones del 23 settembre 1920; Freud, 1993, 481).

[6] Freud (e non solo lui) aveva in realtà l’abitudine di scrivere biglietti. Ma dagli esempi che sono riuscito a recuperare, vi ricorreva quando voleva fare un commento su qualcuno con qualcun altro senza che il diretto interessato, presente, ne potesse intendere tono e contenuto. Questi biglietti non erano una rarità nel corso delle riunioni settimanali della società psicoanalitica di Vienna. Anche Stekel provò a farne uso, in almeno un’occasione (Lualdi, 2015, 291 e n. 423). Naturalmente questo modello di comunicazione “segreta”, che richiede un terzo interessato e al tempo stesso escluso dal messaggio, non ha modo né ragione applicarsi alla situazione che stiamo analizzando.

[7] Non è questa la sede per approfondire la tematica, per la quale sono debitore agli studi di Jaap Bos e Leendert Groenendijk sulla relazione tra Freud e Stekel, in cui individuano un ripetuto alludere l’uno all’altro nelle rispettive pubblicazioni, anche dopo l’interruzione del rapporto diretto con l’uscita di Stekel dalla Società psicoanalitica di Vienna, avvenuta il 6 novembre 1912 (Bos, Groendendijk, 2007, 15; Bos, 2003, 28-9; Lualdi, 2014, 46). Ho poi approfondito l’argomento sia rispetto alla coppia Freud-Stekel (Lualdi 2015, 16, 332 n. 468, 368-9 n. 523; 378 n. 539; 381 n. 544) sia in altri contesti freudiani (Lualdi, 2016, 166-7 n. 162; Lualdi, 2018, 20-22; Lualdi, 2020, 71 e segg.; Lualdi, 2021, 11 e n. 8).

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