Georg Groddeck Parte V: Sulla psicoanalisi dell’organico nell’uomo (1921)

Tiziano, Flora (1515 circa) (Fonte: wikimedia)

 
Michele M. Lualdi
Traduzione in spagnolo (a cura di Juan Vicente Gallardo Cuneo, ALSF-Chile)

Questo lavoro fu scritto dall’autore sulla base della conferenza da lui tenuta il 9 settembre 1920 al Congresso psicoanalitico internazionale de L’Aia . Steso nel mese successivo su richiesta di Freud, venne inviato il 17 ottobre (Freud, Groddeck, 1970, 39) a quest’ultimo, che rispose solo il 15 novembre, facendo previsione di una sua pubblicazione nel 1921, nel secondo fascicolo della Internationale Zeitschrift für Psychoanalyse (Freud, Groddeck, 1970, 41). In realtà uscì nel terzo fascicolo, come secondo articolo dopo quello di Ferenczi, Ulteriore estensione della “tecnica attiva” in psicoanalisi, lavoro anch’esso presentato al congresso del 1920.
Oltre all’edizione originale, il testo ne ha viste almeno altre due, una in tedesco e una in italiano. Nel 1966 venne inserito nel volume Schriften zur Psychosomatik, che raccoglie 25 scritti di Groddeck (Groddeck, 1966; Groddeck, 1921b). Mentre tuttavia nella Zeitschrift una nota a piè pagina indicava il saggio come basato sulla conferenza tenuta dall’autore a L’Aia, nel volume del 1966 la nota scompariva, sostituita da un sottotitolo (presente peraltro solo nell’indice del libro) che identificava tout court il testo come quello letto al congresso, commettendo con ciò una grossolana imprecisione storica: almeno un passaggio infatti dimostra come esso sia stato rielaborato a posteriori (n. 58) mentre un altro lo suggerisce fortemente (n. 34).
Nel 1989 apparve infine la traduzione italiana, nel numero 19 dei Quaderni di psicoterapia infantile (Groddeck, 1921c). Qui mancano però sia la nota della Zeitschrift sia il sottotitolo presente nel volume del 1966, per cui è persa del tutto l’associazione tra il testo e la conferenza di Groddeck del 1920.
A rigore il contenuto di queste pagine non può darci indicazioni dirette su cosa Groddeck abbia effettivamente detto durante la sua conferenza a L’Aia. Se infatti lo si confronta con l’abstract (anch’esso di Groddeck) presente negli atti del congresso, si possono notare ampi margini di non sovrapponibilità. Questi si spiegano a mio parere non solo con il fatto che siamo qui in presenza di un lavoro ben più corposo di una sinossi e che dunque offre all’autore la possibilità di esporre un maggior numero di contenuti. Va anche considerata come ben possibile una qualche espressa richiesta di Freud a Groddeck di “addomesticare” in qualche modo la sua conferenza. Benché infatti manchi la lettera in cui Freud richiede a Groddeck di stendere questo lavoro per la Zeitschrift (e che deve necessariamente essere intervenuta tra l’11 settembre e il 17 ottobre 1920), qualcosa possiamo intuire sia dalle parole di Groddeck nell’inviarglielo, sia da quelle di Freud nel rispondergli. Scrive il primo: “Le mando un’eco dei giorni del Congresso. Per me questo tentativo di affrontare questioni di terminologia è una necessità, perché rischio sempre di essere frainteso. Dopo questa prova spero… di poter tornare, con la coscienza placata, al mio gergo personale, con cui mi ritrovo meglio e che mi lascia la libertà di pensare ciò che devo pensare”; risponde Freud: “mi fa molto piacere che siamo riusciti a carpirLe un saggio così bello e ‘garbato’” (Freud, Groddeck, 1970, 39, 41). Se già il termine “eco” (nell’originale non “Echo”, ma “Nachklang”, ossia letteralmente “post-suono”, dunque “risonanza”; Groddeck, Freud, 2014, 34) segnala una certa distanza tra la parola detta della conferenza e quella scritta del saggio, tanto la sottolineatura di Groddeck sulla propria estraneità a certi modi di esprimere il pensiero quanto il commento di Freud sul “carpire” il saggio “garbato”, costringono a non sottovalutare le possibili discrepanze tra il contenuto originario e la sua sistematizzazione in vista della pubblicazione sulla Zeitschrift. Purtroppo non abbiamo modo di sapere quanto ampio potrebbe essere stato un simile addomesticamento, se non per la parte finale del testo, come si discuterà brevemente nella nota a piè pagina ad essa associata.
A prescindere da queste considerazioni, resta un testo significativo, in quanto si pone storicamente alle origini della comunicazione tra psicoanalisi e psicosomatica o meglio, della pensabilità concreta di una loro collaborazione, che fiorirà nei decenni successivi consacrando Groddeck quale suo indiscusso pioniere.
La presente traduzione è fatta sulla base del testo apparso sulla Zeitschrift (Groddeck, 1921a), segnalando in note a piè pagina le principali divergenze rispetto alla precedente versione italiana (Groddeck, 1921c). Chi volesse evitare queste note a tutto vantaggio di una lettura più scorrevole, le può riconoscere dall’asterisco che precede i numeri in apice con cui sono segnalate nel testo. Non conoscendo la fonte impiegata da chi mi ha preceduto nella traduzione, ho verificato per scrupolo se le divergenze potessero dipendere da qualche differenza tra le due edizioni tedesche, Groddeck 1921a e Groddeck 1921b, opzione che tuttavia devo escludere essendo queste risultate del tutto identiche (almeno nei passaggi di volta in volta esaminati).
 
 
Sulla psicoanalisi dell’organico nell’uomo [1] 
 
di Georg Groddeck (Baden-Baden [2])
 
[252] [3] La ricerca psicoanalitica ha ampliato di anno in anno il proprio territorio. Finora tuttavia l’organico nell’uomo è rimasto per essa un tabù, benché ogni singolo psicoanalista sia stato costretto di quando in quando a entrare nell’area consacrata dalla parola “organico”. Da dove origini questo timore sacro meriterebbe un’indagine. Tuttavia vale più la pena oltrepassare il confine e dare un’occhiata alla terra proibita.
Cinque anni fa fui consultato da una signora a causa di una severa nevrosi. La malata proveniva da una famiglia numerosa e per età si poneva circa a metà della fratria. Secondo il suo racconto, si era legata presto di un amore appassionato al padre, un amore che spesso ella, nei sogni a occhi aperti e in quelli notturni, accresceva fino al desiderio di incesto. Conformemente a ciò, il suo atteggiamento verso la madre era apparentemente del tutto ostile. Odio e sete di vendetta dominavano la sua vita emotiva, spingendola infine ad abbandonare la casa dei genitori e la patria oltreoceano e a raggiungere la Germania. Si sposò e dopo la morte di suo marito, i cui tratti di carattere ricordavano nettamente il padre, cadde in una nevrosi dalle molte manifestazioni, che non migliorò nemmeno con una nuova, intensa passione per un altro uomo. L’analisi seguiva il proprio percorso senza sostanziali resistenze; tutto sembrava raccordarsi facilmente al complesso di Edipo. Allora, nel bel mezzo del miglioramento, irruppe una severa emottisi e nel breve lasso di tempo di 4 settimane *[4] presero a ripetersi 23 episodi di sanguinamento della peggior specie. L’analisi, proseguita nonostante i veementi sintomi potenzialmente mortali, riportò alla luce materiale *[5] da cui successivamente – ma solo nel corso di anni – [253] risultò la guarigione dalla nevrosi. All’inizio le emorragie si rivelarono quali forma di resistenza; la prima si presentò quando l’analisi cercò di indagare la relazione con la madre. Durante la fase più pericolosa [per la vita della paziente] era sufficiente la parola [“]madre[”] per provocare, per così dire sperimentalmente, un episodio di sanguinamento.
Che l’inconscio impieghi tanto sintomi organici quanto nevrotici come mezzi per salvaguardare le sue rimozioni, è stato sottolineato da Ferenczi. Egli parla in tal senso di sintomi “passeggeri” [6]. Il nome non mi pare essere stato felicemente scelto; come spero di dimostrare si tratta tanto spesso di malattie organiche croniche quanto di sintomi transitori.
Una delle sorprese che si palesò durante il periodo delle emorragie fu la scoperta che il nuovo oggetto di passione della malata aveva una somiglianza addirittura impressionante con sua madre. Con ciò la base del trattamento, che poggiava sul complesso di Edipo, finiva per vacillare. Venne fuori che l’amore per la madre era di gran lunga più intenso di quello per il padre, ma che nella primissima infanzia era stato rimosso con tutta la forza. Nel corso dei cinque anni da che conosco la paziente, ciò si è costantemente riconfermato. Ogni sintomo nuovo che compariva, fosse organico o funzionale, persino ogni minimo disagio psichico o corporeo era in relazione con questa rimozione delle libido verso la madre e ogni volta nuovi conflitti rimossi giungevano a soluzione. Ne faccio menzione perché al contrario del complesso d’Edipo del bambino, apparentemente semplice, nella bambina si hanno tutt’altre condizioni. Anche in lei la madre conta come prima scelta oggettuale, che non è inizialmente rivolta al sesso maschile e mantiene – secondo le mie osservazioni, sempre – la supremazia sulla libido eterosessuale, tanto più che viene rinforzata soprattutto dalle possibilità di investimento inizialmente insite nel narcisismo *[7]. Presumibilmente qui si radicano [alcune *[8]] fibre della seconda pulsione d’amore che domina la donna, la brama di un figlio.
A questa rimozione della libido verso la madre si legava un altro complesso, la cui scoperta gettò qualche luce sul perché l’inconscio avesse scelto come sintomo proprio la polmonite. Alcuni anni prima la sorella preferita della malata si era ammalata gravemente durante un lungo soggiorno presso di lei. Si capì molto presto che si trattava di una tisi galoppante. La mia paziente tornò con la sorella mortalmente malata in patria, dove questa morì rapidamente. L’arrivo [254] a casa coincise con il compleanno della madre, cui la mia paziente portò la moribonda con le parole: “Ecco qui il mio regalo per te”. Questa dichiarazione, che – come si mostrerà a breve – aveva un duplice significato, fu profondamente rimossa e venne ricordata solo con grande sforzo e solo diversi anni dopo la scomparsa delle emorragie.
E ora la cosa curiosa: le emorragie erano iniziate nello stesso mese in cui anni prima era stata fatta alla sorella la diagnosi di tisi e durarono fino al compleanno della madre, per poi scomparire. Questa relazione insegna che il complesso rimosso si rapporta al ricordo attraverso la polmonite, organica, esattamente come fa ad esempio tramite l’attacco convulsivo isterico. Entrava qui in gioco lo jus talionis, poiché la mia paziente si considerava doppiamente colpevole per la morte della sorella: anzitutto perché credeva di aver provocato con la propria imprudenza il contagio tubercolotico, e poi perché durante il viaggio di rientro in patria aveva lasciato giacere sua sorella sola e inerme nella cabina del piroscafo, mentre lei stessa flirtava e fumava sigarette sul ponte con un paio di passeggeri. Ancora cinque anni dopo le emorragie, nella ricorrenza del giorno della morte, si presentò nausea per l’odore di sigaretta, che altrimenti era sempre ben tollerato.
Con tutto ciò, comunque, ancora non si spiega perché l’inconscio della mia paziente avesse scelto quale sintomo proprio le emorragie. La sorella aveva certo avuto una severa tosse polmonare, ma non emottisi; piuttosto si presentavano in lei continue nefrorragie. Ora, risultò che l’emorragia doveva rappresentare un parto. La paziente, nonostante gli organi riproduttivi in perfetta salute e benché ami tantissimo i bambini, non ha avuto figli, per giunta intenzionalmente. A motivo ella adduceva che, poco prima dell’epoca dello sviluppo, durante una visita in clinica aveva sentito urlare terribilmente una donna. L’aveva interpretato come l’urlare di una partoriente e si era solennemente giurata in quel momento che non avrebbe mai avuto un bambino. Intorno a quel periodo aveva visto in un museo anatomico modelli in cera di bambini con sifilide ereditaria e ciò aveva rinforzato la sua decisione, poiché non si poteva mai essere sicuri che non si fosse presentata la sifilide nella famiglia del marito. Con questa motivazione apparente, tuttavia, la malata nascondeva soltanto complessi più profondi, anzitutto il desiderio oltremodo intenso di incesto con il padre, il solo e unico da cui avrebbe voluto avere un figlio, e poi l’angoscia per la nemesi. Al tempo in cui [255] compariva l’angoscia per il parto – la malata aveva allora 13 anni – era nata la sorella più piccola. Ella aveva doppiamente [9] odiato sua madre, con sofferta gelosia, per questa gravidanza tardiva e con sommo ardore aveva trasferito quest’odio sulla sorella più piccola, nutrendolo nel corso degli anni successivi finché esso non fu tale da provocare la separazione da patria e padre. Anche il pensiero della sifilide venne escogitato al fine di questo distacco dal padre; la malata sfruttò una piccola sicosi [10] del padre per convincersi che anche lui era sifilitico. La paura di essere punita con il parto e [per interposta persona] nel bambino *[11] a causa questi pensieri peccaminosi accumulatisi, con i quali per anni si era ripetutamente trastullata in fantasia e che di quando in quando aveva tradotto in azione, ha il suo fondamento in condizioni che riconducono fino alla primissima infanzia e che portano di nuovo direttamente alla nascita della sorella morta di tisi. Dall’analisi dei sogni, delle abitudini e degli svariati sintomi nevrotici e organici emerge infatti che la mia paziente, bimba di quattro anni, aveva cercato di interrompere la gravidanza di sua madre con un calcio al ventre.
Così considerata, l’emorragia appare come l’espressione di massicce condensazioni, anzitutto del concreto tentato omicidio nell’infanzia e della colpevolezza artificiosamente escogitata per il contagio [della sorella] *[12], poi del desiderio d’incesto e del desiderio di un figlio, rimosso e sostituito dall’angoscia. Vi rientrava infine ancora il sentimento – si potrebbe quasi dire universalmente valido – di nemesi della donna, forse anche dell’uomo, per cui deve essere versato il suo sangue poiché ella nascendo ha fatto versare sangue alla madre. C’è infine nella condensazione ancora l’adempimento del desiderio di dare la vita per la madre [13]. La strana frase: “Ecco qui il mio regalo per te”, non è solo l’espressione di un odio irrimediabilmente maligno per l’amore non corrisposto, del trionfo sulla morte del bambino di cui la malata era stata defraudata dalla madre *[14]; essa è piuttosto da prendere alla lettera, nella sua ambivalenza e da intendere così: [“]come segno che io, per amor tuo, madre mia, rinuncio a figli miei, li uccido nel mie grembo, nel giorno della commemorazione del parto [da cui sei nata] ti porto colei che sta morendo, la sorella da me amata come una figlia mia[”].
La mancanza di figli, apparentemente intenzionale, è dunque in verità un prodotto di rimozioni che si possono seguire almeno fino ai quattro anni, ma che probabilmente [256] si riallacciano più indietro, alla nascita della sorella [ancora] precedente e che dunque sono iniziate all’età di due anni. Proprio come nel sogno, proprio come nella nevrosi, proprio come in migliaia di manifestazioni diverse della vita, anche qui la censura ha esercitato la sua funzione e ha deformato il materiale infantile associandolo a situazioni che per questioni cronologiche risultavano più plausibili; che ella si sia in ciò servita così tanto della condensazione l’ho spiegato, se non proprio completamente, quantomeno a sufficienza. Anche lo spostamento dell’atto del parto dai genitali ai polmoni è stato chiaramente sottolineato e positivamente fondato sul desiderio inconscio della malata di punirsi per l’assassinio della sorella. Restano ancora soltanto da scoprire ulteriori ragioni del perché l’inconscio non abbia scelto semplicemente emorragie uterine per rappresentare il parto, come peraltro accade spesso, e perché, se si è dovuta respingere l’emorragia uterina, non sia stata impiegata la nefrorragia, sul modello della sorella. Che la censura non abbia permesso le metrorragie, diviene comprensibile se si prende in considerazione l’atteggiamento della malata verso il suo essere donna. Non ha mai accettato di non essere un uomo, o meglio, di non essere al contempo uomo e donna. Ossia, nel suo più intimo è fissata all’idea che ci sia assolutamente un solo genere sessuale che ha seno femminile e genitali maschili. Il corso della sua intera vita, le sue abitudini, abbigliamento, acconciatura, il suo modo di pensare e di parlare lo dimostrano *[15], e questa fissazione alla teoria infantile non solo ha influito fortemente sulla conformazione del volto, non solo ha rallentato *[16] il sopraggiungere delle mestruazioni fino ai 16 anni, ma ha anche portato a una strana malformazione dell’area dei suoi genitali, che con l’ausilio di dilatazioni veneree simula qualcosa che per l’inconscio è un pene. Mi riservo di tornare in altro contesto su questo strano comportamento dell’inconscio, che ho più volte riscontrato. È qui sufficiente constatare che la censura non ha potuto consentire la rappresentazione di un parto per mezzo dei genitali perché avrebbe dovuto prima eliminare il desiderio di un pene.
Nemmeno la nefrorragia poteva essere impiegata, perché anche allo svuotamento dei reni partecipavano rimozioni irrisolte. Per quanto riesce a seguire i suoi ricordi, la malata non ha mai utilizzato il vaso da notte né mai urinato all’aperto, comportamento altrimenti non raro. Con l’[257] analisi di questa peculiarità sono venute alla luce tre cose: anzitutto un ricordo dell’età adolescenziale, in cui vedeva una ragazza che non conosceva accovacciata su uno scoglio sopra di lei per urinare. La vista del rosso dei genitali aperti le fece un’impressione sconvolgente. Il secondo elemento offre una rappresentazione confusa di lei che gioca all’aperto con alcuni ragazzi i quali fanno anche pipì. Il terzo fattore è un disgusto per l’eccitante ricordarsi di un enorme vaso *[17] che è stato utilizzato da sua madre, più precisamente ella lo mette in relazione alla sua sorella più piccola, senza però poter indicare nulla di certo in proposito. Il rosso della prima comunicazione, fortemente sottolineato, conduce direttamente al complesso di castrazione, tanto più che la malata era solita chiamare *[18] l’apertura sessuale femminile [“]la grande ferita[”]; l’accostare la sorella più piccola al vaso da notte della madre trova spiegazione nell’idea di castrazione legata all’osservazione dell’urina durante le mestruazioni e il parto *[19], – durante quel puerperio la malata era rimasta per giorni al capezzale di sua madre, apparentemente senza notare alcunché dell’emorragia. L’oscuro ricordo dell’urinare dei ragazzi, infine, conduce direttamente all’origine dell’avversione di mostrarsi durante la minzione, l’imbarazzo dovuto alla mancanza di un pene. Poiché l’urina insanguinata richiama senz’altro il complesso di castrazione, la nefrorragia è stata vietata dalla censura quale via di rappresentazione del parto.
Questo breve estratto da una lunga storia clinica insegna che le idee di Freud possono essere impiegate per la spiegazione e il trattamento delle malattie organiche. L’inconscio sfrutta la rimozione per provocare malattie tanto organiche quanto nevrotiche *[20]. Esso si difende organicamente o fisicamente, a seconda della propria scelta, contro il divenir cosciente del rimosso.
8 anni fa fui consultato da un operaio con cui avevo portato avanti un’attività sociale che ci accomunava. Circa sei mesi prima mi aveva raccontato occasionalmente la storia della sua vita: era stato allevato in modo rigorosamente cattolico da sua madre in un piccolo villaggio di montagna, senza mai frequentare una scuola. Il padre era morto precocemente. Inizialmente aveva trovato lavoro come pastore di capre, poi un calzolaio l’aveva introdotto al mestiere. Lì andava di quando in quando un uomo cieco, chiamato in paese il “bestemmiatore” perché non era mai andato in chiesa. Terminato l’apprendistato si era messo in viaggio e infine si era sistemato. [258] Ora, durante quella consultazione mi raccontò che era miope sin dall’infanzia, che da qualche tempo aveva spesso emorragie retiniche e che l’oculista gli aveva ordinato di lasciare il suo lavoro di calzolaio e di dedicarsi invece a un’attività all’aperto. Così si sarebbe potuta arrestare ancora a lungo la cecità, che certamente sarebbe sopraggiunta. Nel corso della conversazione venne anche alla luce che le emorragie si presentavano principalmente in autunno e che in quel periodo si impadroniva di lui una strana tristezza. Alla domanda di [dire] un numero, indicò 8, negando tuttavia di avere vissuto a 8 anni una qualche esperienza che avesse avuto un significato per la sua vita interiore. Mi venne in mente in quel momento che nel riferire delle sue traversie aveva raccontato a lungo del bestemmiatore cieco del suo paese natale e gli chiesi se egli avesse mai imprecato contro Dio. Sorrise con superiorità e mi spiegò che per lui non esistevano né Dio né chiesa, con cui da molto aveva chiuso. Non aveva ancora finito di dirlo che si accasciò svenuto sulla sedia. Quando si risvegliò, riferì tra le lacrime che in realtà una volta aveva compiuto un atto blasfemo, “e sì, è stato quando avevo 8 anni. Ero andato con mio fratello e un altro ragazzo all’ingresso del villaggio e lì abbiamo lanciato delle pietre contro il crocifisso al limitare del villaggio e il Cristo di legno è caduto e si è spezzato. Non l’ho mai detto a nessuno, né l’ho confessato da piccolo. E così sarà *[21]. Ed è accaduto in autunno, infatti era all’incirca il compleanno di mio fratello e questo cade in ottobre”. Gli diedi alcune prescrizioni mediche *[22] e le emorragie non si presentarono per un anno intero. Tornò l’ottobre successivo; durante la notte si era presentata una piccola emorragia. Suo figlio l’aveva colpito all’occhio la sera precedente, doveva essere dipeso da ciò. Gli chiesi [di dire] un’ora del giorno e indicò le 5. Alle 5 era salito sul tram [23] a una certa fermata. Lo congedai con il compito di verificare cosa potesse avere visto in quel posto. Quando tornò, riferì che di fronte alla fermata c’era un crocifisso che stranamente egli non aveva mai notato, benché salisse quotidianamente sul tram in quel punto. Venne poi fuori, ancora, che quello stesso giorno aveva ricevuto una lettera da suo fratello, che aveva partecipato all’atto blasfemo, colma di lagnanze per la sua desolata povertà. Da allora le emorragie si arrestarono per quindici mesi. Nel gennaio 1915 ricevette la notizia che entro otto giorni avrebbe dovuto presentarsi in un certo luogo *[24] per il servizio militare. Due [259] giorni prima di partire si presentò durante la notte una nuova emorragia. Dalla domanda sull’ora del giorno risultò che alle 12 aveva parlato con un uomo che portava una croce di ferro sul petto. Negli ultimi cinque anni non si è più presentato alcun disturbo benché il paziente, che nel frattempo ha nuovamente cambiato lavoro, sieda quotidianamente alla scrivania dalle otto alle nove ore *[25].
L’oggetto della rimozione è in questo caso oltremodo chiaro, si tratta di Cristo e della croce. Tuttavia dietro di esso è conficcato *[26], in uno strato più profondo, il complesso di Edipo; infatti Cristo in croce è il simbolo dell’incesto con la madre, la cui rimozione va mano nella mano con la rimozione della colpa per il parricidio. Il malato, come ho detto, aveva perso suo padre molto presto. Per la scelta della malattia agli occhi quale punizione e strumento della resistenza contro il ricordo furono decisive per l’inconscio la conoscenza del bestemmiatore del villaggio e la profonda connessione, nascosta nell’essere umano e non ancora del tutto chiarita, tra complesso edipico e occhi [27].
Caratteristico di questo caso è il modo in cui l’inconscio protegge il rimosso dal ricordo *[28]. Anzitutto provoca l’atto blasfemo, che è una diretta distruzione del simbolo incestuoso, e lo deposita sopra il complesso di Edipo, sì che questo viene completamente coperto. Poi fa insorgere la miopia, che è sempre un segno che il mezzo abituale costituito dal vedere inconsciamente le cose, per come noi lo usiamo quotidianamente, non è sufficiente, e dove nemmeno questo basta *[29] ricorre alla perdita progressiva della vista [30]. Analogamente l’inconscio si comporta con altri sensi, sfrutta malattie dell’orecchio acute e croniche per la riduzione dei tabù dell’udito [31], fa insorgere il raffreddore o l’ipersensibilità del naso [32] per rifiutare impressioni olfattive, materializza una patina sulla lingua per impedire i sapori o alterare le sensazioni [gustative] passibili di suscitare emozioni *[33]. Analogamente si comporta l’inconscio anche con gli organi di movimento; così per esempio le malattie artritiche delle mani sono strumenti dell’inconscio nella lotta per la rimozione del complesso di masturbazione, che nell’equazione simbolica orgasmo-morte, Eros-Thanatos [34] ha importati relazioni con la fantasia omicida e, nell’ulteriore equazione pene-genitore-padre e utero-madre [35], con il complesso edipico. Mi interrompo [qui] e passo ad altre osservazioni *[36].
L’inconscio sfrutta malattie organiche – più in generale processi organici – per la rappresentazione mimica del rimosso [260] esattamente come impiega per questo scopo l’attacco convulsivo isterico o un qualsiasi altro sintomo nevrotico.
Alcuni anni fa sono stato consultato da una signora che soffriva di un ingrossamento al seno sinistro *[37]. Suo fratello, un rinomato studioso nel campo della ricerca sul carcinoma, aveva diagnosticato un cancro. Dall’analisi – oltre all’errore diagnostico, visto che il tumore scomparve – risultò quale fattore decisivo il fatto che sopra il letto dei genitori era appesa una copia della [“]Flora[”] di Tiziano [38]. Il constante rigonfiamento del seno era una rappresentazione di questo quadro che aveva lasciato un’impronta profonda sulla libido infantile; in uno strato più profondo [era] la rappresentazione del secondo puerperio di sua madre che allattava la sorella più piccola, cui ella era libidicamente legata, evento in cui il suo inconscio, che giocava a fare il maschio, sfruttava un seno come maschera del pene e quello sinistro come allusione alla riprovazione dell’incesto e dell’omosessualità. Analogamente, all’opposto, sta un caso di avvizzimento, durante la crescita *[39], di uno dei seni in una donna nevrotica, in cui, durante il trattamento analitico, la differenza tra i seni si appianò 15 anni dopo essersi sviluppata. Occasione per la rimozione e per la rappresentazione organica del rimosso fu la ripetuta e proibita frequentazione di una panetteria durante la pubertà per acquistare dolciumi. All’ingresso di quel negozio era appesa una cartolina che rappresentava un uomo mentre infilava la mano nella camicetta sbottonata di una ragazza e le toccava il seno, la “palpava”. L’espressione “palpare” conduceva al complesso di castrazione, che era il punto nodale della nevrosi della malata e che era stato simbolizzato dall’inibizione della crescita [40]. Ricordo in proposito il fatto certamente noto a tutti che le operazioni che comportano amputazioni, in particolare di dita delle mani e dei piedi, vengono sfruttate dall’inconscio come rappresentazioni figurate della castrazione *[41]. La conclusione che anche la malattia causa dell’intervento venga provocata dall’inconscio al fine di mimare l’intervento stesso, per quanto ne so non è ancora stata tratta. Posso tuttavia dire, sulla base di certi successi analitici, che specialmente l’appendicite [42] e l’ovarite [43] hanno una relazione per molti versi obbligata con l’idea di castrazione *[44]. L’appendice viene scelta perché nell’immaginario del malato, in quanto sacco con il peso morto del prolungamento vermiforme, simbolizza gli organi maschili; l’ovaia a partire dalla curiosa idea, fondata sull’ignoranza, che sia una struttura analoga a un bastone da passeggio cui sono attaccate le uova [45] .
[261] Quale esempio di fissazione [46] cito l’infantilismo, in riferimento al quale menziono, per la loro peculiarità, due casi di fissazione parziale della crescita dei peli *[47]; in due delle mie pazienti *[48] i peli ascellari mancano quasi del tutto, mentre quelli pubici si sono sviluppati adeguatamente.
Le regressioni sono note a tutti noi nelle sospensioni temporanee delle mestruazioni *[49], cui però collabora quasi sempre anche l’appagamento del desiderio di gravidanza. Non è rara la connessione tra caduta di denti e di capelli e regressione (la rappresentazione della castrazione e la realizzazione del desiderio di partorire vi partecipano sempre *[50]). In ultima analisi, ogni malattia è una regressione all’infanzia, addirittura alla primissima infanzia o al periodo prenatale; in questo, nuovamente, va considerato l’appagamento del desiderio: quello di venir accuditi dalla madre.
All’ambito dell’appagamento del desiderio appartengono soprattutto le innumerevoli malattie ginecologiche. L’esame medico e le manipolazioni a esso associate sono così strettamente legati ai desideri di esibizione e ad altri desideri libidici, rimossi *[51] e tornati liberi con il pretesto della cura, che diviene comprensibile l’enorme diffusione di questo autoinganno dell’inconscio per infrangere il tabù. Segnalo al tempo stesso che in questo modo l’inconscio ha creato la ginecologia, quasi sconosciuta solo un secolo fa *[52], con tutti i suoi vantaggi e svantaggi. Sarebbe compito appagante quello di indagare l’origine delle specialità della nostra scienza medica, così come i nemici della psicoanalisi hanno fatto con la teoria di Freud.
I due fattori che guidano il trattamento psicoanalitico e che sono decisivi nella sua applicazione, resistenza e transfert, sono noti da sempre nella terapia organica, se così si può dire. In realtà ci si è adirati per la resistenza, si è cercato di superarla, a seconda del talento personale, con la cafonaggine o la lusinga, e le conseguenze del transfert sono state descritte a totale soddisfazione della propria perfezione. Che Freud abbia chiaramente detto cosa significhino in realtà queste cose, ci ha resi modesti e più sicuri. Questa teoria, la più importante delle sue dal punto di vista pratico, può diventare forse l’unico bene comune per tutti i medici; essa dovrà diventarlo e per questo lo diventerà. Nel trattamento della resistenza e del transfert è racchiusa tutta la sapienza dell’agire medico.
[262] Nell’organico dell’uomo, sia esso sano o malato, la resistenza ha lo stesso influsso che nelle nevrosi. Ogni giorno di trattamento di ogni malattia ne fornisce la prova. Solo un esempio, al posto di qualsiasi discussione. Come allievo di Schweninger sono stato abituato fin dal principio a controllare scrupolosamente il peso di ogni malato. Ora, non si ha un incremento ponderale quando il paziente dovrebbe calare se non è presente una certa resistenza in senso freudiano contro il medico; né si dà un calo ponderale laddove il malato dovrebbe aumentare senza la presenza di una resistenza analoga. 
Si trova in cura da me un malato che da un anno soffre tra l’altro di nefrorragie. Nel momento in cui queste emorragie iniziarono a diminuire e a ripresentarsi solo di quando in quando, potei confermare regolarmente che ogni nuova emorragia si fondava su una resistenza di nuova formazione e scompariva con la soluzione di tale resistenza.
Ogni peggioramento della malattia è il segno che c’è una resistenza. Me lo prova l’esperienza, ma è anche un’esigenza teorica assoluta, proprio perché in realtà la resistenza non è rivolta al medico ma al rimosso, ossia dovrebbe tenere il malato stesso lontano dalla presa di coscienza del rimosso. La resistenza non si fonda mai soltanto sulla natura o sul comportamento del medico, è anzi diretta in prima linea contro la natura e il comportamento del malato stesso e viene proiettata sul medico soltanto perché l’autorimprovero è sgradevole e il rimosso verrebbe alla luce. Non ho mai visto un’eccezione a questa regola secondo cui il malato dovrebbe rimproverare a se stesso quel che affibbia al medico e la ritengo universalmente valida. La resistenza è una forma di transfert *[53] da sé alla persona del medico.
Il trattamento delle malattie organiche e dunque il successo del trattamento sono soggetti alla legge del transfert. Chi conosca questa legge non si aspetterà che io consolidi la mia affermazione con degli esempi. Lo spazio della rivista non sarebbe sufficiente nemmeno per uno solo. Voglio però al suo posto richiamare l’attenzione su una peculiare forma di transfert, che ha grande importanza nell’organico, ossia il transfert dall’oggetto al soggetto, un transfert dall’estraneo a se stessi, dunque piuttosto un appropriarsi, una sorta di imitazione nell’inconscio. La questione in sé è comunemente nota per le nevrosi, anche per la vita quotidiana e presumibilmente ne esiste anche un’opportuna denominazione [54]. Nell’ambito dell’organico sembra essere meno tenuta in conto, benché sia o forse perché *[55] è tanto importante e tanto enigmatica quanto l’ereditarietà, la quale è un più comodo luogo di incontro tra fantasie profane e scientifiche.
Ho già fornito un esempio di un tale transfert dell’oggetto sul soggetto con il racconto della signora della [“]Flora[”] di Tiziano. Conosco un altro caso simile, in cui una ragazza molto vanitosa per via della sua bellezza, si appropriò dei seni avvizziti di una donna anziana, un terzo in cui la mammella della mucca e inoltre il pene sono stati trasformati in seni cadenti; ho visto l’ingrossamento e lo sporgere di un globo oculare comparire alla vista dell’immagine di un orbo da un occhio e scomparire dopo la soluzione dei complessi *[56], poi ricomparire e di nuovo scomparire. Ho spesso incontrato l’acquisizione di un eczema altrui, di certe rughe, della caduta dei capelli, dei segni della gravidanza come l’ingrossarsi del ventre e dei seni e l’amenorrea. La questione ha un significato tanto grande che riserverò il mio materiale per una successiva pubblicazione.
Da tutto ciò di cui ho qui parlato emerge che la psicoanalisi dell’organico ha proprio le stesse leggi teoriche e proprio gli stessi successi pratici di quella delle nevrosi *[57], [58].
  
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Bibliografia
 
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[1] Titolo originale: “Über die Psychoanalyse des Organischen im Menschen. In Internationale Zeitschrift für Psychoanalyse, 1922 (VII), Heft 3, 252-63.
[2] Sulla base di una conferenza al VI Congresso psicoanalitico internazionale, L’Aia, settembre 1920.
[3] [NdC] Tra parentesi quadra i numeri di pagine dell’originale. Mie anche tutte le altre parentesi quadre.
[4] [NdC] In 1921c si ha: “a distanza di quattro settimane” (pp. 125-6). Originale: “in dem kurzen Zeitraum von vier Wochen”.
[5] [NdC] In 1921c viene specificato: “quotidianamente” (p. 126). Originale: “förderte Material zutage”. È possibile che “zutage” sia stato inteso in funzione avverbiale e non di costruzione verbale (“zutage fördern”)?
[6] [NdC] Riferimento a Ferenczi, 1912. Groddeck virgoletta l’aggettivo in quanto compare espressamente nel titolo del lavoro dello psicoanalista ungherese.
[7] [NdC] In 1921c viene reso: “possibilità di investimento prossimi [sic] al narcisismo” (p. 126; parentesi quadre mie). Originale: “dem Narzißmus zunächst liegenden Besetzungsmöglichkeiten”.
[8] [NdC] In 1921c: “le fibre”. L’originale è privo di indicazioni e ha solo il sostantivo “Fasern” (“Hier wurzeln vermutlich Fasern…”).
[9] [NdC] Ossia sia perché la madre si era sostituita a lei nell’avere un figlio dal padre sia perché aveva sostituito a lei la nuova bambina nel proprio amore.
[10] [NdC] “Bartflechte” nell’originale. La sicosi è un’affezione dei follicoli piliferi del viso che determina formazione di pus (fonte: Treccani
). 
[11] [NdC] In 1921c si ha: “di essere punita con un parto e con la nascita di un bambino” (p. 128). Originale: “durch die Entbindung und in dem Kind bestraft zu werden”. In considerazione della particolare scelta di Groddeck, che non scrive “durch das Kind” ma “in dem Kinde”, avanzo l’ipotesi che la punizione temuta dalla sua paziente, al di là dei dolori provocati dal parto (Entbindung) non fosse il bambino in sé, ma il fatto che questi potesse nascere sifilitico, realizzando quei terrori generati in lei dalla vista dei modelli di cera di bimbi infetti.
[12] [NdC] Al posto di “colpevolezza artificiosamente escogitata per il contagio [della sorella]”, in 1921c si ha una perifrasi più lunga: “il suo avere escogitato che il padre era sifilitico, colpevolizzandolo per questo” (p. 128). Originale: “der künstlich ersonnenen Ansteckungsschuld”.
[13] [NdC] Nell’originale si ha: “für die Mutter das Herzblut zu geben”, lett: “dare il sangue del cuore per la madre”. Si tratta di un modo di dire che in tedesco conserva, attraverso la radice “Blut” (sangue), il nesso inteso da Groddeck tra emorragia (Blutung) e il dare la vita (das Herzblut geben), perso in italiano. Anche nel prosieguo del saggio si vedrà come per Groddeck questi intrecci linguistici siano fondamentali per accedere all’interpretazione del sintomo organico, al suo significato psichico inconscio. Groddeck, 1921c preferisce un più letterale “dare alla madre il proprio sangue” (p. 129), che se da un lato conserva il nesso fondato sulla parola “sangue”, dall’altro perde quello con il binomio vita-morte.
[14] [NdC] In 1921c: “con il quale la malata è stata tradita dalla madre” (p. 129). Originale: “um das die Kranke von der Mutter betrogen worden war”. La differenza è significativa, in considerazione della doppia corrente di odio della paziente verso la madre poco sopra descritta da Groddeck. Secondo la mia lettura si fa qui riferimento alla componente d’odio legata al fatto che la madre si era sostituita alla malata nell’avere un figlio dal padre, defraudandola dunque di ciò; in 1921c il passaggio viene letto invece rispetto all’altra componente d’odio: la madre tradisce la malata preferendo nel suo amore l’ultima nata.
[15] [NdC] In 1921c manca “lo dimostrano” (originale: “beweisen das”) per cui si ha: “… il suo modo di vestire, di pettinarsi, di pensare e di parlare e la fissazione alla sua teoria infantile…” (p. 130). Per inciso, quanto a “teoria infantile” l’originale, che seguo, non esplicita alcun possessivo (“an die infantile Theorie”), benché sia chiaro che si tratta della teoria infantile della paziente.
[16] [NdC] In 1921c manca il verbo “ha rallentato” (originale: “hat… verzögert”) per cui si ha: “non si sono limitati ad influenzare solo la conformazione del viso o la comparsa del primo mestruo all’età di sedici anni” (p. 130).
[17] [NdC] In 1921c si ha più specificatamente: “vaso da notte” (p. 130). L’originale ha qui solo “Topf”, non “Nachttopf” come nella precedente occorrenza. Ho ritenuto che Groddeck abbia volutamente impiegato il termine più generico per trasmettere al lettore la poca chiarezza del ricordo in questione, dichiarata in chiusura di frase; in tal senso ho tradotto. In ogni caso, che si tratti effettivamente di un vaso da notte verrà chiarito dall’autore stesso poche righe più sotto.
[18] [NdC] In 1921c si ha il presente: “usa definire” (p. 130). Ma si tratta qui del modo in cui la paziente chiamava i genitali femminili durante l’infanzia, non al momento della cura con Groddeck. L’originale ha qui: “zu nennen pflegte”,
[19] [NdC] In 1921c si ha un semplice elenco: “dell’urina, delle mestruazioni, del parto” (p. 131), ma il punto è proprio l’aspetto delle urine in concomitanza tanto con le mestruazioni quanto con il parto, come chiarisce la fine del capoverso, in cui si parla di “urina insanguinata”. L’originale ha: “Menstruations- und Entbindungsurins”.
[20] [NdC] Questa frase è assente in 1921c. Corrisponde all’originale “Das Unbewußte benützt die Verdrängung ebenso zur Herstellung organischer wie neurotischer Leiden”.
[21] [NdC] Questa breve proposizione (“Und das wird es sein”, nell’originale), viene così resa in 1921c: “E credo che questo sia il motivo” (p. 132). Per come intendo io, il paziente di Groddeck sta dicendo: “Non l’ho mai detto a nessuno e così continuerò a fare”.
[22] [NdC] In 1921c: “alcuni suggerimenti” (p. 132). L’originale riporta “Verordnungen”, che in contesto medico, qual è appunto quello della conversazione tra Groddeck e il paziente, può indicare specificamente le prescrizioni mediche. Ho optato dunque per questo significato più specifico.
[23] [NdC] L’originale ha qui un termine più generico, “elektrische Bahn”, ossia via elettrica.
[24] [NdC] “da und da” nell’originale. 1921c tralascia.
[25] [NdC] In 1921c: “nonostante il paziente abbia cambiato nel frattempo molte volte il suo lavoro e trascorra molte ore seduto davanti alla scrivania”. Originale: “Obwohl der Patient, der inzwischen wiederum seinen Beruf gewechselt hat, täglich acht bis neun Stunden am Schreibtisch sitz”.
[26] [NdC] In 1921c: “Dietro si nasconde però” (p. 133). L’originale ha:  “Dahinter steckt jedoch”. Il verbo è dunque “stecken” (“piantare”, “conficcare”, così come “essere piantato/conficcato”), non “verstecken” (“nascondere”). Ho conservato una traduzione letterale in quanto mi pare qui di cogliere l’intento di Groddeck di veicolare una precisa immagine: come la croce è piantata a terra, conficcata nel terreno e in un certo strato dell’inconscio del paziente, così si conficca più in profondità in esso il complesso di Edipo.
[27] [NdC] In un lavoro del 1932 dedicato alla vista, Groddeck tornerà a riflettere sul nesso percorrendo la via etimologica e linguistica, che abbiamo già trovato in un passaggio precedente e che di nuovo incontreremo. Egli parte dal sostantivo tedesco Zeuge, testimone, cui si associa il verbo zeugen, che ha il doppio significato di “testimoniare” e “generare”. Ciò trova conferma in latino, dove il testimone è detto testis da cui anche “testicolo”. L’etimologia di zeugen può riportare a zu äugen, (äugen = guardare). Tale etimologia giustifica il primo significato assunto dal verbo zeugen legato all’aver guardato (condizione necessaria del testimoniare), mentre il secondo viene a raccordare l’occhio alla sessualità (maschile in particolare, secondo la trama latina per cui testimone-testis-testicolo) (Groddeck, 1932, 143 e segg.) 
[28] [NdC] In 1921c: “come l’inconscio protegga ciò che del ricordo è stato rimosso” (p. 133). L’originale ha:  “wie das Unbewußte das Verdrängte vor der Erinnerung schützt”. Può darsi sia qui occorso un refuso di lettura: “von” al posto di “vor”.
[29] [NdC] L’inserto “e dove nemmeno questo basta” manca in 1921c.
[30] [NdC] Questa affermazione è quella che più si avvicina al contenuto dell’abstract scritto da Groddeck per gli atti del Congresso de L’Aia.
[31] [NdC] Traduzione letterale (“zur Verminderung von Gehörstabu”). Il senso mi pare essere: per ridurre l’udibilità di ciò che (dall’inconscio) è considerato tabù.
[32] [NdC] Ossia l’allergia.
[33] [NdC] In 1921c: “sensazioni“. L’originale ha però un termine particolare, “Gefühlsempfindungen”, costituito dall’accostamento di “Gefühl” (“sentimento”) e di “Empfindung(en)” (“sensazione”). Si tratta di un termine molto specifico, proposto dal filosofo e psicologo tedesco Carl Stumpf nell’aprile del 1903 (Stumpf, 1907, 1 n. 1). Egli così definisce le “Gefühlsempfindungen”: “… non sono sensazioni di sentimenti, ma sensazioni che stanno alla base dei sentimenti e che stanno con essi in rapporti prossimi e abituali (Stumpf, 1907, 15). Venticinque anni dopo, Stumpf dedicherà al concetto e alla sua distinzione da quello più lineare di “sentimento” (“Gefühl”) un intero volume (Stumpf, 1928). Nel testo, nel rendere con una parafrasi ho preferito a “sentimento”, dato il contesto, il sostantivo “emozione”.
[34] [NdC] La presenza di questi due termini è molto significativa. Groddeck inviò infatti a Freud il manoscritto del presente saggio a metà ottobre 1920, quando ancora non aveva avuto modo di leggere il saggio di Freud Al di là del principio di piacere, in cui l’autore introduceva appunto la coppia di termini. Dal carteggio tra Freud e Groddeck sappiamo che il primo annunciò al secondo l’uscita del volume soltanto nella lettera del 28 novembre 1920 e che Groddeck gli rispose il 31 dicembre scrivendo di non avere “ancora in mano la Sua nuova opera” (Freud, Groddeck, 1970, 44, 45). Benché sia vero che già anni prima Wilhelm Stekel aveva utilizzato la coppia di termini Eros-Thanatos (Stekel,1909, 489; per una breve ricostruzione storica: Lualdi, 2015, 281 n 400), il fatto che qui Groddeck impieghi tali termini suggerisce fortemente che egli abbia letto Al di là del principio di piacere e richiesto successivamente di apportare la modifica al testo ancora non pubblicato. Purtroppo l’epistolario con Freud non fornisce alcun sostengo all’ipotesi (nemmeno su quando Groddeck abbia effettivamente letto il testo di Freud). Può darsi che tra le lettere a Rank conservate nel suo lascito ve ne sia una in cui si rivolge direttamente a questi in qualità di redattore della Zeitschrift per chiedere la modifica. Sarebbe un motivo in più per diffidare della completa sovrapponibilità tra il testo qui presentato e la conferenza tenuta da Groddeck durante il congresso a L’Aia l’anno precedente.
[35] [NdC] Queste due equazioni si fondano in parte sull’etimologia, in parte sui sostantivi tedeschi impiegati dall’autore. Nel primo caso Groddeck impiega la terna “Penis-Erzeuger-Vater”, che trova chiarimento in quanto detto più sopra a proposito del nesso tra occhio e complesso edipico, nesso che passa per il sostantivo tedesco “Zeuge” associato alla sessualità maschile. Nel secondo si ha invece la coppia Gebärmutter-Mutter. Il collegamento tra utero e madre passa dunque per il sostantivo tedesco che sta per utero e che contiene, come sua seconda parte, “Mutter”, ossia “madre”.
[36] [NdC] In 1921c manca quest’ultima frase del capoverso.
[37] [NdC] In 1921c si ha: “destro” (“linken Brust” nell’originale).
[38] [NdC] Si veda l’immagine in apertura al post. Il quadro mostra una donna con il solo seno sinistro quasi scoperto.
[39] [NdC] In 1921c: “Con un meccanismo analogo in una paziente nevrotica si verificò un caso di deformazione della crescita di un seno”. Originale: “Analog in der Umkehrung verhält sich ein Fall von Wachstumsverkrüppelung der einen Brust bei einer neurotischen Dame”. 1921c tralascia quindi in “der Umkehrung”, ossia “all’opposto”, precisazione che consente di comprendere che non si tratta qui di una “deformazione” della crescita ma più precisamente (e letteralmente) di un “avvizzimento” della crescita, ossia esattamente l’opposto dell’aumento di un seno del caso precedente. Più avanti Groddeck ricorrerà al termine più chiaro “inibizione della crescita” (“Wachstumshemmung”).
[40] [NdC] Si tratta probabilmente anche qui di un’interpretazione fondata sulla terminologia e l’etimologia tedesca. Groddeck impiega infatti il verbo “ausgreifen”, che tra i vari significati ha quello di “palpare” o più in generale di “tastare (per scegliere)”. Il verbo è composto da “aus”, (“fuori”) e “greifen”, (“afferrare”), dunque una sorta di “portare fuori, portare via”, che ben si adatta al caso descritto da Groddeck e alle sue riflessioni subito successive. Si veda in proposito il Deutsches Wörterbuch von Jacob Grimm und Wilhelm Grimm (lemma “ausgreifen”).
[41] [NdC] Diversa la resa di questa intera frase in 1921c: “Menzionò a questo proposito il fatto, comunemente conosciuto, che le mutilazioni, specialmente delle dita di mani e piedi, vengono inconsciamente utilizzate come rappresentazioni visive della castrazione” (p. 134). A parte le nette differenze relative al soggetto e al tempo verbale (che in 1921c non è Groddeck al momento in cui scrive, ma la sua paziente durante l’analisi), manca il richiamo specifico al fatto che le amputazioni di cui si parla sono chirurgiche e non accidentali. Precisazione che meglio raccorda la frase con quella immediatamente successiva. Così l’originale: “Ich erwähne bei dieser Gelegenheit die wohl allgemein bekannte Tatsache, daß verstümmelnde Operationen, besonders der Finger und Zehen, vom Unbewußten als bildliche Vorführungen der Kastration benützt werden.
[42] [NdC] Diverse le riflessioni psicoanalitiche su appendice, appendicite e appendicectomia, in particolare negli anni ’20 del secolo scorso o poco dopo. Del rapporto tra appendicectomia e castrazione aveva parlato Abraham proprio al congresso de L’Aia del 1920, esponendo la propria relazione nella mattinatadell’8 settembre, ossia il giorno prima di Groddeck (Abraham, 1921, 124). Groddeck riprenderà il tema di Abraham ne Il libro dell’Es (Groddeck, 1923, 20) e in un tardo saggio del 1933, in cui limiterà alle donne l’interpretazione dell’appendicectomia come simbolo di castrazione (Groddeck, 1933, 213). Tornerà invece a discorrere del significato non dell’intervento, ma della malattia che ne è la causa nel 1926 (Groddeck, 1926, 104). La distinzione è importante, come sottolinea lo stesso Groddeck in queste righe del 1921, in quanto presumere un significato in qualche modo a priori nella scelta della malattia è cosa assai diversa e più radicale del voler interpretare in chiave simbolica le conseguenze (amputazione) dell’intervento con cui a tale malattia si pone rimedio. Anche Stekel proporrà alcune riflessioni sull’appendicite e l’appendicectomia nell’importante e troppo trascurata monografia del 1927 sul feticismo (Stekel, 1927, 432 e 433 n. 6). Qui metterà in luce non solo (indirettamente) l’elemento di castrazione dell’intervento (p. 432) ma anche il notevole investimento narcisistico della parte del corpo asportata (p. 433 n. 6), che va di pari passo con la sua equiparazione inconscia al pene. In merito a quest’opera di Stekel rimando a Lualdi, 2015, 409 e segg. n. 585. Naturalmente da non scordare l’interpretazione di Freud dell’appendicite come “realizzazione di una fantasia di parto” nel caso di Dora, già a inizio secolo (Freud, 1901, 386).
[43] [NdC] Anche la sintomatologia dolorosa associata alle ovaie ricorre in Freud, soprattutto nei suoi primi lavori legati all’isteria. È anzitutto da ricordare il riferimento presente nel sopra citato caso di Dora (Freud, 1901, 385 n. 1). Qui la “cosiddetta ‘ovarite’” viene a sovrapporsi ai dolori da appendicite e si collega inoltre a “disturbi motori della gamba omologa”. Il sintomo era già stato descritto da Freud per il caso di Emmy von N. in Studi sull’isteria (Freud, Breuer, 1892-95, 245) e la sua associazione con le difficoltà di deambulazione accennata con riferimento alla figlia maggiore di questa (Freud, Breuer, 1892-95, 229 n. 1). Ancor prima lo si ritrova in Osservazione di un caso grave di emianestesia in un paziente isterico (Freud, 1886, 31). La sovrapposizione tra appendicite e ovarite viene spiegata da Josef Breuer nel capitolo Considerazioni teoriche da lui scritto per Studi sull’isteria: “nelle isteriche l’ovarialgia porta alla diagnosi di peritonite” (Freud, Breuer, 1892-95, 380) e lo stesso Breuer descrive brevemente un caso di “ovarialgia del lato sinistro con fenomeni di peritonite grave” e “contrattura della gamba sinistra” (Freud, Breuer, 1892-95, 370). In questi primi riferimenti al sintomo manca una sua chiara interpretazione, che si ha solo con Dora nel senso della fantasia di parto, nel cui contesto viene inserita anche la difficoltà di deambulazione intesa come rappresentazione del “commettere un passo falso” (gravidanza indesiderata).
Naturalmente queste occorrenze vanno ben distinte dai quadri di cui sta discutendo Groddeck, nei quali l’appendicite e l’ovarite non sono conversioni isteriche ma vere e proprie patologie organiche. Colpisce comunque che anch’egli accosti appendicite e ovarite, come prima di lui Freud, in particolare per Dora, un caso di cui Groddeck aveva di sicuro letto restandone molto colpito: è infatti il primo scritto di Freud che cita all’inizio del suo primo lavoro psicoanalitico (Groddeck, 1917, 14). Va inoltre considerato che anche le difficoltà di deambulazione posso acquisire valore di castrazione.
A proposito del sintomo isterico dell’ovarite rinvio anche a Lualdi, 2017.
[44] [NdC] In 1921c: “… sono da collegare in vario modo all’idea di castrazione” (pp. 134-5). L’originale ha: “vielfach in bedingtem Zusammenhang mit der Kastrationsidee stehen”. Il punto ostico è in “vielfach in bedingtem”, in quanto l’aggettivo “bedingt” significa “condizionato” (come in “riflesso condizionato”), “limitato” oppure ha valore causale, di “dovuto a”. Mi pare che in 1921c tale aggettivo venga tralasciato; ho cercato di renderlo con “obbligata”, come in qualche modo possiamo ritenere “obbligati” i riflessi condizionati e nel tentativo di conservare le sfumature causali che l’aggettivo originario può avere.
[45] [NdC] Come specifica anche 1921c (p. 135), questa riflessione di Groddeck si basa sui termini tedeschi “Eierstock” (“ovaia) e “Spazierstock” (“bastone da passeggio”). Letteralmente, dunque, “Eierstock” sarebbe “bastone (“Stock”) delle uova”.
[46] [NdC] Groddeck impiega qui e poco dopo “Fixation”, non il termine “Fixierung”, decisamente più usuale negli scritti psicoanalitici a partire dallo stesso Freud.
[47] [NdC] In 1921c si ha: “due casi… di irsutismo” (p. 135). L’originale è qui piuttosto curioso e ho preferito renderlo in maniera molto aderente: “zwei Fälle von teilweiser Fixation der Behaarung”. Suppongo che il senso sia che si tratta di due casi in cui la fissazione infantile (infantilismo) si traduce organicamente nel fatto che in alcune regioni del corpo (dunque parzialmente) il pelo non è cresciuto, come appunto sul corpo dei bambini. L’irsutismo indica invece, al contrario, l’eccessiva crescita di pelo, cosa che si vedrà non essere vera nella descrizione immediatamente seguente delle due pazienti.
[48] [NdC] 1921c rende al maschile: “due dei miei pazienti” (p. 135). L’originale ha: “zwei Patientinnen meiner Klientel”.
[49] [NdC] In 1921c si ha: “è noto a tutti noi che le regressioni si verificano con la temporanea sospensione del mestruo” (p. 135). L’originale: “Die Regressionen sind uns allen in dem zeitweisen Ausbleiben der Menstruation bekannt”.
[50] [NdC] In 1921c si ha: “quasi sempre” (p. 135, corsivo mio). L’originale ha però solo “stets”.
[51] [NdC] In 1921c manca questo aggettivo (“verdrängten” nell’originale).
[52] [NdC] In 1921c si ha: “fino a mezzo secolo fa” (p. 135). L’originale: “vor einem Jahrhundert”.
[53] [NdC] Qui 1921c resta molto più aderente di me all’originale e scrive: “La forma di resistenza è una traslazione…” (p. 137). L’originale: “Die Form des Widerstandes ist eine Übertragung…”. Si potrebbe altrimenti intendere qualcosa come: “La resistenza si forma come un transfert…”
[54] [NdC] Commento molto allusivo di Groddeck, in cui riecheggia quella fatica di esprimersi con un linguaggio troppo codificato e formalizzato, alla quale fa espresso riferimento nella lettera a Freud del 17 ottobre 1920, che accompagna il manoscritto: “Per me questo tentativo di affrontare questioni di terminologia è una necessità, perché rischio sempre di essere frainteso. Dopo questa prova spero… di poter tornare, con la coscienza placata,
al mio gergo personale, con cui mi ritrovo meglio

al mio gergo personale, con cui mi ritrovo meglio…” (Freud, Groddeck, 1970, 39).
[55] [NdC] “obwohl oder vielleicht weil” nell’originale. 1921c pare tralasciare la seconda parte (“oder vielleicht weil”, “o forse perché”) e rendere solo “obwohl” (da me tradotto con “benché”) con “anche se” (p. 137).
[56] [NdC] “Komplexe” nell’originale. 1921c traduce con “conflitti” (p. 137).
[57] [NdC] Di questa proposizione conclusiva esistono due versioni in tedesco e, oltre alla mia, altre due versioni italiane. Quanto all’originale, la prima versione è naturalmente quella presente nel saggio effettivamente pubblicato e qui tradotto: “Aus allem, was ich hier besprochen habe, geht hervor, daß die Psychoanalyse des Organischen ebensolche theoretische Gesetzte und praktische Erfolge hat wie die der Neurose”. Ne esiste però una seconda e parziale, contenuta nella lettera di Groddeck a Freud del 20 novembre 1920: “geht hervor, daß die Psychoanalyse des Organischen dieselben theoretischen Gesetzte und praktischen Erfolge hat wie die der Neurose” (Groddeck, Freud, 2014, 36). Ciò che qui cambia è la scelta del dimostrativo, “dieselben” (“le stesse/gli stessi”), meno incisivo di “ebensolche” (“proprio le stesse/gli stessi”). In italiano abbiamo dunque anzitutto la traduzione tratta dal carteggio: “da ciò deriva che la psicoanalisi dei disturbi organici segue le stesse leggi teoriche e consegue gli stessi risultati pratici della psicoanalisi delle nevrosi” (Freud, Groddeck, 1970, 42). A ciò si aggiunge 1921c: “Da quanto ho qui esposto, emerge che la psicoanalisi dell’organico segue le stesse leggi teoriche o ottiene gli stessi risultati pratici della psicoanalisi delle nevrosi” (137-8), in cui, suppongo per semplice refuso, la congiunzione “e” è sostituita dalla disgiuntiva “o”, con parziale alterazione del significato. Viene inoltre scelto di rendere “ebensolche” con “le stesse/gli stessi”, considerandolo dunque equivalente a “dieselben”.
[58] [NdC] Quest’ultima frase del saggio riveste particolare importanza in quando dimostra che il manoscritto andò incontro a rimaneggiamenti successivi alla consegna a Freud, avvenuta il 17 ottobre 1920. Naturalmente non si tratta solo del passaggio da “dieselben” a “ebensolche” – rispetto al quale peraltro non ho rintracciato documentazione che lo giustifichi – ma di qualcosa di più consistente. Ricevuto il manoscritto, Freud aveva risposto il 15 novembre commentando tra l’altro: “Ho osservato ridendo che alla fine del Suo saggio, bello, originale e tutto pervaso di un libero scetticismo, Lei diventa dogmatico e fantasioso, e conferisce al nostro inconscio, che finora avevamo in comune, e che grazie a Dio era rimasto del tutto provvisorio e indeterminato, le più precise qualità attinte da misteriose fonti conoscitive. Certo, è vero che per ogni persona intelligente c'è un limite varcato il quale passa nel misticismo, ed è il punto dove ha inizio la sua sfera più personale. Ma non può cambiare ancora qualcosa in quelle ultime frasi, fare un ‘sacrificio d'emozione’?” (Freud, Groddeck, 1970, 41; le parole “sacrificio d’emozione” sono in italiano nell’originale anche se, stando all’edizione di Back, Freud scrisse “sacrifizio”; Groddeck, Freud, 2014, 35). È chiaro, da queste righe, che inizialmente il saggio di Groddeck conteneva una coda poi amputata e della quale pare non essere rimasto più nulla. Difficile quantificare il “sacrificio”. Groddeck, nella sua del 20 novembre, parla di “frasi conclusive” (Freud, Groddeck, 1970, 42): dunque probabilmente non più di un capoverso. In ogni caso, il punto è importante in questa sede poiché dimostra una volta di più quanto sia avventato sostenere la diretta sovrapponibilità del testo dato alle stampe ai reali contenuti della conferenza pronunciata da Groddeck il 9 settembre 192
0 durante il congresso psicoanalitico de L’Aia.



Commenti

  1. Se tu fai tua il ...“Per me questo tentativo di affrontare questioni di terminologia è una necessità" per noi è prezioso leggere le questioni che tu puntualmente sollevi. Grazie. Francesco Marchioro

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    1. Grazie come sempre, Francesco. Cogli la reciprocità tra l'indagare e il successivo comunicare i risultati, che qualcuno coglierà nella lettura. Procediamo dunque (anche) con le "questioni di terminologia"!

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