Georg Groddeck Parte I: Quattro integrazioni all'epistolario Freud-Groddeck
"Marienhöhe", il sanatorio di Groddeck a Baden-Baden, anni '20 (fonte: Martynkewicz W., (1997) Georg Groddeck. Una vita, Il Saggiatore, Milano, 2005; tavola fuori numerazione) |
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Michele Lualdi
Si può trovare online un’edizione integrale, completamente consultabile e scaricabile, del carteggio intercorso tra Sigmund Freud e Georg Groddeck, curata dal professor Tobias Back.
Confrontando tale edizione con quella italiana uscita per i tipi della Adelphi nel 1973, a sua volta traduzione di quella tedesca del 1970, si scopre che nel frattempo sono emersi altri quattro documenti e che la datazione di una delle lettere già note risulta in realtà incerta.
Partendo da quest’ultima, si tratta della missiva che nel volume del 1973 reca la data 2 luglio 1921 (Freud, Groddeck, 1970, 51). Back ci informa che di essa esistono tre copie delle quali opta per seguire la prima, con data 01.07.1921:
“3 dattiloscritti, dal testo quasi identico ma provvisti di 3 diverse date: 01.07.1921, 02.07.1921 e 21.07.1921; l’ultimo dubbio dattiloscritto [proviene] da Margaretha Honegger, il primo [è] probabilmente la fonte più affidabile” (Groddeck, Freud, 2014, 42).
Non avendo personalmente potuto osservare la documentazione di partenza, non posso spingermi oltre nella questione.
Di seguito propongo le traduzioni delle quattro missive assenti. I lavori originali si trovano alle seguenti pagine dell’originale tedesco: 54-9, 74, 83, 84.
Georg Groddeck a
Sigmund Freud (23.11.1922)
[Dattiloscritto su
foglio bianco formato A4]
Nota del traduttore: Questa prima lettera è senz’altro la più importante delle quattro. Anzitutto consente di comprendere assai meglio la risposta di Freud a Groddeck datata Natale 1922 e che già a una semplice lettura si comprende non essere direttamente ricollegabile alla missiva di Groddeck del 2 novembre 1922, che la precede immediatamente nel carteggio italiano (Freud, Groddeck, 1922, 71-3). Allo stesso modo pare intrecciarsi significativamente con lo scambio epistolare tra Groddeck e Ferenczi e da questo ricevere nuova luce. Già l’11 ottobre 1922 Ferenczi inviava a Groddeck una lettera (in risposta a una certamente mancante), cercando di farlo desistere dall’autoanalisi e, più in particolare, dall’analisi dei numeri e alludendo ad Hattingberg (Ferenczi, Groddeck, 1982, 62 e segg.): tutte tematiche che si ritrovano nella presente lettera a Freud. Groddeck risponde a un mese di distanza, il 12 novembre, ossia pochi giorni prima di scrivere a Freud, dicendo tra l’altro: “La mia ultima malattia, che, all’inizio, aveva fornito [all’autoanalisi] un materiale così povero, mi ha improvvisamente inondato di un flusso di ricordi, di interpretazioni e di cosiddette conoscenze. Sono sufficientemente soddisfatto di ciò” (Ferenczi, Groddeck, 1982, 67). Malattia, flusso di ricordi e di interpretazioni di cui proprio questa lettera a Freud è loquace testimone.
Possiamo dunque azzardare: Groddeck, ammalatosi verso la fine di settembre e rimanendo tale per circa due settimane, abbozza una prima autoanalisi quando ancora non è in salute. Non ne cava un granché e di essa preferisce parlare a Ferenczi piuttosto che a Freud. L’amico ungherese lo scoraggia dal proseguire i suoi tentativi, ma Groddeck, lungi dal seguire il consiglio, approfondisce il lavoro introspettivo e ne esce ristabilito nel fisico e padrone di ricordi autobiografici e di interpretazioni di cui, questa volta, sceglie di parlare a Freud e non a Ferenczi, forse piccato per il mancato sostegno da parte di quest’ultimo.
La lettera è una ricca fonte sia di elementi autobiografici sia relativi alla relazione dell’autore con Freud e si pone infine quale esempio di quella grande e umile onestà autoanalitica che riconosciamo anche nelle lettere a Freud del già ciato Ferenczi, per un breve periodo analista di Groddeck (Nitzschke, 1983, 777 n. 2) e che infatti, mentre lo scoraggia dal proseguire l’autoanalisi, lo invita anche a riprendere il lavoro terapeutico con lui.
Un’analisi più dettagliata di alcuni passaggi di questa lettera è affrontata in Georg Groddeck Parte II: La fuga nella filosofia (Berlino, 1922)
Baden-Baden, Werderstr[aße] 14 23.11.1922.
Stimatissimo professore,
Una volta mi avete scritto che leggete con interesse i racconti delle mie esperienze personali, per questo oso comunicarVi ancora qualcosa.
Già il giorno in cui ero con Voi da Eitingon [1], mi sentivo male e avevo la febbre. La mattina dopo sono andato con il Troll [2] al mio paese natale [3], che non vedevo da 19 anni. Già da mesi non vedevo l’ora di mostrarlo al Troll. Lì sono rimasto per due giorni, per lo più confinato a letto. La signora v[on] Voigt è poi andata da amici, mentre io tornavo a Baden. Le due settimane seguenti sono stato male, a giudicare dalla mia sensazione, dal mio aspetto e dalla mia efficienza [4]. I sintomi erano indefiniti, fatta eccezione per la febbre e per un’infiammazione della mucosa orale, accompagnata da ingrossamento e infiammazione delle ghiandole salivari.
Come inizio della malattia mi sovviene il 26 settembre, alle 10 e mezzo. Era l’ora in cui avevo lasciato la sede del congresso [5] per riflettere per strada su ciò che avrei dovuto dire nella mia annunciata conferenza. Prima c’era stata la Vostra conferenza. Mi era chiaro che avrei dovuto prendere una qualche posizione [6]. Ma alla fine non l’ho fatto, tenendo piuttosto un discorso spiritoso di cui probabilmente solo chi già sapeva ha colto l’intelligenza [7]. Quando poi il giorno seguente Hattingberg ha dato il via al suo attacco [8], fui colto da un’inutile rabbia, che rivolsi direttamente contro di lui in misura spropositata. Già mentre litigavo, sapevo di essere geloso di lui. Hattingberg mi ha scritto poco tempo fa una lettera assai cortese, da cui emerge che ha ben colto la mia gelosia tanto quanto me [9]. Questa analisi provvisoria, che feci già il giorno successivo, arrecò un miglioramento, così che io fui in grado di far visita ai miei genitori e alla mia scuola.
Il giorno successivo le cose sono andate molto meglio. Ho poi fatto qualche esperimento con il numero 26, la data della Vostra e della mia conferenza. Il 26 settembre 1896, dunque 26 anni prima, alle 10 e mezzo mi sposai. Vivo già da molti anni separato da mia moglie. Poco prima del congresso ho cercato di ottenere da lei il divorzio. Un anno fa avremmo dovuto festeggiare le nozze d’argento, ma nessuno dei due aveva prestato attenzione al giorno.
Invece, 25 anni fa, nel settembre-ottobre 1897, ho sofferto di una pesantissima malattia; in parte era probabilmente una reazione da ricondurre al matrimonio contratto l’anno precedente nello stesso periodo. Ma era anche in relazione ancor più stretta con una scarlattina che avevo avuto da liceale. Inoltre 26, come si può leggere nel [“]libro dell’Es[”], è il mio numero predestinato, con cui si divertono la mia Cs. e il mio Inc. Dopo questa analisi del 26 sopraggiunse un miglioramento e anch’esso poi scomparve. Da lì l’affezione delle ghiandole salivari mi riconduceva nuovamente al periodo della mia scarlattina. Al tempo avevo avuto disturbi particolarmente fastidiosi dovuti alle ghiandole salivari. E ora la questione iniziava a chiarirsi. La convalescenza dalla febbre scarlatta fu il periodo in cui il rapporto con mi madre divenne molto intimo. Ne fui allora molto felice. Fu come un risorgere della mia infanzia solare, prima dell’inizio della scuola. Il posto di mia madre – e di mia sorella – lo tiene la signora v[on] Voigt. Da qui l’analisi si volge all’imago materna. Si chiariscono anzitutto gli strati più superficiali. La situazione del giorno della conferenza, [ossia] che io ricevessi un pubblico elogio senza che vi fossi preparato, era già prima occorsa una volta, alla mia laurea, alla quale era presente mia madre e durante la quale il decano di allora aveva espresso la speranza di potermi più avanti sentir parlare ancor più spesso dalla cattedra dell’università. Io scansai la carriera universitaria, che mi si parava dinnanzi alle migliori condizioni, così come quella psicoanalitica, che mi si offriva durante il congresso. Ci sono in me forti complessi di impotenza che io riconduco a tendenze edipiche. Mia madre era rappresentata al congresso da quattro diverse persone. Anzitutto dalla signora v[on] Voigt, di cui verrò subito a parlare. Poi dalla nostra affittacamere, che ha assistito alla conferenza e ne è svenuta. Ella ha all’incirca l’età di mia madre e mi ha ricordato l’ictus per il quale mia madre morì. Poi la signorina Anna Freud. Il fatto che io non l’avessi riconosciuta trovava giustificazione nei suoi occhi, molto simili a quelli di mia madre. Perché io abbia negato [10] mia madre e con ciò Anna Freud, si chiarirà più avanti, quando parlerò della signora v[on] Voigt. Il quarto rappresentante dell’imago materna eravate Voi stesso. Il grande affetto che mi lega a Voi si radica in questa identificazione. Io non ho quasi mai avuto di Voi l’impressione di un padre, mentre di certo, quando Vi penso o sto con Voi, sono completamente rapito da un tenero e affettuoso sentimento infantile verso una madre. L’intero soggiorno a Berlino, durante il quale sono andato a trovare i miei familiari, è stato impregnato di ricordi di mia madre, così come il viaggio preventivato verso casa ha destato in me la sua immagine. Berlino è anche il luogo della mia scarlattina.
E ora Hattingberg. Egli rappresenta mio fratello Wolf, al quale, alla cui enigmatica natura approda ogni analisi di me stesso. Dietro di lui si cela mio padre. Nella sua natura un poco nervosa, arrogante per timidezza e anche nell’aspetto, Hattingberg somiglia a Wolf. Io sono stato spesso geloso di Wolf per via di mia madre; se io sia mai stato arrabbiato con lui perché insultava nostra madre, non lo so.
Invece a 14 anni, una volta, in una lettera inqualificabilmente irriverente, sono insorto contro colui che sta dietro Wolf-Hattingberg, contro mio padre, poiché ero convinto che trascurasse mia madre. Considerato che l’idea che la madre venga castrata dal padre era in me un tempo assai viva, si comprende la predilezione con cui sempre tratto questo capitolo della castrazione della donna. Inoltre il mio atteggiamento verso gli uomini mi dimostra quanto sia stata forte in me l’idea che ci sia un solo sesso. Associo a ciò anche un chiarissimo ricordo del mio quarto anno di vita. Vedo mia madre sopra un lenzuolo, trasportata per il corridoio. Come più tardi venni a sapere, doveva allora essersi ammalata di colera. Si confonde con ciò il ricordo del grosso coltello da arrosti con cui mio padre era solito tagliar[li]. E subito dopo si presenta un’immagine in cui io siedo con mia madre nella vasca da bagno e vedo i suoi peli pubici. È l’unico ricordo vivido del corpo nudo di mia madre. Deve essere dello stesso anno. Poi mi si presenta alla mente un’immagine in cui un poliziotto impedisce l’ingresso in casa nostra a un uomo che sanguina copiosamente – il viso è insanguinato.
La più importante rappresentante di mia madre è la signora v[on] Voigt. Da sette anni conviviamo e saremmo legalmente sposati se mia moglie acconsentisse al divorzio. Quest’ultima tra l’altro in un mio romanzo porta il nome di Anna – Anna Freud, uno dei motivi principali per cui io non l’ho riconosciuta, [cioè] perché ero lì con la signora v[on] Voigt e respingevo l’altra donna e le sue pretese. I miei rapporti con la signora v[on] Voigt sono peculiari, per il fatto che tra noi giochiamo a madre e figlio [11].
Tra l’altro la signora v[on] Voigt mi ha regolarmente imboccato, si inginocchiava davanti a me e mi metteva in bocca i bocconi. È sempre molto amorevole con i bambini e io mi ingelosivo ogni volta che un qualche bambino le si avvicinava. Nell’inverno del 1920 ricevemmo in regalo un gatto dal nome Habakuk. La signora v[on] Voigt lo chiamò il piccolo profeta, mentre diede a me il nome di grande profeta. Con ciò è chiaramente documentato che il gatto era un imago filiale. Infatti ella trasferì gran parte della sua tenerezza materna da me a lui. Soprattutto, e senza che nessuno di noi se ne rendesse conto, smise di imboccarmi. Io reagii, a prescindere da qualsiasi meschina gelosia, in una duplice maniera. Anzitutto succedeva di tanto in tanto, a volte per settimane, che io mi sporcassi i pantaloni. E poi persi un dente e poco dopo insorse una piorrea. Sei mesi più tardi seguì il secondo dente. Nel febbraio di quell’anno il gatto fuggì[12], ma i giochi materni non tornarono. Quanto al gatto devo aggiungere ancora che per il tramite del gatto con gli stivali diviene rappresentante di mio padre, come è descritto nello sciagurato[13] [“]Libro dell’Es[”]. Così la scomparsa di Habakuk non migliorò alcunché; al contrario la conseguenza fu un’ancor più massiccia regressione al periodo dell’allattamento, alle porzioni dell’area buccale. Due altri denti andarono persi e si dovette approntare una dentiera. Questa non si adattava e io dovetti abituarmi a utilizzarla come ciuccio e così a giocare con lingua, labbra e palato. Poi, a Berlino e al mio paese natale scoppiò l’infiammazione acuta della bocca, che portò a una regolare perdita di bava. Accanto a ciò è da dire che la signora v[on] Voigt andò da un’amica, una giovane mamma che si chiamava Paola. Si chiamava Paola una ragazzina per cui mia sorella stravedeva quando avevamo circa 10 anni.
Sono qui in gioco altre cose ancora, ma temo di avere già scritto troppo a lungo. Tutto sommato la faccenda è tornata a posto. Ho citato un paio di volte il mio libro dell’Es, presumibilmente perché intendevo rinviare la richiesta di esercitare una leggera pressione su Rank, di modo che egli acceleri finalmente la stampa del libro. La questione dura già da quasi un anno e procede a passo di lumaca. Vi chiedo per favore un piccolo aiuto.
Con ciò sono alla fine e mi resta ancora soltanto da porgerVi i miei più cordiali saluti. Qui lavoriamo alla nostra maniera tranquilla e qua e là ci riesce qualcosa.
Ferenczi è stato per me un ristoro. Io mi sento vicino a lui per natura e siamo diventati buoni amici. Di quando in quando gli uomini di Freud del sudovest tedesco si riuniscono.
Si è molto spontanei durante questi incontri. L’uno o l’altro vuole introdurre una regola, ma grazie a Dio non sono io il solo che si oppone al [costituire] un’associazione. Landauer, Meng, Prinzhorn, Brauns[15] (genero di Forel) appartengono al novero.
Di nuovo tanti auguri a Voi e ai Vostri. La signora v[on] Voigt manda le migliori raccomandazioni.
Sempre Vostro grato allievo,
Groddeck.
Georg ed Emmy Groddeck a Sigmund Freud (22.11.1925)
[Manoscritto su
foglio di carta bianca formato A4]
Nota del traduttore: questa lettera si inerisce in uno scambio di brevi missive, iniziato il 13 novembre 1925 con una prima lettera in cui Georg ed Emmy Groddeck, in quel momento a Budapest, avvisano Freud della loro intenzione di passare per Vienna tra il 24 e il 25 del mese. Freud risponde 4 giorni più tardi subordinando la visita al proprio imprevedibile stato di salute. A questa sua prima risposta fanno seguito le righe qui sotto riportate, alle quali Freud risponderà il giorno successivo accordando un incontro di persona per le ore 12 del 24 novembre.
Budapest 22.11.25
Stimatissimo professore,
grazie di cuore per le Vostre benevoli righe. Arriveremo all‘Hotel Regina [16] il 24 mattina e resteremo lì il 25. Fateci sapere per favore che cosa avete deciso. La notizia che non state benissimo ci ha rattristati e Vi prego di non farVi influenzare in alcun modo da un qualche riguardo per noi.
Con i migliori auguri.
I
Vostri devotissimi Groddeck
Anna Freud a Georg Groddeck (07.11.1933)
[Manoscritto su
foglio di carta da lettere di grande formato di A. Freud. Busta conservata,
indirizzata a Hans Thomastrasse 8, Baden-Baden]
Nota del traduttore: questa lettera, di cui non pare si sia conservata la risposta di Groddeck, è molto interessante: chiedere all’“analista selvaggio” per eccellenza di giudicare della formazione psicoanalitica altrui suona quasi paradossale. Che risposta avrà ricevuto Anna Freud?
[Vienna] 7.XI.1933
Egregio Dottore!
Devo disturbarVi oggi su richiesta di alcuni analisti danesi per un’informazione. Un medico danese, il dott. Olaf Brüel [17], a Copenaghen si spaccia per analista formato. Pare si rifaccia a Voi e questi analisti domandano ora se Voi lo conosciate e se lo riteniate davvero formato.
Vi sarei molto grata di una qualche informazione che io possa inoltrare a Copenaghen.
Spero che stiate bene,
Un cordiale saluto,
Vostra
Annafreud
Anna e Sigmund Freud a Emmy Groddeck
[Telegramma]
Nota del traduttore: questo è di certo uno degli ultimi atti, se non l’ultimo in assoluto, del carteggio di Freud con Groddeck, o meglio, dei Freud con i Groddeck. Il pioniere della psicosomatica era deceduto cinque giorni prima, l’11 giugno 1934, in conseguenza di un attacco di cuore (Martynkewicz, 1997, 335-6).
Vienna, 16.06.1934
CON PROFONDA COMMOZIONE ANNA FREUD SIGM FREUD+++
Bibliografia
Anonimo, Bericht über den VII. InternationalenPsychoanalytischenKongreß in Berlin (25.-27. Sept. 1922). In Interantionale Zeitschrift für Psychoanalyse, 1922 (VIII), Heft 4, 478-505.
Brüel O., Integritätskomplex und Zwangsneurosen. In Zeitschrift für Psychotherapie, 1963 (XIII), 127.
Cremerius J., Ein Leben als Psychoanalytiker in Deutschland, Königshausen & Neumann, Würzburg, 2006.
Ferenczi S., Groddeck G. (1982), Corrispondenza (1921-1933), Astrolabio, Roma, 1985.
Freud S. (1922), Qualche parola sull’inconscio. In OSF, IX, Bollati Boringhieri, Torino, 465-7.
Freud S. (1925), La negazione. In OSF, X, Bollati Boringhieri, Torino, 193-201.
Freud S., Groddeck G. (1970), Carteggio Freud-Groddeck, Adelphi, Milano, 1973.Ph
Göppert H., Phänomenologie und Prognose der Zwangskrankheit. In Zeitschrift zur Psycho-somatische Medizin, 1966 (XII), Heft 2, 111-8.
Groddeck G., Natura sanat, medicus curat. Der gesunde und kranke Mensch gemeinverständlich dargestellt, Hirzel, Leipzig, 1913. Il testo è più agilmente consultabie in caratteri latini sul sito project-gutenberg.
Groddeck G., Freud S., Briefwechsel 1917-1934, Persönliche Ausgabe von Tobias Back, 2014.
Grossman C. M., Grossman S., The Wild Analyst, Georg Braziller Inc., New York, 1965.
Jones E. (1957), Vita e opere di Freud. III. L’ultima fase (1919-1939), Il Saggiatore, Milano, 1962.
Lualdi M., Passando da Stekel. Edizione critica dell’Autobiografia di Wilhelm Stekel, Youcanprint, Tricase, 2015.
Martynkewicz G. (1997), Georg Groddeck. Una vita, Il Saggiatore, Milano, 2005.
Nitzschke B., Zur Herkunft des „Es“: Freud, Groddeck,Nietzsche – Schopenhauer und E. von Hartmann. In Psyche, 1983, 769-804.
Seidler E., Die Medizinischer-Fakultät der Albert-Ludwigs-Universität Freiburg im Breisgau. Grundlagen und Entwiklungen, Springer-Verlag, Berlin Heidelberg, 1991.
[1] [NdT] Gli eventi ricordati da Groddeck nella lettera sono relativi al VII Congresso Psicoanalitico, tenutosi a Berlino tra il 25 e il 27 settembre 1922. Stando alla ricostruzione dei Grossman, la sera del 26 settembre Max Eitingon, che ospitò Freud per tutta la durata dei lavori (Jones, 1957, 111), diede un ricevimento, cui parteciparono anche Groddeck e la compagna e futura seconda moglie Emmy von Voigt (Grossman, Grossman, 1965, 126).
[2] [Nota di Back] Si intende Emmy von Voigt, più tardi seconda moglie di Groddeck.
[3] [NdT] Georg Groddeck era nato il 13 ottobre 1866 a Bad Kösen, piccola località termale della Sassonia (Martynkewicz, 1997, 41). Il paese si trova sulla via del ritorno da Berlino, dove si trovava Groddeck al momento dei fatti narrati nella lettera, e Baden-Baden, dove risiedeva abitualmente.
[4] [NdT] Allusione a un preciso concetto, espresso da Groddeck circa un decennio prima, nel suo volume Nasamecu: “malato è per me colui che è compromesso nella propria efficienza e si considera malato” (Groddeck, 1913, 17).
[5] [NdT] Coerentemente con quanto scrive Groddeck, la mattina di martedì 26 settembre Freud aveva tenuto la propria relazione (l’ultima che avrebbe presentato personalmente a un congresso psicoanalitico, a causa del progredire della sua malattia; Avvertenza editoriale a Freud, 1922, 465). Groddeck avrebbe invece tenuto la propria alla fine di quella stessa mattina (Anonimo, 1922, 478, 486, 491-2)
[6] [NdT] Su cosa? Il punto è ampiamente discusso in Georg Groddeck Parte II: La fuga nella filosofia (Berlino 1922).
[7] [NdT] Sulla conferenza di Groddeck e sul suo testo si veda Parte II: Georg Groddeck, La fuga nella filosofia (Berlino 1922).
[8] [NdT] Hattingberg lesse il proprio intervento il pomeriggio del 27 settembre (Anonimo, 1922, 495-6).
[9] [NdT] Il breve scambio epistolare tra Groddeck e Hattingberg è riportato nell’epistolario Freud-Groddeck (Freud-Groddeck, 1970, 118-20). Più in particolare, la lettera cui fa qui riferimento Groddeck fu inviata da Hattingberg il 1° novembre 1922. Groddeck rispose solo due settimane più tardi, il giorno 14, scrivendo tra l’altro alcuni passaggi che ricordano da vicino questa lettera a Freud: “Il ricordo del mio attacco grossolano a Lei, dopo la sua conferenza, mi pesava molto. Come sempre, già mentre parlavo sapevo che in me stava succedendo qualcosa che non aveva nulla a che fare col Congresso. E la conferma c’è stata: sono stato seriamente ammalato per tre settimane. Il mio soggiorno a Berlino era sotto il segno di una visitina al paese della mia infanzia”. Si continua con temi che verranno ripresi e approfonditi nel prosieguo di lettera qui tradotta: “Freud vi ha svolto il ruolo della madre e Lei quello di un mio fratello che c’entra in tutte le mie malattie” (Freud, Groddeck, 1970, 119).
[10] [NdT] Molto interessante la scelta verbale di Groddeck, che impiega qui il verbo “verleugnen”. Solo tre anni più tardi Freud avrebbe impiegato il sostantivo derivato “Verleugnung” per indicare specificamente il meccanismo di difesa della “negazione” (Freud, 1925). Qui in realtà mi pare si tratti di un meccanismo duplice ossia di negazione dell’imago materna e di sovrapposto diniego di un dato di realtà, ossia l’identità di Anna Freud, misconosciuta da Groddeck.
[11] [NdT] Così aveva scritto Groddeck nella già citata lettera del 12 novembre 1922 a Ferenczi: “… i giochi che facevo con mia sorella, peraltro maggiore di me, li chiamavamo Madre e Figlio, e io ero quasi sempre la madre…” (Ferenczi, Groddeck, 1982, 68).
[12] [NdT] Groddeck impiega qui il verbo “entspringen”, che attualmente ha conservato il significato di “nascere”, “provenire”. Ha tuttavia un significato più desueto di “fuggire” e fondato sull’etimologia “ent” (nel senso dell’allontanare) e “springen” (saltare), comprovato dal vocabolario della lingua tedesca dei fratelli Grimm al cui lemma “entspringen”, punto 4 b.
[13] [NdT] “unseligen” nell’originale. Perché Groddeck qualifichi così il proprio volume trova forse spiegazione della parte finale di questa lettera, in cui ne lamenta i ritardi di pubblicazione.
[15] [NdT] Ho trovato scarsissime informazioni su questo medico, Arthur Eduard Heinrich Brauns (1883-1925). Rimando ai seguenti links: https://www.geni.com/people/Arthur-Brauns/6000000000061233634; https://bahaipedia.org/Arthur_Brauns.
[16] [NdT] Spesso gli ospiti che si recavano a Vienna in visita a Freud soggiornavano presso l’Hotel Regina, sito in Roosveltplatz 15, non distante dall’appartamento di Freud, in Berggasse 19.
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