Wilhelm Stekel: "Il 'Piccolo Kohn'" (1903)
Cartolina postale dedicata alla canzone tradizionale vienese "Drahn ma um und drahn ma auf" (fonte: bildpostkarten) |
Traduzione e cura: Michele M. LualdiArticolo in formato PDF
L’articolo di Stekel qui proposto
riporta una seduta della Società psicologica del mercoledì del 1903. Il testo
fu pubblicato come feuilleton [2],
sotto lo pseudonimo di Willy Bojan, sul quotidiano Österreichische Volkszeitung il 29 agosto 1903 (Clark-Lowes, 2010, 58 n. 47, 219-20 [3], 308,
356, 376) e come già nel precedente report di Stekel (Stekel, 1903),
anche in questo caso i partecipanti sono celati dietro pseudonimi, la cui
identificazione, non per tutti semplice, verrà discussa a fine testo, insieme con
altre questioni.
Mi limito per ora a segnalare che l’articolo
si presta molto bene alla pubblicazione online poiché contiene diversi riferimenti
a canzoni e motivi musicali del periodo: ogni volta che ho potuto, ho inserito
direttamente nel testo un link che consente di ascoltare il brano in questione.
Credo che questo aiuti a immergersi ancora di più nell’atmosfera della Vienna
del periodo, popolare e vernacolare. Devo però precisare che le riproduzioni
sonore che sono riuscito a recuperare non sono quasi di inizio secolo, ma successive
e dunque risentono senz’altro dei cambiamenti nel frattempo avvenuti negli
stili musicali. Invito chiunque sia a conoscenza di fonti che consentano di
completare e perfezionare il lavoro, a segnalarmele, di modo da arricchire,
migliorare e correggere lo scritto.
Buona lettura, dunque e… buon ascolto.
Il “piccolo Kohn” [1]
[129] Luogo dell’azione: l’accogliente
studio [4]
di un illustre neurologo. Presente una piccola società psicologica costituita
da sei persone. Il maestro siede allo scrittoio, comodamente adagiato in una
poltrona, gli altri sono seduti insieme intorno a un piccolo tavolo. “L’irrequieto”
estrae dalla tasca un piccolo manoscritto e si scusa anzitutto di non avere
svolto il suo incarico di portare una relazione esaustiva [5].
Inizia: “Il tema della nostra odierna
serata è uno di quelli particolarmente spinosi. Come succede che certe frasi fatte,
certi ritornelli, certe melodie possano ottenere una tanto straordinaria
popolarità? In cosa consiste il segreto per cui la canzone ‘Non ha visto il
piccolo Kohn? [6]’ ha
potuto raggiungere una tale diffusione?
Confesso apertamente che non riesco
a dirimere completamente questa questione. Vorrei oggi leggere a lor signori
solo alcune sollecitazioni. Secondo la mia opinione, in questa questione
dobbiamo considerare come fattore principale l’innata pigrizia mentale dell’essere
umano. Questa pigrizia mentale non corrisponde ad altro che alla legge fisica
dell’inerzia, che ha lo stesso valore per sostanza e forza, per spirito e
materia. A questa conservatività del pensiero umano si unisce il grande bisogno
di molti individui di apparire spiritosi e sollecitare il senso dell’umorismo.
(Di persone simili, il tipo [7]
più noto è certo quello che trova un piacere particolare nel diffondere buoni
motti di spirito). Alcune frasi fatte devono a entrambi i fattori menzionati la
loro rapida diffusione. I nostri sentimenti sociali istintivi e acquisiti rappresentano
il suolo concimato, per così dire la gelatina nutritiva, su cui questi
microorganismi psichici attecchiscono più rapidamente e possono continuare a
svilupparsi. [130] ‘Il piccolo Kohn’ corrisponde agli intensi bisogni sociali
della moltitudine di prendere in giro certe peculiarità degli ebrei. Il suo
fratello spirituale, ‘Servus Brezina’ [8],
diffusosi a Vienna, è l’espressione del rinvigorito movimento nazionale tedesco,
il cui punto focale in Austria è appunto la lotta tra cechi e tedeschi. Questi
ritornelli [9] li vorrei
proprio chiamare [‘]ritornelli sociali[’] poiché corrispondono all’umore di un
intero gruppo etnico, poiché hanno per così dire un carattere etnografico. A
questo capitolo appartengono anche la ‘Boulangermarsch’ [10],
la ‘Lueger-Marsch’ [11],
la ‘Marsigliese’ [12] e diverse frasi fatte come ad esempio ‘Via da Roma’ [13],
‘Borghesia corrotta’, ‘Secessione’ ecc. Mentre le citate frasi fatte dichiarano
apertamente il loro programma e, certo grazie alla loro concisione, contribuiscono
moltissimo alla diffusione suggestiva di certe idee, i ritornelli popolari
nascondono abilmente il loro carattere spiccatamente sociale.
Un altro gruppo lo chiamerei quello
dei [‘]ritornelli individuali[’]. A Vienna ha trovato straordinaria diffusione
una canzone in sé e per sé priva di senso: ‘Torniamo al tavolo e facciamo baldoria, non fa differenza, perché a questo mondo il denaro non si mangia’ [14].
Questo ritornello in un certo senso per i viennesi è anche sociale, perché racchiude
una parola di conforto per la difficile condizione materiale del momento [15]. Nel suo fondamento emotivo è individuale.
L’impiegato che sperpera tutto il suo stipendio in una notte [16],
urla in coro con gli altri: “Torniamo al tavolo e facciamo baldoria …”. Stordisce
con questo ritornello la voce della sua coscienza morale; si sente rinvigorito
nella sua incoscienza da tutto il coro in canto. Anche tutte queste persone non
possono ‘mangiare’ il loro denaro. Egli si libera con questo ritornello, che
non ha relazione alcuna con la sua spiacevole situazione successiva, da
sgradevoli pensieri di rimorso. Rinforza la sua incoscienza. Supera gli
imperativi morali. Come nella canzone ‘Il bacio non è peccato, con una bella bimba’ [17].
Un terzo gruppo di ritornelli non
posso che indicarlo come quello dei ‘privi di senso’. Esempi calzanti di questo
gruppo [131] sono i ritornelli berlinesi ‘Stupidità’ [18]
e la commovente canzonetta della ‘Susina’. Nella Germania meridionale ha
trovato grande diffusione una canzone che si conclude con le parole prive di
senso: ‘Siamo solo compaesani, ragazzi di Linz, ci compriamo mazzolini di fiori
e ce li mettiamo sul cappello’ [19].
Il segreto di questo successo sta in una melodia semplice. Le parole sono solo
un semplice riempimento per tali melodie ben riuscite. Che davvero sia solo la
melodia ce lo dimostra la grande popolarità di ‘Ta-ra-ra Boom-de-ay’ [20],
che in America ottenne grandissima diffusione con un testo tristissimo per poi intraprendere
il suo viaggio per il mondo con le più diverse connotazioni [21].
A Vienna divenne un’impudente canzonetta, che si propagò rapidamente in [forma
di] indecente parodia. E lo stesso accadde con la canzone ‘Fischerin du Kleine’
[22].
Acquisì un secondo significato segreto che contribuì moltissimo alla sua
popolarità. Questo ci conduce ora al gruppo dei ritornelli imbarazzanti, che
contengono allusioni chiare e nascoste. Per esempio ‘Im Chambre séparée’ [23],
cantata perlopiù da persone che nella loro vita non avevano mai visto una [‘]chambre
séparée[’] [24]. ‘Huldasenza sedia’ [25],
La ‘Piccola vedova’ [26]
tanto abituata a dare baci da non poterne fare a meno [27],
‘Großwardein’ [28]
sono solo alcuni esempi scelti a caso.
Di
tal fatta è il materiale con cui la grande massa soddisfa il proprio bisogno di
apparire spiritosa. Il garzone che vorrebbe avviare un dialogo nel modo migliore,
chiede alla sua signora, con grande grazia e serietà, se non stia riflettendo
sull’‘immortalità dei maggiolini’ [29]. Con l’aiuto
del ‘Piccolo Kohn’ e del ‘Servus Brezina’ prosegue il discorso trionfalmente
iniziato, cerca una ‘sedia per la sua Hulda’ e approda quindi felicemente con la
sua ‘piccola vedova’ nella [‘]chambre séparée[’]. Non ha bisogno di riflettere
a lungo, procede per modi di dire. È inoltre sicuro di trovare la necessaria
comprensione, il terreno neutrale sul quale le loro belle anime possono infine incontrarsi.
Vorrei sottolineare ancora una volta che alcuni modi di dire, specialmente quelli
sociali e individuali, agiscono con forza addirittura suggestiva. Racchiudono [132]
una piccola suggestione, contro la quale lott[erebbe] inutilmente tutta la
logica. In questo modo si spiega la rapida diffusione di tali modi di dire, che
possono conquistare intere masse con forza addirittura contagiosa. E così
sarebbero queste le mie sollecitazioni per il nosto tema odierno: parliamo del ‘Piccolo
Kohn’ volendolo eleggere, in quanto tipo evidente, a rappresentante dell’intero
genere.”
Il Socialista: “Non concordo con tutte le
dichiarazioni del mio precedente oratore. Anzitutto credo che sopravvalutiamo
notevolmente il potere della suggestione. Una cosa è giusta: molti ritornelli,
specialmente il ‘Piccolo Kohn’ fanno appello a certi sentimenti sociali cui partecipano
tutti gli esseri umani, in misura minore o maggiore. Non possiamo esaurire questo
tema [30] se non lo consideriamo dal punto di vista
della psicologia delle masse. Considero tutti i ritornelli come adempimenti di
desideri, che nella loro brevità esprimono veramente l’intero complesso di desideri
del popolo.”
Il Comodo: “Perché così tanti ritornelli sono in forma
di domanda? ‘Non ha visto il piccolo Kohn?’ – Non sta in questa domanda una
parte del loro potere?”
L’Irrequieto: “In questo caso la domanda è solo una forma
stilistica. Molti ‘Piccoli Kohn’ hanno proprio la caratteristica di parlare in
forma di domanda. Inoltre, una domanda permette mille interpretazioni, mille
risposte; può sollecitare facilmente il senso dell’umorismo.”
Il Comodo: “Mi viene anche in mente, a proposito del ritornello
del ‘Piccolo Kohn’, la struttura di questa espressione. Poniamo un altro nome
al posto di Kohn e l’intera struttura svanisce. Ciò non dipende dall’allitterazione
[31]?
Il professor Benedikt ha parlato una volta di un
bisogno di carica e di scarica degli uomini [32]. Dobbiamo
caricarci di stimoli ma dobbiamo anche di tanto in tanto scaricare questi
stimoli. Questi ritornelli agiscono secondo me come benefiche scariche di
tensioni interne. Sono distrazioni da faccende importanti e che ci opprimono. Panem
et circenses! [33]. I ritornelli
sono i giochi dei popoli.”
[133]
Il Moderato: “Un contributo alla spiegazione dei ritornelli sciocchi! Io li
considero la reazione del nostro intelletto all’uso eccessivo della nostra
mente. L’uomo medio pensa così: [‘]Ora abbiamo dovuto essere assennati così a
lungo, perché non dovremmo una volta tanto fare una sciocchezza?[’] Il genere umano
di tanto in tanto ha un enorme bisogno di sciocchezze. Scherzo e non senso
sono pause del nostro cervello affaticato; con la loro forza umoristica aumentano
la nostra gioia di vivere. Se posso permettermi di paragonare il piccolo al
grande, la storia della musica degli ultimi anni ci ha dato un esempio istruttivo.
L’opera di Humperdink [34]
‘Hänsel e Gretel’ è stata la reazione dei nostri nervi acustici e della nostra psiche alle
sfiancanti tragedie mitologiche di Wagner, alle crudeli e sanguinose opere
italiane.”
L’irrequieto:
“Mi sembra sia un’osservazione molto importante. Il popolo prova un sordo
rancore verso i suoi classici, cui deve rendere onore senza riuscire a comprenderli.
Ciò ha trovato espressione nel modo più bello in una canzone viennese.
L’ingenua dichiarazione è finanche toccante. ‘Non l’ha scritto un Goethe, non l’ha
messo in poesia uno Schiller, non si trova in nessun classico, in nessun genio,
così parla il cuore di un viennese a una viennese ed è proprio pura
poesia’ [35]. Questo
[‘]proprio[’] appare come una dichiarazione di guerra del popolo
contro i classici. [‘]Non abbiamo bisogno di voi, lasciateci in pace. Abbiamo
la nostra poesia![’]”.
Lo
scrittore: “La massa si comporta sempre come un bambino. Se vogliamo comprendere
l’effetto dei ritornelli popolari sull’anima del popolo, dobbiamo osservare il
bambino. Cosa piace a un bambino, cosa non gli piace? Curioso che ci siano
certe parole che piacciono in modo straordinario al bambino e lo fanno ridere.
Alcune melodie le impara quasi per gioco, mentre verso altre reagisce
rifiutandole. A essere ripetuto è soltanto il suono della parola con cui i
bambini si divertono. Per esempio ‘Storch, Storch, Steiner’ [36]
o [‘]Wackelgänschen mit dem Wickelschwänzchen’ [37]
ecc. Le canzoni per bambini ci offrono il miglior indizio per la comprensione
della popolarità che ottengono certi ritornelli.
[134]
Il maestro. “Finora siamo rimasti aderenti alla superficie del problema; forse
abbiamo ampliato troppo la cornice delle nostre discussioni. Non sarebbe stato
meglio se fossimo rimasti al ‘Piccolo Kohn’ e l’avessimo esaurito fino all’estremo
degli estremi? Certo qualcosa abbiamo imparato. Il carattere sociale del [‘]Piccolo
Kohn[’], lo sfondo su cui si staglia, gli strati di sentimenti sociali inconsci
e coscienti sono fattori importanti per la psicologia di tutti i ritornelli. Ma
ritengo assai più importanti le considerazioni secondo cui dobbiamo ricorrere alla
vita infantile. La massa si comporta sempre come un bambino. Certo Loro
conoscono la calzante massima di Schiller secondo cui un gruppo di persone
ragionevoli sommate tra loro può ammontare a un cretino [38].
In realtà è più facile far entusiasmare più persone assennate per una stoltezza
che per una grande opera della ragione.
Tutti
questi ritornelli hanno un carattere infantile e il loro effetto è infantile. Non
so rivolgermi abbastanza vigorosamente contro l’abuso fatto oggigiorno della
parola [‘]suggestione[‘]. Ma cosa è suggestione? Ma sappiamo come agisce la
suggestione? Loro mi concederanno che mi sono occupato intensamente di queste
questioni. Mi sono recato dai più celebri maestri della suggestione, ma nessuno
ha potuto darmi una risposta a questa domanda.
‘Cristoforo
portava Cristo
Cristo
portava il mondo intero
Dimmi,
dove ha posto allora Cristoforo
il
suo piede?’ [39]
Un
enigma non viene chiarito se ne mettiamo un secondo al suo posto.
Come
agiscono i ritornelli? Quale elemento contenutistico provoca i loro effetti? Questo
ci porta a una domanda molto più significativa: come si ottiene piacere dai
processi intellettuali, dal lavoro psichico? Uno degli oratori che mi ha
preceduto [40] ha
avuto ragione a parlare di pigrizia mentale della massa. Ha avuto ragione ma
anche torto. Siamo tutti [135] mentalmente pigri. Pensiamo soltanto perché
dobbiamo pensare. Originariamente il pensiero è il mezzo per tirare avanti. Un’arma
nella lotta per l’esistenza [41].
Successivamente ne viene che questo lavoro vitale si lega in sé e per sé con sensazioni
di piacere. Restiamo sul ‘Piccolo Kohn’. Perché l’idea del ‘Piccolo Kohn’
suscita in noi sensazioni di piacere?”
Il Comodo:
“Il ‘Piccolo Kohn’ è solo un simbolo, dietro si cela molto di più. Una beffa di
tutto il potere della grande capitale [42],
dell’odio giustificato e ingiustificato verso la repressione da parte dei più
forti.”
Il
Maestro. “Ma perché il ‘Piccolo Kohn’, questa innocua parolina poco appariscente?”
L’Irrequieto:
“Così può scandalizzare di meno, così può diffondersi più facilmente.”
Il
Maestro: “Ecco, ora siamo vicini alla soluzione. Il ‘Piccolo Kohn’ è solo una
maschera; questa innocua parola indefinibile è predestinata al meglio a rappresentare
i pensieri repressi [43].
Si tratta di un processo di spostamento [44]
psichico, quale possiamo osservare spesso
nelle forme dei nostri sogni [45]. Se la canzone si chiamasse altrimenti, potrebbe
scandalizzare. Non potrebbe essere cantata in pubblico. Ci sarebbe sempre un’opposizione.
Ma in questa forma nessuno può sentirsi offeso e ognuno può mettervi e interpretarvi
ciò che vuole.”
Il Moderato: “Questo ci riporta al bambino. Ho
osservato che i bambini giocano più volentieri con un pezzo di legno che con la
bambola più bella. Il pezzo di legno lo possono agghindare in modi diversi,
oggi può essere una balia, domani una cameriera, dopodomani una principessa. La
bambola [già] abbigliata rimane sempre la stessa dama. Il legno invece è un rappresentante
più duttile della sua fantasia [46].
Il Maestro: “Anche il ‘Piccolo Kohn’ è dunque un tal
pezzetto di legno, che si fa comodamente trattare con diversi drappeggi psichici.
I nostri pensieri inconsci sono sottoposti al potere di una censura, la quale li
modifica soltanto pima di farli accedere al regno della [136] coscienza. Il ‘Piccolo
Kohn’ è proprio uno di questi spostamenti di sentimenti gravosi e deve la sua forma
apparentemente innocua alla censura dell’anima inconscia del popolo [47]. Una
canzone popolare ha felicemente superato la critica della censura. In maniera
analoga viene certo a formarsi il ‘Servus Brezina’. Esso non offende, non attacca;
è piacevole, apparentemente innocuo. E al contempo è caratteristico della dura
lingua ceca e il prodotto di uno spostamento psichico. Dietro questo poco appariscente
[‘]Brezina[’] stanno assopiti i sentimenti di collera conto la caparbietà dei
cechi, che portano il caos in tutta l’Austria. Ora ci vediamo un poco più
chiaro. Un ritornello [per essere] popolare deve dunque aver passato la censura
dell’anima del popolo, deve avere un carattere infantile, deve essere duttile e
apparentemente innocuo. Deve recare in sé il potere dei sentimenti repressi.
Ma come stanno le cose con i ritornelli apparentemente
privi di senso? In cosa consiste il segreto del loro successo?
Il Comodo: “Gli esseri umani che abitano il sud più
profondo [48], i
patagoni, hanno ancora bisogno di cantare in coro e al contempo di danzare. In
tutti i popoli selvaggi si palesa lo stesso bisogno. Tutti cantano in coro,
emettendo al contempo suoni privi di senso, spesso incomprensibili. I
ritornelli menzionati non sono un tramandarsi di antichissime tradizioni popolari
ereditate [49]? Resti
etnografici, per così dire? Certo, un ritornello ingegnoso non sarebbe adatto a
essere cantato in coro. La sciocchezza getta il ponte da persona a persona.”
L’Irrequieto: “Il segreto dei ritornelli senza senso
consiste nella struttura delle loro melodie; sono semplici e accattivanti,
quello che nel linguaggio popolare si chiama ‘una canzonetta’. Sono incapaci di
realizzare un’armonia originale, hanno un ritmo curiosamente semplice. Una
delle più importanti forze motrici [50] della
vita umana è il ritmo. Il cuore batte ritmicamente, la cellula si contrae
ritmicamente; tutte le nostre funzioni, fame, sete e amore, sonno e lavoro
hanno carattere ritmico. Una melodia popolare deve essere semplice. Deve
corrispondere ai ritmi originari dell’essere umano, forse addirittura a certi
[137] ritmi del nostro corpo. Deve far risuonare in noi qualche corda. Quando
mi pongo davanti a un pianoforte, tolgo la sordina e canto una nota, così nel
mentre risuonano alcune corde. Il segreto della popolarità di una melodia sta
proprio nel fatto che si adatta a un ritmo segreto della vita e del corpo, che
fa trasparire le armoniche della nostra psiche. Le parole sono solo materiale
di riempimento e questione secondaria. A volte queste melodie vengono riempite
con [‘]tralala[’] e [‘]tatata[’]. Diventano compositori importanti solo coloro
che, con raffinata sensibilità, traggono da dentro di sé questi ritmi originari
e li trasmettono all’umanità. Ma il tipo di questi ritmi originari si manifesta
ancor più chiaramente nelle canzoni popolari che devono la loro origine ai moti
inconsci dell’anima del popolo.”
Il Maestro: “Mi sembra impossibile interpretare processi
intellettivi a partire dalla musica. La musica è la più oscura e misteriosa di
tutte le arti. Dobbiamo percorrere la strada inversa e cercare di spiegare l’effetto
della musica a partire dall’intelletto.
Si è fatto tardi. Oggi abbiamo chiacchierato a
lungo. Ma abbiamo ottenuto un grande risultato: comprendiamo il ‘Piccolo Kohn’ –
e questo vuol dire molto.”
Qualche
considerazione
Questioni cronologiche
Una prima, seppure marginale, riflessione relativa ai tempi degli eventi, la solleva un’affermazione di Jones, che anche io avevo finora ritenuto valida a priori (Lualdi, 2015, 181 n. 250):
“Stekel prese a riportare i resoconti [delle serate della Società psicologica del mercoledì] sull’edizione domenicale del ‘Neues Wiener Tagblatt’” (Jones, 1955, 24; parentesi quadre mie).
Ora,
Il “piccolo Kohn” venne pubblicato il 29 agosto 1903 (un sabato) sull’Österreichische
Volkszeitung (pagine 1-2). Si aggiunga che anche l’altro resoconto di una
serata della Società psicologica del mercoledì scritto da Stekel, Discussione sul fumare,
non uscì né di domenica, ma di mercoledì, né su una testata viennese, il Prager Tagblatt.
Quanto poi al quotidiano citato da Jones, il Neues Wiener Tagblatt, Stekel
vi pubblicò effettivamente parecchi articoli, tenendovi tra l’altro una rubrica
medica a partire dal 1901 (Lualdi, 2015, 181 e nn. 250, 251). Tuttavia, come
chiarisce Clark-Lowes, non si è ancora trovata traccia della sistematica
attività domenicale segnalata da Jones, che in effetti non indica fonti per l’informazione.
Si può soltanto supporre che molti degli articoli scritti per quel giornale, a
prescindere dal giorno della pubblicazione, siano stati influenzati dagli
incontri con Freud e la Società psicologica del mercoledì (Clark-Lowes, 2010,
209-10). Il che peraltro è ipotizzabile anche per i lavori che scrisse per le altre
testate.
Più interessante è un secondo
problema, che riguarda la possibilità di definire con un qualche grado di
precisione quando si tenne la serata del “piccolo Kohn”. Nel suo saggio storico
del 1926 sulla storia del movimento psicoanalitico, Stekel afferma trattarsi della
“quarta o quinta” seduta (Stekel, 1926a, 545), ma non manca di esprimere
qualche dubbio in proposito (“Una seduta – credo la quarta o la quinta…”,
corsivo mio). Ho cercato altrove di ricostruire gli esordi della Società psicologica del mercoledì che, secondo
i dati a disposizione, iniziò a incontrarsi tra novembre e fine dicembre 1902. Se
dunque quelle pionieristiche serate di dibattito si susseguivano con regolarità
settimanale, la quinta deve essere collocata tra dicembre 1902 e l’inizio del febbraio
successivo. Questo però lascia inspiegato il lungo tempo trascorso fino alla pubblicazione
dell’articolo, avvenuta solo a fine agosto: tra i sette e i nove mesi circa. Già
in Discussione sul fumare, ci si scontrava con un problema analogo: Stekel afferma infatti in quel trattarsi
addirittura del primo incontro in assoluto della Società, che dunque avvenne non
oltre fine dicembre 1902. Tuttavia il suo resoconto fu pubblicato solo il 28 gennaio
1903: un intervallo non trascurabile che mi portava ad appoggiare Clark-Lowes, secondo
cui quel feuilleton racconterebbe non la prima in assoluto ma più semplicemente
una delle prime serate.
Se ora veniamo al Piccolo Kohn,
possiamo anzitutto ritenere certo che il testo fu scritto immediatamente dopo
la seduta: come infatti avrò modo di mostrare più avanti, certi passaggi sono
troppo precisi per essere stati scritti a distanza dagli eventi. Come si
spiegano allora i sette-nove mesi di attesa per la pubblicazione? Si affollano
le ipotesi, più o meno ardite e speculative. Forse si trattava di tempistiche
normali per l’Österreichische Volkszeitung, ma in tal caso Stekel
avrebbe potuto pubblicare su un’altra delle testate per cui era solito scrivere
(tra cui, per citare solo quelle viennesi, Die Zeit, Die Wage,
Hohe Warte, Die Kritik e naturalmente il già ricordato Neues Wiener
Tagblatt). Forse Stekel tenne nel cassetto l’articolo per mesi prima di
consegnarlo al giornale. Ma a quale scopo, considerato che nel frattempo
avrebbe avuto altre sedute da rendicontare (almeno una trentina) e, soprattutto,
che la natura del feuilleton privilegiava certamente questioni di immediata attualità?
Ancora, si potrebbe pensare che inizialmente gli incontri della Società non fossero
settimanali ma saltuari o magari mensili; tuttavia non abbiamo alcuna prova per
sostenere una simile posizione, per quanto stimolante dal punto di vista della
ricostruzione storica degli eventi. Francamente mi sembra più semplice
ipotizzare che probabilmente il ricordo di Stekel del 1926 non sia dei più
precisi. Non si tratta solo di quel “credo” con cui in qualche modo egli mette le
mani avanti, ma anche di un secondo errore (un lapsus?) che commette, come
vedremo tra poco, nello stesso passaggio del suo lavoro storico.
Per contro, il prosieguo dell’analisi
ci consentirà di avanzare una pur debolissima ipotesi su quando si tenne la
discussione sul “piccolo Kohn”.
I personaggi
La collocazione cronologica della
seduta riferita da Sekel non è l’unico elemento incerto: un altro riguarda i
personaggi. Come in Discussione sul fumare, anche qui i partecipanti
alla pionieristica riunione sono celati da pseudonimi. La maggior parte li
conosciamo da Discussione sul fumare: il Maestro (Freud), l’Irrequieto
(Stekel), il Socialista (Adler) e il Comodo (Kahane). Di quel primo gruppo
manca il Taciturno (Reitler), mentre di nuovi compaiono il Moderato e lo Scrittore.
Secondo Clark-Lowes il primo dei due è probabilmente il critico musicale David Josef Bach,
cugino della prima moglie di Stekel (Malvine Nelken [51]),
mentre il secondo sarebbe il musicologo Max Graf (Clark-Lowes, 2010, 220). Anche per Bernd Nitzschke (1944) è probabile che lo Scrittore sia Graf, mentre resta più cauto quanto al Moderato,
che a suo parere potrebbe essere o Bach, oppure Rudolf Reitler. Secondo l’autore,
infatti, quella sera Reitler potrebbe essere stato assente, oppure, in ossequio
al suo pseudonimo, non aver preso parola e dunque non essere stato immortalato nel
testo di Stekel. Ma potrebbe anche essere stato presente e indicato con il
nuovo pseudonimo di Moderato (Nitzschke, 1992).
Personalmente, trovo poco probabile quest’ultima ipotesi: perché dei cinque
pseudonimi impiegati nel precedente feuilleton, Stekel avrebbe dovuto modificare
proprio e solo questo?
Al di là delle perplessità su
Reitler, l’identificazione del Moderato con Bach e dello Scrittore con Graf, che
pur nel dubbio vede concordi Clark-Lowes e Nitzschke non è priva di problemi. A
spingere in questa direzione, va detto, è lo stesso Stekel, il quale nel saggio
del 1926, subito dopo avere riportato per esteso il testo di Discussione sul
fumare, così prosegue:
“Si aggiunsero nuovi membri. Dapprima
il musicologo dr. Max Graf, quindi il critico musicale Max Bach (una seduta –
credo la quarta o la quinta – si trova con fedeltà fotografica nella mia raccolta
di saggi ‘Masken der Sexualität’ con il titolo ‘Il piccolo Kohn’. Sulla psicologia
del ritornello. Il punto di partenza era il ritornello allora popolare ‘Non ha
visto il piccolo Kohn?’)…”
Il passaggio lascia davvero
intendere che Graf e Bach furono i primi ad aggiungersi ai fondatori della
Società e che dopo l’arrivo dei due (e non di altri) si tenne la serata sul “piccolo
Kohn”. Se però, come visto, la memoria dell’autore non è affidabile già quanto
all’esatta collocazione temporale di quell’incontro, abbiamo ora un nuovo e
sicuro segno della sua imprecisione. Colui che infatti viene chiamato Max Bach,
è in realtà David Josef Bach, fatto non considerato né da Nitzschke né da Clark-Lowes
(che pure avanzano le loro identificazioni sulla base del saggio storico di
Stekel) [52]. Detto
per inciso, sono interessanti questi errori e imprecisioni della memoria da
parte di chi apre lo stesso saggio dichiarando apertamente: “Non ho amnesie” e
che prosegue poco dopo affermando che Freud “si meravigliò che io non avessi
rimozioni “ e ancora: “Freud sottolineò nuovamente che io ero un’eccezione, che
non avevo rimozioni” (Stekel, 1926,539-41): non è certo un caso che quest’ultimo,
nella lettera per nulla amichevole del 13 gennaio 1924 gli aveva scritto: “… la
natura Le ha dato un’insolita misura di autocompiacimento…” (Freud, 1960, 320).
Inoltre, consultando fonti
indipendenti da Stekel per confermare o meno l’identità dei due nuovi personaggi
sulla scena, le incertezze non fanno che aumentare. Quanto a Bach, ho reperito notizie
utili soltanto in un prezioso testo di Elke Mühlleitner,
interamente dedicato ai membri della Società psicologica del mercoledì/Società
psicoanalitica di Vienna: secondo l’autrice, Bach entrò a far parte del circolo
psicoanalitico solo nel 1906, presentato da Alfred Adler (Mühlleitner, 1992,
29). Se l’informazione è affidabile, non possiamo certo collocarlo in una
serata della Società avvenuta entro l’agosto 1903.
Su Max Graf si hanno maggiori
notizie, ma ahimè non univoche. Jones indica che egli si unì al gruppo dei
pionieri “nei due anni successivi” alla fondazione, dunque tra il 1903 e il
1905 (Jones, 1955, 25), Mühlleitner, con maggior puntualità lo colloca nella
Società a partire dalla fine del 1904 (Mühlleitner, 1992, 119) e così anche de
Mijolla (de Mijolla, 2002, 690). Roudinesco e Plon riferiscono invece che Freud
gli propose di partecipare alle riunioni già nel 1902 e che questi accolse l’invito
(Roudinesco e Plon, 1997, 363), lasciando intendere che lo fece di lì a poco.
Di fronte a una tale incertezza dei
dati, l’identificazione del Moderato e dello Scrittore risulta particolarmente
ardua e speculativa. Certo, l’ipotesi di Nitzschke e Clark-Lowes è allettante,
poiché pone in una seduta a tema prevalentemente musicale due nuovi personaggi
entrambi professionalmente legati a quel mondo. Inoltre, risulta particolarmente
suggestivo immaginare in quella sede – cosa che se non altro Roudinesco e Plon ci
consentirebbero – la presenza di Graf, padre di Herbert Graf, il ben più noto “piccolo”
della storia della psicoanalisi: “Hans”. È infatti proprio lui (o meglio, lo Scrittore)
a portare il discorso sulle canzoni per bambini, ricordandone due, la canzocina
Storch, Storch, Steiner e la ninnananna Schlaf, schlaf Püppchen
schlaf. Vien fatto di immaginare il piccolo Hans (per rimanere sulla falsariga
degli pseudonimi) intrattenuto dalla prima e cullato dalla seconda. Sul filo di
questa ipotesi altamente speculativa potremmo spingerci oltre e, considerando
che Herbert Graf nacque il 10 aprile 1903 [53]
e che fu il primogenito di Max Graf e della moglie Olga Hönig (schemagenealogico),
supporre che la seduta della Società psicologica del mercoledì dedicata al “piccolo
Kohn” si svolse dopo la metà di aprile del 1903. Naturalmente si tratta di
niente più che un azzardo: non solo infatti non siamo sicuri dell’identità dello
Scrittore, ma anche ammesso si tratti di Max Graf, va tenuto conto del fatto
che per professione conosceva questi la musica e i suoi vari generi, a
prescindere dall’essere o meno genitore.
Il tema
Il tema scelto da Stekel ci cala immediatamente nel clima popolare e vernacolare della Vienna fin de siècle. È in tal senso una fortuna che sia oggi così agevole, nella maggior parte dei casi, recuperare riproduzioni sonore delle canzoni e delle musiche dell’epoca e lasciarsi così trasportare in quell’atmosfera da ritmi e note. Non sono in grado di discutere il tema della serata del “piccolo Kohn” su un piano strettamente musicologico, ma posso se non altro proporre alcune considerazioni di carattere storico-biografico, filologico (in senso lato) e stilistico.
Storia e biografia
Non si può passare sotto silenzio
che fin dalle prime battute, con il riferimento al ‘piccolo Kohn’, vero e
proprio fil rouge dell’intera serata, emerge un elemento negativo della
Vienna di Freud: il serpeggiante e diffuso antisemitismo. Notevole in tal senso
la dissonanza tra la semplice e accattivante melodia del ritornello del “piccolo
Kohn” e i sottointesi del testo (si veda e … ascolti la n. 6). Consultando la
pagina di de.wikipedia dedicata alla canzone,
si possono osservare immagini e cartoline espressamente ispirate a essa: anche
qui, la leggerezza del disegno cela (o palesa?) la ferocia del messaggio. L’antisemitismo
in sé e nei suoi stretti nessi con le origini della psicoanalisi è un tema troppo
ampio per essere adeguatamente trattato in questa sede; rimando perciò alle
aggiornate pagine di Franca Feliziani Kannheiser e Francesco Marchioro (Feliziani
Kannheiser, 2019, 40-8; Marchioro, 2022, 27-41). Mi limito qui a far notare come
paia non preoccupare assolutamente i partecipanti alla serata.
Tornando più direttamente al tema
della musica, va detto che essa era tenuta in grandissima considerazione a
Vienna, e non solo come esperienza di ascolto passivo: suonare uno strumento
era consuetudine talmente diffusa da aver reso necessaria una legge che, a tutela
della quiete pubblica, proibiva di farlo dopo le
ventitré (Freud M., 1957, 23; Johnston, 1972, 132). Ciò ci consente anzitutto di
comprendere meglio il motivo dell’interesse mostrato dai membri della Società
del mercoledì per la musica: la sua popolarità. D’altra parte, a prescindere dalla
vera identità dello Scrittore e del Moderato, il fatto che tra i (primi) membri
della Società psicologica del mercoledì ci fossero un critico musicale e un musicologo
è un’ulteriore riprova del valore che la musica e chi a vario titolo di essa si
occupava avevano a Vienna.
In realtà si può ben
dire che anche Discussione sul fumare riporta di una serata incentrata
su una tematica allora molto di moda, qualcosa che veniva visto addirittura come
quasi intrinsecamente legato al maschile. Basti ricordare un paio di interventi
di quella pionieristica seduta: “Un uomo deve fumare” o: “credo che le signore sentirebbero
malvolentieri la mancanza del sapore del tabacco nei nostri baci”. Ancora: in Psychopathia sexualis, Krafft-Ebing
segnala in diverse occasioni il fumo e l’uso del tabacco come caratteristiche
che identificano l’uomo in quanto “virile” o la donna in quanto omosessuale (Krafft-Ebing,
1924, 457, 532, 542), mentre la loro assenza o scarsa presenza viene considerata
come possibile indicatore di omosessualità maschile (Krafft-Ebing, 1924, 469). Probabilmente,
proprio il fatto che questi due argomenti fossero così diffusamente sentiti convinse
Stekel a farne feuilleton e le testate giornalistiche ad accettarli.
Il dato contestuale ci aiuta
anche a dare peso e valore a un noto episodio della vita di Freud, che potrebbe
altrimenti venir sottostimato: quando, giovane universitario, impose alla madre
di eliminare il pianoforte della sorella Anna per poter studiare con tranquillità,
sotto minaccia di andarsene di casa su due piedi (Freud Bernays, 1940, 337; Jones,
1953, 44). Tanto era scontato che in una casa viennese ci fosse uno strumento e
che qualcuno imparasse a suonarlo, quanto il gesto di Freud palesa una sua
certa prepotenza; per giunta, il fatto che la sua richiesta fu accolta, ci dice
in quale considerazione erano tenuti lui e i suoi studi, in particolare dalla
madre di cui era certo il favorito, come lui stesso ebbe in qualche modo a
riconoscere (Freud, 1899, 365-6 n. 2; Freud, 1917, 14; Jones, 1953, 27, 29; Freud
M., 1957, 23): sarebbe un po’ come se oggi un figlio esigesse l’eliminazione di
tutti i televisori da casa per poter studiare tranquillamente e… venisse accontentato
dai genitori! Si può ben capire allora perché l’episodio sia rimasto tanto
impresso nella memoria della sorella al punto da riportarlo in un articolo
biografico sul fratello. (Freud Bernays, 1940).
Naturalmente la
passione per la musica non era prerogativa esclusivamente viennese. Nelle
battute finali del testo qui proposto, l’Irrequieto (Stekel) fa riferimento al
suo rapporto con il pianoforte. Pare che Stekel, che non era originario di
Vienna, dove era giunto da Czernowitz (Bucovina) per studiare medicina (Lualdi,
2015, 118), fosse un abile pianista e violinista, nonché compositore (Lualdi,
2015, 108 e segg., 122-3, 177-8, 393, 490, 516). Nella sua autobiografia
racconta che era solito duettare quotidianamente con Malvine fin dal
fidanzamento (Lualdi, 2015, 151, 172), dandoci con ciò ulteriore conferma, più
che della propria abilità, di quanto fosse diffusa al tempo nelle case l’abitudine
di suonare qualche strumento musicale, anche come attività condivisa.
Colpisce infine il
commento di Freud:
“Mi sembra impossibile interpretare processi intellettivi a partire dalla musica. La musica è la più oscura e misteriosa di tutte le arti.”
Esso corrisponde alla sua più tarda ammissione di non avere orecchio per la musica (Jones, 1953, 44; lettera di Freud a Jones del 22 settembre 1912 in Freud, 1993, 243, Johnston, 1972, 241), cosa che peraltro non significa che non amasse quell’arte “oscura e misteriosa” (Haynal, 1992, xvii).
Questioni filologiche
Il feuilleton di Stekel offre negli
interventi di Freud alcune curiose anticipazioni di almeno due sue opere successive.
La prima è Il motto di spirito e
la sua relazione con l’inconscio (Freud, 1905). Nitzschke (Nitzschke, 1992,
n. xviii) ritiene che in quest’opera Freud faccia un preciso riferimento alla
seduta del “piccolo Kohn”, laddove scrive:
“È parimenti un fatto accettato da tutti che rima,
allitterazione, ritornello e altre forme di ripetizione di suoni verbali simili
in poesia sfruttino la stessa fonte di piacere, il ritrovamento del già noto” (Freud, 1905, 109).
A mio parere, tuttavia, il commento
di Freud è di qualche interesse in questa sede più che altro per l’esplicito
richiamo all’allitterazione che, come detto (n. 31), è una delle
caratteristiche più antiche della letteratura tedesca e, più in generale,
germanica. Un richiamo che dunque, nel suo ripetersi tanto nella seduta della Società
psicologica del mercoledì, quando ne Il motto di spirito, non pare
casuale e che suggerisce anzitutto la profonda competenza linguistica e
stilistica di Freud e dei suoi collaboratori. Non solo: la constatazione avrebbe
anche potuto indicare alla psicoanalisi delle origini uno di quei paralleli tra
selvaggi e bambini sui cui raffronti (tra gli altri) Freud costruirà qualche
anno più tardi il discorso di Totem e tabù: bambini e selvaggi sarebbero
accomunati (anche) dal fatto di trarre piacere dalle allitterazioni. Ma quanto
a un raccordo più specifico tra il commento di Freud del 1905 e la seduta del “piccolo
Kohn”, bisogna notare che in quest’ultima non si fa alcun riferimento al meccanismo
del “ritrovamento del già noto” quale fonte del piacere e dunque il nesso tra
le due occasioni mi pare soffrire di una certa debolezza.
Diverso è invece se si mette a
fuoco non un qualche passaggio preciso de Il motto di spirito, ma un concetto
lì più volte ripetuto, quello della “scarica” di un certo “ammontare di energia
psichica” quale meccanismo generatore del riso (Freud, 1905, 131-5, 162, 186):
questo infatti riprende più da vicino una ancora acerba suggestione del Comodo
(Kahane):
“Il professor Benedikt parlò una
volta di un bisogno di carica e di scarica degli uomini. Dobbiamo caricarci di
stimoli ma dobbiamo anche di tanto in tanto scaricare questi stimoli. Questi ritornelli
agiscono secondo la mia opinione come benefiche scariche di tensioni interne.”
In modo forse inatteso è una seconda opera di Freud, cronologicamente ben più distante dalla seduta del ‘piccolo Kohn’, a presentare precisi rimandi contenutistici a quest’ultima: Psicologia delle masse e analisi dell’Io. Dice Freud nel 1903:
“La massa si comporta sempre come un bambino. Certo Loro conoscono la calzante massima di Schiller per cui un gruppo di persone ragionevoli sommate tra loro può ammontare a un cretino.”
Poco dopo si concede un piccolo sfogo:
“Non so rivolgermi abbastanza vigorosamente contro l’abuso fatto oggigiorno della parola [“]suggestione[”]. Ma cosa è suggestione? Ma sappiamo come agisce la suggestione? Loro mi concederanno che mi sono occupato intensamente di queste questioni. Mi sono recato dai più celebri maestri della suggestione, ma nessuno ha potuto darmi una risposta a questa domanda.
‘Cristoforo
portava Cristo
Cristo
portava il mondo intero
Dimmi,
dove ha posto allora Cristoforo
il suo piede?’”
In Psicologia delle masse ritroviamo entrambe queste considerazioni di Freud. In una nota nelle prime pagine, è riportata la massima, questa volta letteralmente, con tanto di indicazione precisa della fonte. La riporto qui nella versione proposta da OSF:
“Ognuno, veduto da solo, è
passabilmente perspicace e assennato;
Ma una volta in corpore,
eccotelo trasformato di colpo in un somaro” (Freud, 1921, 267 n. 3, corsivo
nell’originale).
E
poco più di una decina di pagine dopo, Freud affronta il tema della
suggestione, con tanto di riferimento alla propria passata esperienza con i maestri
della suggestione e soprattutto con i medesimi versi in rima su San Cristoforo
(Freud, 1921, 279). Unica differenza: qui nell’originale “Cristoforo” è scritto
“Christoph”, mentre Stekel scrive “Christophorus”.
Il fatto che questi passaggi di
Freud si ritrovino in una sua opera del 1921 non solo dà un’idea del lungo percorso
di pensiero e riflessioni su cui essa si fonda, ma ci conferma anche che, almeno
in certi punti, l’articolo di Stekel è davvero una riproduzione fedele di quanto
avvenuto quella sera.
Un elemento stilistico
Durante la discussione, Stekel
argomenta che se il “garzone”, nel parlare alla “sua signora” può fare ricorso
a ritornelli e frasi fatte è perché è “sicuro di trovare la necessaria comprensione”, ossia
che la sua destinataria coglierà le allusioni e il loro significato.
Questa trama
implicita della comunicazione può esistere solo all’interno di ambienti i cui
appartenenti condividono una formazione molto simile e non a caso la ritroviamo
nel modo di comunicare tra loro degli uomini colti del periodo, le cui citazioni
e allusioni non si fondano però su motivetti popolari ma sui classici, appresi
e mandati a memoria durante gli anni di ginnasio e di università: quei classici
contro cui appunto il popolo pare ribellarsi realizzando un proprio e diverso tessuto
culturale, come lo stesso Stekel afferma in uno dei passaggi iniziali della
serata:
“Il popolo prova un sordo rancore
verso i suoi classici, cui deve rendere onore senza riuscire a comprenderli. Ciò
trova espressione nel modo più bello in una canzone viennese. L’ingenua dichiarazione
è finanche toccante. ‘Non l’ha scritto un Goethe, non l’ha messo in poesia uno
Schiller, non si trova in nessun classico, in nessun genio, così parla il cuore
di un viennese a una viennese ed è pura poesia’.”
Ci viene così rimandata da un lato l’immagine
di una città ben consapevole della propria individualità, dall’altro quella della
sua struttura sociale, costituita da stratificazioni piuttosto nette e
identificabili, ognuna con i propri codici comunicativi, analoghi nelle forme (la
citazione e l’allusione) ma pressoché opposti nei contenuti (canzoni popolari da
un lato e classici dall’altro).
Ma soprattutto abbiamo l’opportunità
di mettere ancor meglio a fuoco una caratteristica dello stile di Freud, tanto
nei suoi scritti quanto, come in questo caso, nei suoi discorsi. Egli ricorre
infatti molto spesso a citazioni di classici o a loro semplici allusioni,
proprio perché sicuro che i suoi lettori e ascoltatori ben coglieranno il messaggio:
altrove ho analizzato la questione, riconducendola regolarmente agli studi e
alla formazione di Freud (Ornston, 1992, 14; Lualdi, 2022, 6 e segg., Groddeck
et. al, 2022, 134 e segg.); qui però ne individuiamo un’altra radice meno culturale
e più sociale: a prescindere dall’educazione scolastica, infatti, l’inserire allusioni
e citazioni, più o meno elevate, nelle comunicazioni risulta tratto tipico di un’intera
società. E posso solo immaginare che in una città come Vienna, culturalmente
fervida e al contempo con una spiccata coscienza delle proprie peculiarità (dunque
in un certo senso chiusa in sé e unita, malgrado le differenze sociali), questo
genere di artifici risultasse ancor più netto, quasi una conferma dell’appartenenza
al medesimo gruppo. Non a caso durante la discussione vengono citati alcuni
versi in dialetto viennese, che naturalmente Freud ben conosceva (Johnston,
1972, 201; Amati Mehler et. al. 1990, 27-8; Lualdi, 2021, 6) ed è noto il suo complesso
rapporto, intriso di amore e odio, con Vienna, rapporto che, si badi, pare essere
piuttosto tipico dei viennesi del periodo (Jones, 1953, 356-7; Johnston, 1972,
238).
Si noti come, durante la serata,
appena presa la parola, Freud chiami in causa Schiller e prosegua poi con alcuni
versi su San Cristoforo, finendo con un’allusione alla teoria evoluzionistica di
Darwin. Se nel primo caso, a differenza degli altri due, cita direttamente la
fonte, non è certo perché sta rinunciando al piacere dell’allusione. Tutt’altro:
citando Schiller non lascia dubbi su ciò che pensa della dichiarazione di guerra
dei viennesi ai classici (“…non l’ha messo in poesia uno Schiller…”). Quanto ai
versi su San Cristoforo, la perfetta riproduzione che ne offre Stekel non è
tanto da intendersi – a mio parere – quale esempio della sua perfetta memoria
(abbiamo visto sopra chiari esempi dei suoi difetti), quanto piuttosto del
fatto che egli già la conosceva e che dunque a Freud non era necessario citarne
la fonte. Lo stesso si può dire per l’allusione all’opera di Darwin, colta e
portata avanti da Kahane in un successivo intervento: si tratta di
dimostrazioni del buon funzionamento del meccanismo allusivo nel sostenere e
arricchire la conversazione.
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[1] Titolo originale: “Der
‘kleine Kohn’”. Dopo la prima
pubblicazione nel 1903, Stekel ripropose il testo in due diversi volumi. Nel 1911
lo inserì infatti in Nervöse Leute [Gente nevrotica] (Clark-Lowes, 2010, 356) e negli
anni ’20 in Masken der Sexualität [Maschere della sessualità]. La
prima edizione di quest’ultimo testo uscì nel 1920 e in esso Il ‘piccolo Kohn’ non compare. Secondo de.wikipedia fu inserito nella seconda edizione (1921), secondo Clark-Lowes nella terza, del
1924 (Clark Lowes, 2010, 360). La presente traduzione si fonda sull’unica fonte
che sono riuscito a reperire: Stekel W., Nervöse
Leute. Kleine Feredzeichnungen aus der Praxis, Verlag Paul
Knepler, Wien, 1911, 129-137.
Tra parentesi quadra i numeri
di pagina dell’originale; testo originale in caratteri gotici.
[2] Il termine “feuilleton” era stato introdotto
nel 1800 circa a Parigi dal critico e scrittore Julien-Louis Geoffroy (1743-1818) per indicare la parte inferiore della prima pagina di un quotidiano,
parte che si poteva staccare dal corpo del giornale. A Vienna il feuilleton ebbe
presto molto successo (Ticho, 1986, 230), divenendo uno spazio dedicato a notizie
di qualsiasi genere, trattate con uno stile colloquiale, al punto da venir
criticato come segno di decadenza. Tra i più aspri critici, il giornalista
satirico Karl Kraus (1874-1936) (Johnston, 1972, 120-2), ben noto alla prima cerchia psicoanalitica
(Jones, 1955, 154).
[3] Qui, per
evidente refuso, viene indicata la data del 25 agosto.
[4] Letteralmente: stanza, camera (Zimmer).
[5] Come racconta Stekel nel suo saggio
storico sul movimento analitico del 1926, dopo i primi incontri della Società, “si presentò la necessità di determinare in anticipo un
programma preciso per ogni serata. Uno dei cinque signori si incaricava della
relazione, quindi seguiva la discussione” (Stekel, 1926a, 545).
[6] “Il piccolo Cohn” (o Kohn) era uno stereotipo
antisemita popolare nell’impero austroungarico a cavallo tra XIX e XX secolo.
Cohn, cognome molto diffuso tra gli ebrei, venne per questo preso a concentrato
di tutti i pregiudizi antisemiti. L’autore del testo è ignoto, mentre la musica
venne composta da Julius Einödshofer (1863-1930) attorno al 1900 e portata al successo dal cantante Guido Thielscher (1859-1941) nel 1902. Pare abbia preso spunto da un episodio occorso all’avvocato
Fritz Cohn (1875-1943), persosi tra la folla del teatro Apollo (Berlino) durante
l’intervallo di una rappresentazione. La sua fidanzata prese a cercarlo chiedendo
a tutti: “Non ha visto il piccolo Cohn?”. La domanda passò di bocca in bocca diventando
immediatamente un tormentone cui venne presto data una melodia (fonte).
Wikipedia riporta anche il testo della canzone (un’altra versione del testo qui).
Ne ho trovata una esecuzione solo musicale, senza il testo.
Il ritornello cantato, invece, si può trovare in questo medley del 1929 al tempo
4 minuti e 10 secondi (fino a 4 minuti e 40 secondi).
[7] Il concetto di “tipo” (“Thypus”), ricorre
diverse volte nel testo ed è di uso corrente nella medicina (ambito dal quale provengono
i primi membri della Società del mercoledì) del periodo. Il “tipo” è il
rappresentante ideale di una categoria, all’interno di una classificazione: ha
tutte le caratteristiche di quella categoria e nessuna caratteristica delle
altre categorie appartenenti alla medesima classificazione. Questo modo di
procedere e di ordinare i dati clinici lo si ritrova, ad esempio, negli studi
di Freud sulle paralisi cerebrali infantili (Lualdi, 2017, 41).
[8] “Servus Brezina” è una farsa del 1903 dello scrittore umoristico viennese Benjamin
Schier (1849- 1910) (Brümmer, 1913, 173-4;
Bigler-Marschall, 1992, 1999).
Si tenga però presente che la
serata della Società psicologica del mercoledì qui riportata da Stekel risale a
quello stesso anno, forse proprio all’inizio (il punto sarà discusso più
ampiamente a fine testo) ed è dunque possibile sia avvenuta prima dell’uscita
del lavoro di Schier o della sua diffusione a Vienna. Considerato che argomento
della discussione erano canzoni e loro ritornelli,
il riferimento di Stekel potrebbe essere a “Hausball bei Brezina”, del cantante
e compositore viennese Carl Lorens (1851-1909),
nel cui ritornello si trova l’espressione “Servus Brezina”. Nel testo ho optato
per questa seconda ipotesi, anch’essa se resta incerta, non essendo io riuscito
a definire l’anno di uscita di “Hausball bei Brezina”.
[9] “Refrain(s)” nell’originale, qui come
nelle successiva occorrenze. Sono stato tentato di rendere con “tormentone/i”,
poiché in fondo di questo si tratta, ma mi è parso termine decisamente fuori contesto,
per cui ho conservato una resa più letterale.
[10] Detta anche “Boulanger’s Grand March”, fu scritta
dal compositore francese (ma nato a Berlino) Louis César Marchione, detto Desormes (1840/41-1898) in onore del
generale Georges Ernest Jean-Marie Boulanger (1837-1891). Fonte 1; fonte 2; fonte 3.
[12] Il noto inno nazionale francese, composto nel 1792 da Rouget de Lisle (1760-1836).
[13] Il “Los-von-Rom-Bewegung” (“Movimento via-da-Roma”)
era un movimento protestante nato a Linz nel 1882, che proponeva e sosteneva il
distacco della chiesa austriaca da quella cattolica e da Roma. Fonte.
Testo del poeta popolare viennese Josef Hadrawa (1869-1950; vedi anche qui) (Holzer, 1943, 231 e Patronanz ecc., 1975 .ca, 232), musica del compositore compositore viennese Rudolf Hauptmann (1864-1937).
La sua diffusione è comprovata sia dai riferimenti che ho potuto trovare in diversi volumi sia dall’esistenza di cartoline postali a essa dedicate, una delle quali ho appunto scelto come immagine di apertura di questo post.
Su segnalazione di Sandra Sparber indico un link al quale si può ascoltare l’incipit della canzone in una registrazione del 1901: occorre cliccare su “03. Drah’n ma um und drah’n ma auf” e poi sul pulsante ► che compare subito sotto.
Il testo è in dialetto viennese e la grafia varia da fonte a fonte. Stekel scrive “Drah’n m’r um und drah’n m’r auf, es liegt nix d’ran, weil m’r ’s Geld auf derer Welt net fressen kann”. In Holzer: “Drah‘n ma um und drah‘n ma auf, es liegt nix dran, weil ma’s Geld auf dera Welt net fressen kann” (Holzer, 1943, 231; vd. anche Patronanz etc…, 1975 .ca, 232) e, poco più avanti: “Drahn ma um und drahn ma auf, was liegt denn dran, weil man’s Geld auf derer Welt net fressen kann” (Holzer, 1943, 239). Infine in Felix Salten (1869-1945): “Drah’n m’r um und drah’n m’r auf, es liegt nix d’ran, […]’s Geld auf dera Welt net fressen kann” (Salten, 1910, 78 e 81).
[17] Walzer tratto dall’operetta viennese in tre atti di Edmund Eysler (1874-1949) del 1903 “Bruder Straubinger”.
[18] “Stumpfsinn” nell’originale. Probabile riferimento alla canzone popolare “Stumpfsinn, Stumpfsinn, du mein Vergnügen”. La canzone, di autore ignoto ha molte versioni, nelle quali restano invariati la melodia, il ritornello e la struttura delle strofe (Klappenhornvers), tipica quest’ultima della poesia umoristica tedesca a partire dal componimento “Idylle” del notaio di Gottinga Friedrich Daniel, pubblicata il 14 luglio sulla rivista Fliegende Blätter. Di seguito alcuni esempi di testo della canzone: qui, qui e qui. Il fatto che Stekel parli al plurale di “ritornelli”, mi porta a supporre l’esistenza di altre versioni della canzone in cui vi siano variazioni anche di tale parte del testo.
[19] “Mir san halt Landsleut, linzerische Buabn, wir kaufen uns a Sträußerl und steckens uns am Hut” nell’originale. Si tratta di una canzone (probabilmente) del già citato compositore e cantante viennese Carl Lorens (supra, n. 8) (fonte). Anche in questo caso ne esistono diverse varianti sia per grafia sia per testo, ad esempio: qui e qui. Molto interessante il doppio titolo della seconda versione segnalata, in cui in alternativa all’aggettivo “linzerische” (di Linz), si ha “weanarische” (viennese): esiste infatti una versione della canzone che – pur indicata come melodia popolare della Stiria – riporta il ritornello tipicamente viennese poco prima citato da Stekel (“Farsi un altro bicchiere…”).
[20] “Tarara Bumdiöh” nell’originale. Stekel approssima secondo le regole fonologiche tedesche la pronuncia dell’inglese “Boom-de-ay”, impiegando una forma che trova corrispondenza, ad esempio, in “Nach vienel Sommern”, traduzione tedesca del romanzo di Aldous Huxley (1894-1963) “After Many a Summer” (Huxley, 1939a, 66; Huxley, 1939b). Si tratta di una canzone degli anni ’80 del XIX secolo, di autore incerto, che ottenne il successo nel 1891 quando venne impiegata da Henry J. Sayer (?-?) nel suo varietà Tuxedo (Fonte).
[21] Anche in questo caso siamo di fronte a un brano fornito di testi diversi (le “diverse connotazioni”). Qui e qui due varianti.
[22] Stekel si riferisce qui a una canzone degli anni ’80 del XIX secolo, del compositore berlinese (di adozione) Ludolf Waldmann (1840-1919) dal titolo “Fischerin du kleine” (Tu, piccola pescatrice), nota anche come “War einst ein kleines Fischermädchen” (C’era una volta una piccola pescatrice). Il testo andò incontro a diverse parodie, come l’omonima “Fischerin du kleine” (o “Es war einmal ne Fischerin” [C’era una volta una pescatrice]) e “Fischerin du große” (Tu, grande pescatrice), di autori ignoti.
[23] Walzer lento dall’opera “Opernball” (1898) del compositore viennese (di adozione) Richard Heuberger (1850-1914) https://it.wikipedia.org/wiki/Richard_Heuberger. Testo: https://musicstall.wordpress.com/2010/02/14/heuberger/.
[24] “Chambre séparée” è un prestito francese con cui in tedesco si indica ciò che oggi in italiano, con altro prestito francese, chiamiamo “privé”. In francese non si impiega né l’una né l’altra espressione, bensì “cabinet particulier”. Fonte 1, fonte 2.
[25] “Hulda, für die kein Stuhl da war”. Stekel cita in modo imperfetto la canzone “Ist denn kein Stuhl da für meine Hulda?” [Ma non c’è alcuna sedia per la mia Hulda?], composta nel 1899 (secondo Richter, 2004, 449) o nel 1895 (secondo de.wikipedia, anche se questa seconda datazione mi pare meno probabile in base all’insieme dei dati raccolti ed esposti qui di seguito) da Wilhelm Wolff (1851-1912), basata sulla mazurca “La Czarine” del compositore francese Louis Ganne (1862-1923) (scritta nel 1897 secondo Richter, 2004, 192).
Nel file audio rintracciato, l’immagine di copertina del disco chiarisce l’elemento allusivo della canzone. Questa ebbe un successo tale che non solo ne seguirono alcune cartoline postali (uno, due) ma anche il nome femminile Hulda conobbe un picco di diffusione (fonte). Qui il testo della canzone.
[26] “Die kleine Witwe” canzone del 1898 con musica del compositore Wilhelm Aletter (1867-1934) e testo del cantante e paroliere Otto Ruetter (1870-1931). Qui se ne può ascoltare la musica.
[27] “tanto abituata a dare baci da non poterne fare a meno”, nell’originale: “die das Küssen so gewöhnt ist, daß sie es nicht lassen kann”. Stekel cita qui un verso della canzone: “[Ich] bin das Küssen so gewohnt, daß ich’s nicht lassen kann”.
[28] Il titolo esatto è “Nach Großwardein”. Si tratta di una marcia composta da Hermann Rosenzweig con testo di Anton Groiss (fonte).
[29] “Über die Unsterblichkeit der Maikäfer nachdenken”, letteralmente “riflettere sull’immortalità dei maggiolini” è un modo di dire che significa grosso modo “essere immerso in pensieri senza senso” (fonte). Cor Hendriks, sulla base di “The History of the Ladybird. With some Diversions on This and That” di Arthur Wallis Exell (1989), e di un dizionario che non sono riuscito a identificare, afferma che il detto significherebbe “pensare alla colazione” (Hendriks, 2017, 36). Segnala però anche, in nota, l’esistenza del verbo tedesco “meikäfer” con il significato di “prepararsi nervosamente a tenere un discorso” e “lavorare in silenzio per se stessi” (Hendriks, 36 n. 113). La traccia è interessante. A quanto mi risulta, il verbo è piuttosto raro e l’ho ritrovato solo in tre dizionari del ricco portare woerterbuchnetz.de: il Wörterbuchder deutschen Gegenwärtssprache, che conferma in sostanza il secondo significato segnalato da Hendriks, rimarcandone però la connotazione di presa in giro, Der deutsche Wortschatz von 1600 bis heute, che aggiunge un terzo significato (“esitare, essere indecisi”) e infine il Rehinisches Wörterbuch che conferma il terzo significato (“riflette a lungo senza risolversi a fare”).
[30] “Non possiamo esaurire questo tema”. In realtà l’originale ha: “Wir kennen dies Thema nicht erschöpfen”, lett: “non conosciamo…”, che mi pare porti a un nonsenso. Traduco quindi supponendo un refuso kennen/können: “Wir können dies Thema nicht erschöpfen”. La frase originale avrebbe senso se si potesse intendere “erschöpfen” come avverbio: “Non conosciamo esaurientemente questo tema…” ma mi pare lettura ancor meno probabile di quella da me proposta.
[31] Considerazione molto interessante, tenuto conto del fatto che l’allitterazione è una delle caratteristiche più antiche della letteratura tedesca e, più in generale, germanica (Molinari, 1987, 103).
[32] Forse Moriz Benedikt (1835-1920), neurologo viennese, ipnotista ed esperto di elettroterapia, noto a
Freud fin dai tempi dei suoi studi sulle paralisi cerebrali infantili (si veda
ad esempio Freud, Rie, 1891, 71; Freud 1893, 105; Freud, 1897, 107-8, 127, 201,
223). Per via dell’impiego sia dell’ipnosi sia dell’elettroterapia, i concetti
di carica e scarica dovevano avere per Benedikt un significato preciso e
importante.
[33] Latino e caratteri latini (a differenza di
tutto il resto in caratteri gotici) nell’originale.
[34] Così
nell’originale. In realtà Engelbert Hunperdinck (1854-1921), compositore tedesco tardo-romantico. L’opera subito dopo citata, “Hänselund Gretel” è dei primi anni ’90.
[35] Si
tratta della canzone popolare viennese “Das hat ka Goethe g’schrieb’n”, musica di
Johann Sioly (1843-1911) e testo di di Wilhelm Wiesberg (1850-1896).
Qui il testo, con tanto di accordi per chitarra per chi volesse cimentarsi...
[36] Canzone
popolare per bambini, che contempla diverse versioni tra le quali assai nota è
quella del compositore tedesco Carl Reinecke (1824-1910),
proposta nel file audio. Esempi di testi diversi si trovano qui e qui.
Quanto al titolo, “Storch” è la cicogna; “Steiner” è invece parola impiegata non
solo per allitterazione con Storch ma anche per rima con il verso seguente (fonte).
Vi sono infatti versioni in cui, cambiando quest’ultimo (per significato o per
consuetudini ortografiche), cambia anche il termine in oggetto: “guter/bruder”,
“besser/schwester”, “Steene/Beene”, ecc… (fonte).
Va però aggiunto che tra i vari significati del pur raro termine “Steiner” vi è
quello di “Pietro” per germanizzazione del latino “Petrus”, come indica lo SchweizerischesIdiotikon.
Ciò potrebbe collegarsi al fatto che tradizionalmente la migrazione della
cicogna è legata alla festa di San Pietro (22 febbraio), quantomeno in ambitogermanico.
Questa recente (e tenera) versione audio e video conferma la vitalità del brano.
[37] Letteralmente,
qualcosa come “ochetta trotterellante con la codina in fasce”. Probabilmente il
riferimento è al verso “Watschelgänschen
mit dem kleinen Wickel-, Wickelschwänzchen” (“Watschelgänschen” ha comunque significato
sovrapponibile a “Wackelgänschen”), di uno dei numerosissimi testi della ninnananna
“Schlaf, Püppchen Schlaf” (oltre a quella nel testo, si veda anche qui)
anch’essa riconducibile, in almeno una delle versioni più note, a Carl
Reinecke. Di nuovo il verso non è giocato sul significato ma sull’allitterazione.
Il brano è noto anche come “Schlaf Kindlein Schlaf” e “Schlaf, Kindchen, Schlaf”
e ne esiste un frammento risalente addirittura al 1611 (fonte 1, fonte 2).
[38] Nell’originale: “eine Gruppe von vernünftigen Menschen in Summe
einen Dummkopf ausmachen könne”. Il
riferimento è alll’aforima di Schiller: “Jeder, sieht an ihn einzeln, ist
leidlich klug und verständig;/Sind sie in corpore, gleich wird euch ein
Dummkopf daraus” (Schiller, 1867, 252), che potremmo rendere: “Chiunque, se visto da solo, è
passabilmente intelligente e assennato; se si trova in corpore ne vien
fuori un cretino”. La locuzione latina “in corpore” è impiegata in tedesco con il significato
di “in gruppo” (si veda la voce “in corpore” ad esempio in Der deutscheWortschatz von 1600 bis heute e in Meyers Großes Konversationslexikon).
[39] Si veda Richter, 1896, 223.
La frase, di origine incerta, compare sotto diversi dipinti che ritraggono San
Cristoforo che porta Cristo e il mondo. Konrad Richter cita in tal senso un
dipinto sito a Töltz, in Alta Baviera; prima di lui Carl Samuel Hoffmann segnala
un dipinto del 1575 che si trova a Oschatz (Sassonia) (Hoffmann, 1813, 146).
[40] L’Irrequieto, ossia Stekel.
[41] “lotta per l’esistenza”, “Kampf ums Dasein”
nell’originale. Si tratta della tipica traduzione tedesca del darwiniano “struggle
for life” (si veda ad es. Pörksen, 1984/1986, 199-200). Non sfugga dunque l’allusione
alla teoria evoluzionista.
[42] Vienna?
[43] “i pensieri
repressi”, “die unterdrückten Gedanken” nell’originale. Di repressione (Unterdrückung), Freud parla
fin da L’interpretazione dei sogni (Laplanche, Pontalis, 1967, 537). A
rendere qui difficile l’inquadramento del concetto è il fatto che viene
applicato non al singolo ma al gruppo e diviene difficile pertanto qualificarlo
come meccanismo cosciente o inconscio. C’è peraltro da dire che a inizio secolo
il discrimine tra repressione e rimozione (Verdrängung) non era ancora stato
definito con precisione (Freud, 1899b, 552 n. 1). Tant’è che proprio ne L’interpretazione
dei sogni Freud parla proprio di “pensieri repressi” (“unterdrückten
Gedanken”) in un contesto che evidenzia la permeabilità del confine tra i due
concetti (Freud, 1899a, 420; Freud, 1899b, 381).
[44] “spostamento”, “Verschiebung”. Anche
questo noto meccanismo psichico è già ben presente ne L’interpretazione dei
sogni: non è un caso che subito dopo aver chiamato in causa ben due
meccanismi psichici, Freud accennerà ai sogni. Va però precisato che egli impiega
il termine “spostamento” fin dai primi anni ’90: lo si ritrova infatti già
nella lettera a Breuer del 29 giugno 1892, strettamente legata a Studi sull’isteria.
Qui tuttavia il lettore italiano rischia di non riconoscerlo, poiché
tradotto con “dislocazione” (Freud, 1892a, 5-6; Freud, 1892b, 139-40; si veda
anche Laplanche, Pontalis, 1967, 608-12).
[47] “anima inconscia del popolo”,“unbewüßten Volkseele” nell’originale. Un inconscio collettivo ante litteram?
[48] “che abitano il sud più profondo”,“tiefsten stehenden” nell’originale. L’espressione potrebbe in realtà riferirsi non alla collocazione geografica ma, in quell’ottica darwiniana prima accennata (n. 41) a quella “evolutiva”: si tratterebbe degli esseri umani meno evoluti, dunque più in basso nella linea evolutiva. Subito dopo, infatti, si parla di “selvaggi” e di “resti etnografici”.
[49] “ereditate”, “ererben” nell’originale. Vi è qui forse un riferimento alla teoria evolutiva lamarckiana, al tempo molto dibattuta e che lo stesso Freud teneva in alta considerazione (Jones, 1953, 416; Jones, 1955, 237, 251).
[50] “forze motrici”, “Triebfedern” nell’originale. Traeduco seguendo il Deutsche Wörterbuch dei fratelli Grimm (voce “Triebfeder”, punto 2).
[51] Malvine Nelken
(1873-1943) (Lualdi, 2015, 149 n. 187).
[52] Anche Jaap Bos, che traduce in inglese l’intero saggio in questione
(Stekel, 1926b), pare non cogliere l’errore di Stekel.
[53] De Mijolla (de Mjolla,
2002, 690) indica il 1904 come anno di nascita, ma benché ribadisca il dato due
volte in poche righe, si tratta molto probabilmente di un errore, considerando
che le altre fonti indicano regolarmente il 1903 (Mühlleitner, 1992, 119; Roudinesco,
Plon, 1997, 355; fonte 3; fonte 4).
[55] In realtà sul
frontespizio del volume è indicato l’anno 1898,
ma subito dopo,
per ben due volte viene riportato il 1896.
Ancora uno scavo, di nuovo un ritrovamento: nel fare questo hai operato come l'archeologo: mediante integrazioni e ricomposizioni del materiale preservato. E le scoperte sono sorprendenti. Grazie per le tue indagini, sempre preziose. Francesco Marchioro
RispondiEliminaGrazie Francesco, per la tua lettura e le considerazioni. La storia della psicoanalisi offre sempre nuovo materiale, spesso sorprendente.
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