Wilhelm Stekel: "Discussione sul fumare" (1903)

 

Rein Dool (1933-), "sigaarrokende oude mannen" (1978). Fonte 


 
Traduzione e cura: Michele M . Lualdi



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Discussione sul fumare

Wilhelm Stekel


Nota introduttiva

La Società psicologica del mercoledì, primo nucleo della Società psicoanalitica di Vienna, iniziò a incontrarsi a casa di Freud dalla fine del 1902 (Lualdi, 2020a). Conosciamo i contenuti di molti degli incontri grazie a Otto Rank, che ne redasse i verbali dal 10 ottobre del 1906 fino almeno al 12 maggio 1915. Si tratta dei noti e importanti quattro volumi dei Protokolle, di cui solo il primo è stato tradotto in italiano nel lontano 1973, per i tipi della Boringhieri (Nunberg, Federn, 1962) [1].

Non è però da credere che non sia rimasta traccia alcuna delle pionieristiche riunioni precedenti l’entrata in scena di Rank. Una in particolare è molto interessante e ci giunge dalla penna di Wilhelm Stekel, a fianco di Freud fin dal progetto originario della fondazione della Società psicologica del mercoledì; non è anzi da escludere che sia stato lui a suggerire a Freud l’idea di costituire un gruppo (Freud, 1914, 389; Jones, 1955, 24; Lualdi, 2015, 207).

Il 28 gennaio 1903, Stekel pubblicava sul “PragerTagblatt il seguente articolo, che propongo qui, seguito da alcune considerazioni.

 

Un piccolo studio accogliente di un illustre neurologo. Il padrone di casa siede allo scrittorio e fuma una piccola pipa inglese. Lo “s p i r i t o  i r r e q u i e t o” [2] si adagia su una morbida poltrona e fuma come il suo maestro, per quanto possibile con ancor più agio, una pipa inglese. Il “t a c i t u r n o”  maneggia con grande abilità ed eleganza una sottile sigaretta. Il “s o c i a l i s t a” tira tranquillamente da un Virginia, con una faccia molto seria.

Suonano.

Entra l’“i n d o l e n t e”. Il padrone di casa gli offre un sigaro.

L’i n d o l e n t e: “No grazie. Ora fumo molto poco. Mi sono convinto che riesco a pensare molto più liberamente quando non fumo. Fumare produce una certa sensazione di benessere. Stimola la nostra forza creativa. Ma ha un grande svantaggio. Ci sottrae, come l’alcol, la visione chiara, rovina il benefico influsso dell’autocritica.”

Il  m a e s t r o: “Capisco. Non vuole farsi rubare dal fumo nemmeno un atomo del Suo libero arbitrio.”

L’i n d o l e n t e: “È così. Ora lavoro con molta più chiarezza e sobrietà. Mi interesserebbe ciò che gli altri signori hanno da dire in proposito. Il declino delle scienze metafisiche, il ritrarsi della filosofia dalle altre scienze non potrebbero essere ricondotti al generale malcostume di fumare durante il lavoro intellettuale?”

L’ i r r e q u i e t o: “Questo non concorda con le mie esperienze. Se ci ripenso attentamente, la mia attività letteraria cade proprio ai tempi in cui iniziai a fumare.”

L’i n d o l e n t e: “Questo prova solo la mia supposizione che fumare indebolisca l’autocritica.”

Il  p a d r o n e   d i   c a s a: “Spiritoso – ma maligno”

L’ i r r e q u i e t o: “ – e sbagliato. Infatti io fumo solo dopo i pasti e mai durante il lavoro intellettuale. Da quando fumano gli europei? Fumare è divenuto uso generale solamente da due secoli circa. Fino al diciannovesimo secolo era vietato fumare per strada. [Ma] proprio gli ultimi secoli hanno generato tante invenzioni così determinanti, tanti prodotti intellettuali straordinari.”

Il  m a e s t r o (all’indolente): “Lei proprio misconosce l’essenza del creare. Io, quantomeno, lavoro sempre in due tappe. Il primo giorno elaboro i miei pensieri sotto l’effetto dell’entusiasmo. Qui è necessario che la fantasia collabori in maniera ordinata, se la cosa deve ricevere una spinta verso la grandezza. La critica mi giunge solo il secondo giorno. Con o senza fumo. Un piccolo nucleo di verità sembra esserci in queste dichiarazioni. Se devo leggere un libro avverso, per il quale prevedibilmente prenderò rabbia, non fumo mai. Leggo il tutto velocemente, con grande concitazione e - - - fumo solo dopo. Fumare provoca decisamente una piccola narcosi, una sensazione di benessere dei nervi.”

Il  t a c i t u r n o: “Il fumare delle donne, anche questo offrirebbe punti meritevoli di considerazione. Una parte fuma solo per desiderio di emancipazione. - -”

L’i n d o l e n t e: “In alcune donne si tratta di vie innocenti sulle quali si riversano impulsi [3] di perversione sessuale. - - - ”

L’ i r r e q u i e t o: “Fumano per provare piacere come l’uomo. Perché cercare peccati più profondi?”

Il  m a e s t r o: “Un’acuta ragazza che conosco fumava con passione. Parlando della cosa si difese con una simpatica poesia. Il suo senso, [detto] chiaro e tondo era: fumo così tanto perché vengo baciata così poco -”

L’ i r r e q u i e t o: “Questo può avere un doppio significato. Il piacere della nicotina sembra ridurre il nostro bisogno d’amore. Sono noti casi - - -”

Il  m a e s t r o: “So dove vuole andare a parare. Lo sappiamo tutti. Da qui la costante opposizione delle nostre mogli contro il fumo!”

L’i n d o l e n t e: “Delizioso! E i rimproveri che il fumo si attacca alle tende -”

Il  m a e s t r o: “- sono un pretesto!”

L’ i r r e q u i e t o: “Una tenda, che dovrebbe occultarci la reale connessione.” (Ridono tutti.)

Il  t a c i t u r n o: “È chiarissimo.”

L’ i r r e q u i e t o: “Non è chiaro nulla. Qualcosa ancora non torna. Conoscevo una ragazza, che amavo -”

L’i n d o l e n t e: “La numero?”

L’ i r r e q u i e t o: “Questione secondaria… che amavo. Quando la baciai mi disse: [‘]Tu non fumi? È strano. Non hai assolutamente l’odore di un uomo. Un uomo deve fumare[’]. Pronunciò questo ‘uomo’ con un tono molto solenne. Un uomo – sottolineato con formalità tre volte”

L’ i r r e q u i e t o: “Quanti anni aveva Lei al tempo?”

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Il  m a e s t r o: “Era solo il desiderio nascosto di vederLa come un uomo adulto.”

Il  s o c i a l i s t a: “Dopo il matrimonio avrebbe certo preteso da Lei esattamente l’opposto!”

Il  t a c i t u r n o: “Lo credo anch’io.”

L’ i r r e q u i e t o: “Questi sono motti di spirito, non è psicologia. In tutta serietà, credo che le signore sentirebbero malvolentieri la mancanza del sapore del tabacco nei nostri baci.”

L’i n d o l e n t e: “Come dei baffi, che pure durante il bacio dovrebbero essere fastidiosi.”

Il  s o c i a l i s t a: “Fumare ha dunque in molti casi rapporti stretti con la sessualità. In favore di ciò parla anche il fatto che le vecchie montanare [4] fumano spesso molto più accanitamente degli uomini. Hanno già rinunciato all’amore.”

L’i r r e q u i e t o: “Il maestro ha ragione. Fumare è una piccola narcosi. Come medici dobbiamo però ammettere che può diventare anche un pericoloso veleno.”

Il  m a e s t r o: “A grandi dosi può divenire pericoloso per l’essere umano. Ma fumare moderatamente quali danni dovrebbe poter provocare? Sono sempre molto diffidente quando sento che questo o quel malato è morto per il troppo fumare. Molto spesso vi sta dietro ben altro. Nella maggior parte dei casi certamente una combinazione con l’alcolismo, che sembra essere particolarmente nociva.”

L’ i r r e q u i e t o: “Io fumo davvero poco. Cinque sigari al giorno, sempre uno dopo ogni pasto. E al contempo ho la sensazione che potrei smettere qualsiasi giorno. Sì – dopo un sigaro particolarmente cattivo mi riprometto [sempre]: [‘] domani tu smetti[’]. E così mi inganno da anni con l’idea che sia davvero l’u l t i m a  v o l t a. La logora consolazione di tutti i peccatori! Grandi e piccoli.”

Il  m a e s t r o: “Lei non è un fumatore. Non lo può capire. Io non ho potuto fumare per due anni. È stato tremendo. Avevo la sensazione che mi fosse morto un buon amico e che dovessi commemorarlo in lutto da mattina a sera. Anche ora ho la stessa sensazione per la mia pipa. È il mio buon amico, il mio consigliere, il mio socio, il mio consolatore, il compagno di viaggio che mi abbrevia la lunghissima strada.”

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L’orologio batté la mezzanotte. interrompemmo la discussione.


Qualche considerazione

Le edizioni

Come detto nella nota introduttiva, il testo venne pubblicato il 28 gennaio 1903 sul quotidiano “Prager Tagblatt”, più precisamente alle pagine 1 e 2. Stekel ripubblicò lo stesso testo nel 1926, sul secondo volume della rivista da lui fondata “Fortschritte der Sexualwissenschaft und Psychoanalyse, all’interno di un più ampio scritto, “Zur Geschichte der analytischen Bewegung [Per la storia del movimento analitico]. Questo si poneva fin dal titolo come risposta al ben più noto “Per la storia del movimento psicoanalitico” di Freud, uscito una prima volta nel 1914 come articolo per lo “Jahrbuch der Psychoanalyse, ma edito nuovamente nel 1924 come volume singolo dall’Internationaler Psychoanalytischer Verlag. Nel saggio storico di Stekel del 1926, “Discussione sul fumare” occupa le pagine 543-5.

Ho basato la presente traduzione sulla versione del 1926. Rispetto alla precedente e originaria i cambiamenti sono davvero esigui: la grafia di alcune parole, che si adegua ai mutamenti nelle convenzioni ortografiche intervenuti nel frattempo, le lunghe linee orizzontali tratteggiate, di cui mi sfugge il senso e l’ultima frase (“L’orologio batté la mezzanotte. interrompemmo la discussione”), assente nella prima edizione.

Nel 2007 il testo ha visto una traduzione inglese ad opera di Jaap Bos (Bos, 2007), mentre una seconda, parziale, è stata proposta tre anni più tardi da FrancisClark-Lowes (Clark-Lowes, 2010, 219, nn. 19 e 20).

 

 L’evento e il luogo

 Il breve articolo ci consente di immergerci nell’atmosfera d’esordio della Società psicologica del mercoledì. Certamente ci troviamo di fronte a un resoconto assai diverso da quelli più neutri e rigorosi cui ci ha abituati la lettura dei verbali di Rank. Se qui la narrazione risulta un poco romanzata, non è solo perché – va detto – Stekel non sempre è autore completamente affidabile, ma anche perché si tratta pur sempre di un articolo per un quotidiano, pensato dunque non per un uso interno alla neonata Società né per un pubblico di addetti ai lavori, ma più semplicemente per il lettore curioso: così viene abbozzata l’ambientazione, vengono descritti alcuni atteggiamenti dei convenuti e qualche scambio di battute informali. I protagonisti sono resi irriconoscibili dall’uso di soprannomi, che è lo stesso Stekel a sciogliere nel suo saggio storico del 1926, subito dopo avere riportato il testo dell’articolo: naturalmente il padrone di casa/maestro è Freud, il taciturno è Rudolf Reitler (1865-1917), il socialista è Alfred Adler (1870-1937), l’indolente è Max Kahane (1866-1923) e infine l’irrequieto è Stekel stesso.

Siamo dunque in presenza del primissimo nucleo del movimento psicoanalitico, esattamente coloro che ricevettero direttamente da Freud l’invito a partecipare alle riunioni serali. Come ho ricostruito in altra occasione (Lualdi, 2020a), nonostante la storia ufficiale voglia che Freud invitò i quattro colleghi inviando loro un biglietto, l’unico rimasto è quello ad Adler, datato 2 novembre 1902 e dal suo contenuto si deduce soltanto che gli altri tre medici fossero in quel momento già stati contattati e che si fossero dimostrati disponibili. A mio parere la cosa più probabile è che con essi Freud si fosse accordato di persona: con Stekel già si incontrava e Kahane seguiva le sue lezioni all’università di Vienna [5].

La ristretta cerchia degli intervenuti, nonché la data dell’articolo, fanno ben comprendere che quello immortalato da Stekel è uno dei primissimi incontri. Stando a quanto da lui dichiarato nell’autobiografia, si tratterebbe addirittura del primo in assoluto (Lualdi, 2015, 208), ma nel saggio storico del 1926 non è così preciso. Consideriamo che gli incontri della Società psicologica del mercoledì ebbero inizio con ogni probabilità già nel novembre 1902, ossia una volta ricevuta la risposta di Adler all’invito – che certo non si sarà fatta attendere a lungo – e comunque entro la fine dell’anno (Freud, 1914, 398). Ora, l’articolo in questione uscì il 28 gennaio 1903 e Stekel dichiara di averlo scritto la mattina successiva all’incontro da Freud (Stekel, 1926, 543): mi pare dunque più probabile che non si tratti del primissimo incontro del gruppo, anche tenuto conto di eventuali ritardi tra la consegna dell’articolo al “Prager Tagblatt” e la sua pubblicazione che, ricordiamo, era quotidiana. Anche Clark-Lowes, pur senza argomentare, descrive il testo come “un resoconto romanzato di uno dei primi incontri della società” (Clark-Lowes, 2010, 307; corsivo mio). Si potrebbe azzardare anche qualcosa di più. Il 28 gennaio 1903 era un mercoledì e dando fiducia a Stekel, l’articolo fu scritto di giovedì mattina, dunque il 22, il 15 o al più l’8 gennaio: questo significherebbe che la discussione sul fumo avvenne probabilmente il 7, il 14 o il 21 gennaio. Personalmente propendo per quest’utlima data: Stekel era nome noto nel mondo giornalistico e, con tutti i quotidiani presenti a Vienna, un’attesa di una settimana per la pubblicazione del suo articolo mi pare un tempo più che verosimile, anche se riconosco trattarsi di un’ipotesi poco fondata.

 

Questione di metodo

Nella sua sintesi, il resoconto di Stekel cattura un’affermazione di Freud sul proprio metodo di ricerca davvero interessante:

…lavoro sempre in due tappe. Il primo giorno elaboro i miei pensieri sotto l’effetto dell’entusiasmo. Lì è necessario che la fantasia collabori in maniera ordinata, se la cosa deve ricevere una spinta verso la grandezza. La critica mi giunge solo il secondo giorno.

Il contributo della fantasia (“Phantasie” nell’originale) è per Freud irrinuciabile; e altrettanto irrnunciabile è che essa sia in qualche modo controllata: non a caso Freud parla qui di una collaborazione “ordinata” (“ordentlich” nell’originale). L’avverbio è qui irrinunciabile e a mio parere è con leggerezza che viene tralasciato da entrambe le traduzioni inglesi [6]. Subito dopo Freud spiega il motivo del ricorso alla fantasia: serve a dare alla “cosa” che si va elaborando una “spinta verso la grandezza” (“ein Zug ins Ggoße erhalten”). Le due versioni inglesi ricorrono qui alla traduzione libera, certamente giustificata da un desiderio di ottenere una prosa più fluida, ma a mio parere mancando l’aspetto dirimente. Così Bos: “to arrive at a general otuline”; mentre Clark-Lowes: “to turn out something significant”. Qui non si tratta di arrivare a un quadro generale o di produrre qualcosa di significativo, bensì, proprio grazie alla fantasia, di riuscire a “pensare in grande”, di uscire dagli schemi ed essere creativi. Certo deve trattarsi di una fantasia comunque disciplinata e composta, ma la visione d’insieme, la produzione di qualcosa di davvero significativo sono passaggi rimandati al secondo giorno, quello in cui la critica fa il suo ingresso sulla scena. Va da sé che, leggendo i testi di Freud regolarmente pubblicati, si coglie (quasi) esclusivamente questo secondo aspetto: tali lavori sono infatti stati passati al vaglio della critica e non resta dunque traccia di quegli slanci della fantasia dimostratisi deboli a questo esame, dunque non significativi o inadatti a contribuire a una visione d’insieme. D’altra parte, di bozze manoscritte dei lavori pubblicati, che potrebbero essere utili per indagare la differenza tra il prima e il dopo (potremmo dire: tra il primo e il secondo giorno), non se ne sono conservate molte. Un posto speciale merita dunque l’olografo dell’inedito “Introduzione critica alla neuropatologia” (Freud, 1887). Da un lato esso è infatti frutto (incompiuto) della formazione neurologica acquisita da Freud durante gli anni dell’università e della successiva ricerca con i suoi maestri, il fisiologo Ernst Wilhelm Brücke (1819-1892) e lo psichiatra e neuroanatomista Theodor Meynert (1833-1892). Dovrebbe dunque rispecchiare il rigore di metodo (tanto di indagine quanto di analisi dei dati) in cui la Scuola di medicina di Vienna eccelleva (Lualdi, 2020b, 57; Lualdi, 2020c, 47 n. 65). Dall’altro però, proprio un suo esponente di spicco come Meynert, fine ricercatore, era giunto ad ardite speculazioni sul funzionamento cerebrale, che si erano via via distaccate dai dati sperimentali fino a esitare in quella che venne definita una vera e propria “mitologia del cervello”: qui la fantasia collaborava fin troppo, non certo in modo “ordinato”. Anche la precoce introduzione alla neuropatologia di Freud, nel suo slancio “verso la grandezza”, non sfugge del tutto a questa deriva e il suo stesso autore la definisce “speculativa” (Lualdi, 2020b, 26, 74). Non a caso non né completata né pubblicata: evidentemente non superò il “secondo giorno”…

La questione del contributo della fantasia al lavoro di ricerca e di interpretazione dei dati, contributo pericoloso perché, come insegna l’esempio Maynert e come sperimenta su se stesso un giovane Freud alle prese con la neuropatologia, occorre saperlo gestire e dosare [7], non è però importante solo perché trova un inatteso fondamento nelle prime basi della formazione scientifica di Freud (Lualdi, 2018, 5), ma anche perché tocca un punto di metodo su cui quest’ultimo si era già prima soffermato e che in qualità di psicoanalista non smetterà di ribadire, in una forma o in un'altra.

Quanto al pregresso, scriveva il 25 maggio 1895 all’amico berlinese Wilhelm Fließ (1858-1928):

Nelle ultime settimane ho dedicato ogni minuto libero a questo lavoro; ho impiegato le ore notturne, dalle undici alle due, intento a fantasticare, interpretare, congetturare…” (Freud, 1985a, 155).

Detto per inciso, Freud si sta qui riferendo a “Progetto di una psicologia”: da un lato si tratta di una prosecuzione dell’abbozzo “Introduzione critica alla neuropatologia” e, viziato come e forse più del primo da un “eccesso di fantasia” che lo fa sconfinare nella mitologia cerebrale, resta (forse per questo?) anch’esso inedito (Ellenberger, 1970, 549-50, 612, 622; Lualdi, 2020b, 87); dall’altro resta un testo fondamentale in quanto punto di raccordo tra studi neurologici e studi psicologici e psicoanalitici di Freud.

Ma la cosa qui più importante è che se si confronta il passaggio sopra riportato nella classica traduzione di Boringhieri con l’originale si trova anzitutto la conferma che quel “fantasticare” altro non è che il tedesco “Phantasieren” (Freud, 1985b, 130) evidentemente imparentato con il “Phantasie” nell’articolo di Stekel. E come coglie e commenta Luchetti, il verbo “Phantasieren…. ben presto occuperà nella teorizzazione freudiana e poi in psicoanalisi una posizione cruciale e peculiare…” (Luchetti, 2002, 43).

E non è tutto: il raffronto tra originale e traduzione rivela che il terzo verbo impiegato da Freud nella serie, “congetturare”, è in realtà qalcosa di ben diverso: “erraten” che significa letteralmente “indovinare”. Ci si avvicina con ciò a un nodo molto complesso, in cui il problema del metodo della conoscenza si intreccia a quello traduttivo. Quanto a questo secondo aspetto, mi basti segnalare che nella Standard Edition “erraten” non viene mai tradotto con il corrispettivo inglese “to guess” a tutto vantaggio di termini più confacenti alle scienze esatte quali “be detected”, “to make out”. La spinosa questione era appunto, al tempo della traduzione inglese e attraverso essa, agevolare la diffusione di un’immagine della psicoanalisi come disciplina in perfetta sintonia con il procedere considerato scientifico… a discapito della parola di Freud, cui invece Stekel ridona trasparenza e immediatezza [8].

 

Questione storica

Il fumo e il fumare sono i grandi protagonisti della discussione di cui Stekel ci offre il resoconto, ma prima ancora lo sono dei cinque personaggi e dell’ambiente. Vengono qui in mente le parole del figlio di Freud, Martin:

Sapevamo delle ‘riunioni del mercoledì sera’, che avvenivano nella sala d’attesa dello studio di papà… Una incontenibile curiosità, tipica di tutti giovani credo, mi portava a prestare attenzione ai preparativi della sala d’attesa, che avvenivano prima che giungessero gli ospiti. Sul tavolo, davanti ad ogni sedia, c’era un portacenere preso dalla collezione di mio padre, alcuni in giada cinese. Capii la necessità di tutti questi portacenere una notte, quando rientrando da un ballo gettai un’occhiata nella sala d’attesa che gli ospiti avevano da poco abbandonato. Era ancora impregnata di un denso fumo e mi sembrava un vero miracolo che delle persone avessero potuto stare lì sedute per ore a parlare senza soffocare. Non riuscivo a capire come facesse papà a sopportarlo; gli piaceva anzi questo fumo” (Freud M., 1957, 107).

Da questo punto di vista, certamente più storico-biografico che psicoanalitico, scopriamo anzitutto che in quel periodo Freud non fumava i sigari (trabucco) cui è classicamente associata la sua immagine, ma una piccola pipa inglese.

L’acme “biografico” della discussione si raggiunge però con le battute finali, in cui Freud viene punto sul vivo (profeticamente, si sarebbe tentati di dire) proprio da Stekel:

Come medici dobbiamo però ammettere che [il fumo] può diventare anche un pericoloso veleno”.

Dapprima il maestro si limita a esprimere i dubbi sulla pericolosità di un fumare moderato:

A grandi dosi può divenire pericoloso per l’essere umano. Ma fumare moderatamente quali danni dovrebbe poter provocare? Sono sempre molto diffidente quando sento che questo o quel malato è morto per il troppo fumare…

Ora, considerato che Freud fumava circa venti sigari al giorno (Jones, 1953, 373) e che subito dopo Stekel afferma che fumarne cinque sia davvero “molto poco” (al punto che Freud ribatte: “Lei non è un fumatore”), non può non sorgere in noi una prima perplessità su cosa fosse a inizio XX secolo un fumare moderato, quantomeno a Vienna…

Ma l’intervento di Stekel ci interessa qui maggiormente perché si pone di fatto come risposta alla domanda di Freud: “fumare moderatamente quali danni dovrebbe poter provocare?”. Crea dipendenza, afferma l’irrequieto.

A questo punto, da un lato Freud lo accusa di non poter capire e in qualche modo lo squalifica in quando non fumatore. Tuttavia è al tempo stesso costretto a dargli ragione, rievocando il proprio fallito tentativo di smettere di fumare, tra la fine del 1893 e il novembre 1895, durante il quale, con sforzi dai risultati altalenanti, riuscì a mantenere un’astinenza completa e tormentata per 14 mesi. Di tale impresa, conclusasi con una sconfitta irrimediabilmente nefasta, possiamo trovate vivida testimonianza nelle lettere a Fließ (Freud, 1985a, 82-171), e un resoconto tanto nel primo volume delle biografia di Jones (Jones, 1953, 373-5) quanto in una successiva e altrettanto fondamentale biografia, quella dell’ultimo medico personale di Freud, Max Schur (1897-1969) (Schur, 1972, 38-60).

Le parole di Freud riportate da Stekel ci restituiscono in maniera immediata l’intimo, totalizzante e idealizzato rapporto di Freud con il fumo:

È il mio buon amico, il mio consigliere, il mio socio, il mio consolatore, il compagno di viaggio che mi abbrevia la lunghissima strada.

  

Bibliografia

Bion W. R., Seminari italiani, Borla, Roma, 1983.

Bion W. R. (1997), Addomesticare i pensieri selvatici, Milano, FrancoAngeli, 1998.

Bion W. R. (2005), Seminari Tavistock, Roma, Borla, 2007.

Bos J. (edited by), Stekel’s On the history of the analytical movement. In Bos J., Groenendijk L., The Self-Marginalization of Wilhelm Stekel. Freudian Circles Inside and Out, Springer, NY, 2007, 131-62.

Clark-Lowes F., Freud’s Apostle. Wilhelm Stekel and the Early History of Psychoanalysis, Authors OnLine, Bedfordshire, 2010.

Ellenberger H. (1970), La scoperta dell’inconscio, 2 voll., Bollati Boringhieri, Torino, 1976.

Freud M. (1957), Mio padre Sigmund Freud, Il Sommolago, Arco (Trento), 2001.

Freud S. (1887), Introduzione critica alla neuropatologia, Youcanprint, Tricase, 2020.

Freud S. (1914), Per la storia del movimento psicoanalitico. In OSF, VII, Bollati Boringhieri, Torino, 375-438.

Freud S. (1985a), Lettere a Wilhelm Fliess. 1887-1904, Bollati Boringhieri, Torino, 1990.

Freud S. (1985b), Briefe an Wilhelm Fließ. 1887-1904. Ungekürzte Ausgabe, Fischer Verlag, Frankfurt a. M., 1985.

Freud S., Jensen W., “Non è vana curiosità”. Carteggio Freud-Jensen 1907, Youcanprint, Tricase, 2019.

Jones E. (1953), Vita e opere di Freud. I. Gli anni della formazione e le grandi scoperte (1856-1900), Il Saggiatore, Milano, 1962.

Jones E. (1955), Vita e opere di Freud, vol. II, Il Saggiatore, Milano, 1962.

Lualdi M. M., Passando da Stekel. Edizione critica dell’Autobiografia di Wilhelm Stekel, Youcanprint, Tricase, 2015.

Lualdi M. M., Introduzione. In Freud S., Scritti. 1887, Youcanprint, Tricase, 2018, 5-77.

Lualdi M. M. (2020a), Freud ad Adler: una traccia superstite dell’origine del movimento psicoanalitico.

Lualdi M. M. (2020b), Sigmund Freud. Figlio della neurologia, padre della psicoanalisi. In Freud S. (1887), Introduzione critica alla neuropatologia, Youcanprint, Tricase, 2020, 5-96.

Lualdi M. M. (2020c), 1897. La strozzatura. In Freud S. (1897b), La paralisi cerebrale infantile, Youcanprint, Tricase, 2020, 7-74.

Luchetti A., “Fantasticare, tradurre, indovinare”. Su evoluzione e rivoluzione della metapsicologia. In Rivista di psicoanalisi, 2002 (XLVIII), 41-68.

Mühlleitner E., Biographisches Lexikon der Psychoanalyse, Edition Diskord, Tübingen, 1992.

Nunberg H., Federn E. (a cura di) (1962), Dibattiti della Società Psicoanalitica di Vienna, 1906-1908, Bollati Boringhieri, Torino, 1973.

Nunberg H., Federn E (herausgegeben von), Protokolle der Wiener Psychoanalytischen Vereinigung. Band IV 1912-1918, Fischer Verlag, Frankfurt a. M., 1975.

Stekel W., Zur Geschichte der analytischen Bewegung. In Fortschritte der Sexualwissenschaft und Psychanalyse, 1926 (II), 539-575.

 



[1] In realtà, il quarto volume contiene altri 27 rapporti dopo il 250° del 12 maggio 1915, che si estendono fino al 19 novembre 1918. Essi sono però di differenti autori (Nunberg, Federn, 1975, 285). Per inciso, detto volume riporta anche gli “Addenda” ed “Errata” per i tre precedenti (Nunberg, Federn, 1975, 355-6) Purtroppo l’edizione italiana del primo volume non poté tener conto perché all’epoca era già uscita (1973).

[2] Qui e nel prosieguo, i caratteri  d i s t a n z i a t i  sono dell’autore.

[3] “Impulse”, nell’originale. Non solo il concetto, ma il termine stesso di “pulsione” (“Trieb”) era ancora di là da venire.

[4] Letteralmente “malgare in montagna” (“Sennerinnen im Gebrige”).

[5] Quanto infine a Reitler la situazione appare meno lineare: Freud lo conosceva fin dai primi anni ’70 e lo cita infatti in alcune lettere a Silberstein (Freud 1989, 56, 59, 67; si veda anche Mühlleitner, 1992, 266) e questo farebbe pensare a una consolidata amicizia che poteva consentire e prevedere incontri personali. D’altra parte, l’unica sua lettera a Freud conservatasi presso i Freud Archives della Library of Congress di Washington (D. C.) è scritta non con l’amichevole “tu” (“Du”) come avveniva per esempio tra Freud e Fließ, ma con la formale terza persona (“Sie”) aprendosi per giunta con uno “Stimatissimo professore” che fa pensare a tutto fuorché a un’amicizia di lunga data. Che nel frattempo i rapporti tra i due si fossero a tal punto raffreddati?

[6] Bos: “fantasy is required” (Bos, 2007, 135); Clark-Lowes: “Fantasy has to come to my aid” (Clark-Lowes, 2010, 219, n. 20).

[7] Come non ricordare l’invito di Bion ad approcciare i “pensieri selvaggi”? Si vedano ad esempio Bion, 1983, 21, 61; Bion, 1997; Bion, 2005, 62.

[8] Sul tema molto è stato scritto e mi permetto di rimandare a Freud, Jensen, 2019, 21 n. 25 per una ricostruzione più articolata con indicazione della bibliografia essenziale.


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