Wilhelm Stekel: "Discussione sul fumare" (1903)
Rein Dool (1933-), "sigaarrokende oude mannen" (1978). Fonte |
Discussione sul fumare
Wilhelm Stekel
Nota
introduttiva
La Società psicologica del mercoledì, primo nucleo della Società psicoanalitica di Vienna, iniziò a incontrarsi a casa di Freud dalla fine del 1902 (Lualdi, 2020a). Conosciamo i contenuti di molti degli incontri grazie a Otto Rank, che ne redasse i verbali dal 10 ottobre del 1906 fino almeno al 12 maggio 1915. Si tratta dei noti e importanti quattro volumi dei Protokolle, di cui solo il primo è stato tradotto in italiano nel lontano 1973, per i tipi della Boringhieri (Nunberg, Federn, 1962) [1].
Non
è però da credere che non sia rimasta traccia alcuna delle pionieristiche
riunioni precedenti l’entrata in scena di Rank. Una in particolare è molto
interessante e ci giunge dalla penna di Wilhelm Stekel, a fianco di Freud fin
dal progetto originario della fondazione della Società psicologica del
mercoledì; non è anzi da escludere che sia stato lui a suggerire a Freud l’idea
di costituire un gruppo (Freud, 1914, 389; Jones, 1955, 24; Lualdi, 2015, 207).
Il 28 gennaio 1903, Stekel pubblicava sul “PragerTagblatt” il seguente articolo, che propongo qui, seguito da alcune considerazioni.
Un
piccolo studio accogliente di un illustre neurologo. Il padrone di casa siede
allo scrittorio e fuma una piccola pipa inglese. Lo “s p i r i t o i r r e q u i e t o” [2]
si adagia su una morbida poltrona e fuma come il suo maestro, per quanto possibile
con ancor più agio, una pipa inglese. Il “t a c i t u r n o” maneggia con grande
abilità ed eleganza una sottile sigaretta. Il “s o c i a l i s t a” tira
tranquillamente da un Virginia, con una faccia molto seria.
Suonano.
Entra
l’“i n d o l e n t e”. Il padrone di casa gli offre un sigaro.
L’i
n d o l e n t e: “No grazie. Ora fumo molto poco. Mi sono convinto che riesco a
pensare molto più liberamente quando non fumo. Fumare produce una certa sensazione
di benessere. Stimola la nostra forza creativa. Ma ha un grande svantaggio. Ci
sottrae, come l’alcol, la visione chiara, rovina il benefico influsso dell’autocritica.”
Il m a e s t r o: “Capisco. Non vuole farsi
rubare dal fumo nemmeno un atomo del Suo libero arbitrio.”
L’i
n d o l e n t e: “È così. Ora lavoro con molta più chiarezza e sobrietà. Mi
interesserebbe ciò che gli altri signori hanno da dire in proposito. Il declino
delle scienze metafisiche, il ritrarsi della filosofia dalle altre scienze non
potrebbero essere ricondotti al generale malcostume di fumare durante il lavoro
intellettuale?”
L’
i r r e q u i e t o: “Questo non concorda con le mie esperienze. Se ci ripenso
attentamente, la mia attività letteraria cade proprio ai tempi in cui iniziai a
fumare.”
L’i
n d o l e n t e: “Questo prova solo la mia supposizione che fumare indebolisca
l’autocritica.”
Il p a d r o n e d i
c a s a: “Spiritoso – ma maligno”
L’
i r r e q u i e t o: “ – e sbagliato. Infatti io fumo solo dopo i pasti e mai
durante il lavoro intellettuale. Da quando fumano gli europei? Fumare è
divenuto uso generale solamente da due secoli circa. Fino al diciannovesimo
secolo era vietato fumare per strada. [Ma] proprio gli ultimi secoli hanno
generato tante invenzioni così determinanti, tanti prodotti intellettuali straordinari.”
Il m a e s t r o (all’indolente): “Lei proprio misconosce
l’essenza del creare. Io, quantomeno, lavoro sempre in due tappe. Il primo
giorno elaboro i miei pensieri sotto l’effetto dell’entusiasmo. Qui è
necessario che la fantasia collabori in maniera ordinata, se la cosa deve
ricevere una spinta verso la grandezza. La critica mi giunge solo il secondo
giorno. Con o senza fumo. Un piccolo nucleo di verità sembra esserci in queste
dichiarazioni. Se devo leggere un libro avverso, per il quale prevedibilmente prenderò
rabbia, non fumo mai. Leggo il tutto velocemente, con grande concitazione e - -
- fumo solo dopo. Fumare provoca decisamente una piccola narcosi, una sensazione
di benessere dei nervi.”
Il t a c i t u r n o: “Il fumare delle donne,
anche questo offrirebbe punti meritevoli di considerazione. Una parte fuma solo
per desiderio di emancipazione. - -”
L’i
n d o l e n t e: “In alcune donne si tratta di vie innocenti sulle quali si
riversano impulsi [3] di
perversione sessuale. - - - ”
L’
i r r e q u i e t o: “Fumano per provare piacere come l’uomo. Perché cercare peccati
più profondi?”
Il m a e s t r o: “Un’acuta ragazza che conosco
fumava con passione. Parlando della cosa si difese con una simpatica poesia. Il
suo senso, [detto] chiaro e tondo era: fumo così tanto perché vengo baciata
così poco -”
L’
i r r e q u i e t o: “Questo può avere un doppio significato. Il piacere della
nicotina sembra ridurre il nostro bisogno d’amore. Sono noti casi - - -”
Il m a e s t r o: “So dove vuole andare a parare.
Lo sappiamo tutti. Da qui la costante opposizione delle nostre mogli contro il
fumo!”
L’i
n d o l e n t e: “Delizioso! E i rimproveri che il fumo si attacca alle tende -”
Il m a e s t r o: “- sono un pretesto!”
L’
i r r e q u i e t o: “Una tenda, che dovrebbe occultarci la reale connessione.”
(Ridono tutti.)
Il t a c i t u r n o: “È chiarissimo.”
L’
i r r e q u i e t o: “Non è chiaro nulla. Qualcosa ancora non torna. Conoscevo
una ragazza, che amavo -”
L’i
n d o l e n t e: “La numero?”
L’
i r r e q u i e t o: “Questione secondaria… che amavo. Quando la baciai mi
disse: [‘]Tu non fumi? È strano. Non hai assolutamente l’odore di un uomo. Un
uomo deve fumare[’]. Pronunciò questo ‘uomo’ con un tono molto solenne. Un uomo
– sottolineato con formalità tre volte”
L’
i r r e q u i e t o: “Quanti anni aveva Lei al tempo?”
_
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Il
m a e s t r o: “Era solo il desiderio
nascosto di vederLa come un uomo adulto.”
Il s o c i a l i s t a: “Dopo il matrimonio
avrebbe certo preteso da Lei esattamente l’opposto!”
Il t a c i t u r n o: “Lo credo anch’io.”
L’
i r r e q u i e t o: “Questi sono motti di spirito, non è psicologia. In tutta
serietà, credo che le signore sentirebbero malvolentieri la mancanza del sapore
del tabacco nei nostri baci.”
L’i
n d o l e n t e: “Come dei baffi, che pure durante il bacio dovrebbero essere
fastidiosi.”
Il s o c i a l i s t a: “Fumare ha dunque in
molti casi rapporti stretti con la sessualità. In favore di ciò parla anche il
fatto che le vecchie montanare [4]
fumano spesso molto più accanitamente degli uomini. Hanno già rinunciato
all’amore.”
L’i
r r e q u i e t o: “Il maestro ha ragione. Fumare è una piccola narcosi. Come
medici dobbiamo però ammettere che può diventare anche un pericoloso veleno.”
Il
m a e s t r o: “A grandi dosi può
divenire pericoloso per l’essere umano. Ma fumare moderatamente quali danni
dovrebbe poter provocare? Sono sempre molto diffidente quando sento che questo
o quel malato è morto per il troppo fumare. Molto spesso vi sta dietro ben
altro. Nella maggior parte dei casi certamente una combinazione con l’alcolismo,
che sembra essere particolarmente nociva.”
L’
i r r e q u i e t o: “Io fumo davvero poco. Cinque sigari al giorno, sempre uno
dopo ogni pasto. E al contempo ho la sensazione che potrei smettere qualsiasi giorno.
Sì – dopo un sigaro particolarmente cattivo mi riprometto [sempre]: [‘] domani
tu smetti[’]. E così mi inganno da anni con l’idea che sia davvero l’u l t i m a v o l t a. La logora consolazione
di tutti i peccatori! Grandi e piccoli.”
Il m a e s t r o: “Lei non è un fumatore. Non lo
può capire. Io non ho potuto fumare per due anni. È stato tremendo. Avevo la
sensazione che mi fosse morto un buon amico e che dovessi commemorarlo in lutto
da mattina a sera. Anche ora ho la stessa sensazione per la mia pipa. È il mio
buon amico, il mio consigliere, il mio socio, il mio consolatore, il compagno
di viaggio che mi abbrevia la lunghissima strada.”
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L’orologio
batté la mezzanotte. interrompemmo la discussione.
Qualche considerazione
Le edizioni
Come detto nella nota introduttiva, il testo venne pubblicato il 28 gennaio 1903 sul quotidiano “Prager Tagblatt”, più precisamente alle pagine 1 e 2. Stekel ripubblicò lo stesso testo nel 1926, sul secondo volume della rivista da lui fondata “Fortschritte der Sexualwissenschaft und Psychoanalyse”, all’interno di un più ampio scritto, “Zur Geschichte der analytischen Bewegung” [Per la storia del movimento analitico]. Questo si poneva fin dal titolo come risposta al ben più noto “Per la storia del movimento psicoanalitico” di Freud, uscito una prima volta nel 1914 come articolo per lo “Jahrbuch der Psychoanalyse”, ma edito nuovamente nel 1924 come volume singolo dall’Internationaler Psychoanalytischer Verlag. Nel saggio storico di Stekel del 1926, “Discussione sul fumare” occupa le pagine 543-5.
Ho basato la presente
traduzione sulla versione del 1926. Rispetto alla precedente e originaria i
cambiamenti sono davvero esigui: la grafia di alcune parole, che si adegua ai mutamenti
nelle convenzioni ortografiche intervenuti nel frattempo, le lunghe linee
orizzontali tratteggiate, di cui mi sfugge il senso e l’ultima frase (“L’orologio
batté la mezzanotte. interrompemmo la discussione”), assente nella prima
edizione.
Nel 2007 il testo
ha visto una traduzione inglese ad opera di Jaap Bos (Bos,
2007), mentre una seconda, parziale, è stata proposta tre anni più tardi da FrancisClark-Lowes (Clark-Lowes, 2010, 219, nn. 19 e 20).
Siamo dunque in
presenza del primissimo nucleo del movimento psicoanalitico, esattamente coloro
che ricevettero direttamente da Freud l’invito a partecipare alle riunioni
serali. Come ho ricostruito in altra occasione (Lualdi, 2020a), nonostante la
storia ufficiale voglia che Freud invitò i quattro colleghi inviando loro un
biglietto, l’unico rimasto è quello ad Adler, datato 2 novembre 1902 e dal suo
contenuto si deduce soltanto che gli altri tre medici fossero in quel momento
già stati contattati e che si fossero dimostrati disponibili. A mio parere la
cosa più probabile è che con essi Freud si fosse accordato di persona: con Stekel
già si incontrava e Kahane seguiva le sue lezioni all’università di Vienna [5].
La ristretta
cerchia degli intervenuti, nonché la data dell’articolo, fanno ben comprendere
che quello immortalato da Stekel è uno dei primissimi incontri. Stando a quanto
da lui dichiarato nell’autobiografia, si tratterebbe addirittura del primo in
assoluto (Lualdi, 2015, 208), ma nel saggio storico del 1926 non è così
preciso. Consideriamo che gli incontri della Società psicologica del mercoledì
ebbero inizio con ogni probabilità già nel novembre 1902, ossia una volta
ricevuta la risposta di Adler all’invito – che certo non si sarà fatta attendere
a lungo – e comunque entro la fine dell’anno (Freud, 1914, 398). Ora, l’articolo
in questione uscì il 28 gennaio 1903 e Stekel dichiara di averlo scritto la
mattina successiva all’incontro da Freud (Stekel, 1926, 543): mi pare dunque più
probabile che non si tratti del primissimo incontro del gruppo, anche tenuto
conto di eventuali ritardi tra la consegna dell’articolo al “Prager Tagblatt” e
la sua pubblicazione che, ricordiamo, era quotidiana. Anche
Clark-Lowes, pur senza argomentare, descrive il testo come “un resoconto
romanzato di uno dei primi incontri della società” (Clark-Lowes, 2010,
307; corsivo mio). Si potrebbe azzardare anche qualcosa di più. Il 28 gennaio 1903
era un mercoledì e dando fiducia a Stekel, l’articolo fu scritto di giovedì
mattina, dunque il 22, il 15 o al più l’8 gennaio: questo significherebbe che
la discussione sul fumo avvenne probabilmente il 7, il 14 o il 21 gennaio. Personalmente
propendo per quest’utlima data: Stekel era nome noto nel mondo giornalistico e,
con tutti i quotidiani presenti a Vienna, un’attesa di una settimana per la
pubblicazione del suo articolo mi pare un tempo più che verosimile, anche se riconosco
trattarsi di un’ipotesi poco fondata.
Questione di
metodo
Nella sua sintesi, il resoconto di Stekel cattura un’affermazione di Freud sul proprio metodo di ricerca davvero interessante:
“…lavoro sempre in due tappe. Il primo giorno elaboro i miei pensieri sotto l’effetto dell’entusiasmo. Lì è necessario che la fantasia collabori in maniera ordinata, se la cosa deve ricevere una spinta verso la grandezza. La critica mi giunge solo il secondo giorno.”
Il contributo della fantasia (“Phantasie” nell’originale) è per Freud irrinuciabile; e altrettanto irrnunciabile è che essa sia in qualche modo controllata: non a caso Freud parla qui di una collaborazione “ordinata” (“ordentlich” nell’originale). L’avverbio è qui irrinunciabile e a mio parere è con leggerezza che viene tralasciato da entrambe le traduzioni inglesi [6]. Subito dopo Freud spiega il motivo del ricorso alla fantasia: serve a dare alla “cosa” che si va elaborando una “spinta verso la grandezza” (“ein Zug ins Ggoße erhalten”). Le due versioni inglesi ricorrono qui alla traduzione libera, certamente giustificata da un desiderio di ottenere una prosa più fluida, ma a mio parere mancando l’aspetto dirimente. Così Bos: “to arrive at a general otuline”; mentre Clark-Lowes: “to turn out something significant”. Qui non si tratta di arrivare a un quadro generale o di produrre qualcosa di significativo, bensì, proprio grazie alla fantasia, di riuscire a “pensare in grande”, di uscire dagli schemi ed essere creativi. Certo deve trattarsi di una fantasia comunque disciplinata e composta, ma la visione d’insieme, la produzione di qualcosa di davvero significativo sono passaggi rimandati al secondo giorno, quello in cui la critica fa il suo ingresso sulla scena. Va da sé che, leggendo i testi di Freud regolarmente pubblicati, si coglie (quasi) esclusivamente questo secondo aspetto: tali lavori sono infatti stati passati al vaglio della critica e non resta dunque traccia di quegli slanci della fantasia dimostratisi deboli a questo esame, dunque non significativi o inadatti a contribuire a una visione d’insieme. D’altra parte, di bozze manoscritte dei lavori pubblicati, che potrebbero essere utili per indagare la differenza tra il prima e il dopo (potremmo dire: tra il primo e il secondo giorno), non se ne sono conservate molte. Un posto speciale merita dunque l’olografo dell’inedito “Introduzione critica alla neuropatologia” (Freud, 1887). Da un lato esso è infatti frutto (incompiuto) della formazione neurologica acquisita da Freud durante gli anni dell’università e della successiva ricerca con i suoi maestri, il fisiologo Ernst Wilhelm Brücke (1819-1892) e lo psichiatra e neuroanatomista Theodor Meynert (1833-1892). Dovrebbe dunque rispecchiare il rigore di metodo (tanto di indagine quanto di analisi dei dati) in cui la Scuola di medicina di Vienna eccelleva (Lualdi, 2020b, 57; Lualdi, 2020c, 47 n. 65). Dall’altro però, proprio un suo esponente di spicco come Meynert, fine ricercatore, era giunto ad ardite speculazioni sul funzionamento cerebrale, che si erano via via distaccate dai dati sperimentali fino a esitare in quella che venne definita una vera e propria “mitologia del cervello”: qui la fantasia collaborava fin troppo, non certo in modo “ordinato”. Anche la precoce introduzione alla neuropatologia di Freud, nel suo slancio “verso la grandezza”, non sfugge del tutto a questa deriva e il suo stesso autore la definisce “speculativa” (Lualdi, 2020b, 26, 74). Non a caso non né completata né pubblicata: evidentemente non superò il “secondo giorno”…
La questione del
contributo della fantasia al lavoro di ricerca e di interpretazione dei dati,
contributo pericoloso perché, come insegna l’esempio Maynert e come sperimenta
su se stesso un giovane Freud alle prese con la neuropatologia, occorre saperlo
gestire e dosare [7], non è
però importante solo perché trova un inatteso fondamento nelle prime basi della
formazione scientifica di Freud (Lualdi, 2018, 5), ma anche perché tocca un
punto di metodo su cui quest’ultimo si era già prima soffermato e che in
qualità di psicoanalista non smetterà di ribadire, in una forma o in un'altra.
Quanto al
pregresso, scriveva il 25 maggio 1895 all’amico berlinese Wilhelm Fließ (1858-1928):
“Nelle ultime settimane ho dedicato ogni minuto libero a questo lavoro; ho impiegato le ore notturne, dalle undici alle due, intento a fantasticare, interpretare, congetturare…” (Freud, 1985a, 155).
Ma la cosa qui più
importante è che se si confronta il passaggio sopra riportato nella classica traduzione
di Boringhieri con l’originale si trova anzitutto la conferma che quel “fantasticare”
altro non è che il tedesco “Phantasieren” (Freud, 1985b, 130) evidentemente imparentato
con il “Phantasie” nell’articolo di Stekel. E come coglie e commenta Luchetti,
il verbo “Phantasieren…. ben presto
occuperà nella teorizzazione freudiana e poi in psicoanalisi una posizione
cruciale e peculiare…” (Luchetti, 2002, 43).
E non è tutto: il
raffronto tra originale e traduzione rivela che il terzo verbo impiegato da
Freud nella serie, “congetturare”, è in realtà qalcosa di ben diverso: “erraten”
che significa letteralmente “indovinare”. Ci si avvicina con ciò a un nodo
molto complesso, in cui il problema del metodo della conoscenza si intreccia a
quello traduttivo. Quanto a questo secondo aspetto, mi basti segnalare che
nella Standard Edition “erraten” non viene mai tradotto con il
corrispettivo inglese “to guess” a tutto vantaggio di termini più confacenti
alle scienze esatte quali “be detected”, “to make out”. La spinosa questione era appunto,
al tempo della traduzione inglese e attraverso essa, agevolare la diffusione di
un’immagine della psicoanalisi come disciplina in perfetta sintonia con il procedere
considerato scientifico… a discapito della parola di Freud, cui invece Stekel
ridona trasparenza e immediatezza [8].
Questione storica
Il fumo e il fumare sono i grandi protagonisti della discussione di cui Stekel ci offre il resoconto, ma prima ancora lo sono dei cinque personaggi e dell’ambiente. Vengono qui in mente le parole del figlio di Freud, Martin:
“Sapevamo delle ‘riunioni del mercoledì sera’, che avvenivano nella sala d’attesa dello studio di papà… Una incontenibile curiosità, tipica di tutti giovani credo, mi portava a prestare attenzione ai preparativi della sala d’attesa, che avvenivano prima che giungessero gli ospiti. Sul tavolo, davanti ad ogni sedia, c’era un portacenere preso dalla collezione di mio padre, alcuni in giada cinese. Capii la necessità di tutti questi portacenere una notte, quando rientrando da un ballo gettai un’occhiata nella sala d’attesa che gli ospiti avevano da poco abbandonato. Era ancora impregnata di un denso fumo e mi sembrava un vero miracolo che delle persone avessero potuto stare lì sedute per ore a parlare senza soffocare. Non riuscivo a capire come facesse papà a sopportarlo; gli piaceva anzi questo fumo” (Freud M., 1957, 107).
Da questo punto di vista, certamente più storico-biografico che psicoanalitico, scopriamo anzitutto che in quel periodo Freud non fumava i sigari (trabucco) cui è classicamente associata la sua immagine, ma una piccola pipa inglese.
L’acme “biografico”
della discussione si raggiunge però con le battute finali, in cui Freud viene
punto sul vivo (profeticamente, si sarebbe tentati di dire) proprio da Stekel:
“Come medici dobbiamo però ammettere che [il fumo] può diventare anche un pericoloso veleno”.
Dapprima il maestro si limita a esprimere i dubbi sulla pericolosità di un fumare moderato:
“A grandi dosi può divenire pericoloso per l’essere umano. Ma fumare moderatamente quali danni dovrebbe poter provocare? Sono sempre molto diffidente quando sento che questo o quel malato è morto per il troppo fumare…”
Ora, considerato che Freud fumava circa venti sigari al giorno (Jones, 1953, 373) e che subito dopo Stekel afferma che fumarne cinque sia davvero “molto poco” (al punto che Freud ribatte: “Lei non è un fumatore”), non può non sorgere in noi una prima perplessità su cosa fosse a inizio XX secolo un fumare moderato, quantomeno a Vienna…
Ma l’intervento di
Stekel ci interessa qui maggiormente perché si pone di fatto come risposta alla
domanda di Freud: “fumare moderatamente quali danni dovrebbe poter provocare?”.
Crea dipendenza, afferma l’irrequieto.
A questo punto, da
un lato Freud lo accusa di non poter capire e in qualche modo lo squalifica in
quando non fumatore. Tuttavia è al tempo stesso costretto a dargli ragione,
rievocando il proprio fallito tentativo di smettere di fumare, tra la fine del
1893 e il novembre 1895, durante il quale, con sforzi dai risultati altalenanti,
riuscì a mantenere un’astinenza completa e tormentata per 14 mesi. Di tale impresa,
conclusasi con una sconfitta irrimediabilmente nefasta, possiamo trovate vivida
testimonianza nelle lettere a Fließ (Freud, 1985a, 82-171), e un resoconto tanto
nel primo volume delle biografia di Jones (Jones, 1953, 373-5) quanto in una
successiva e altrettanto fondamentale biografia, quella dell’ultimo medico personale
di Freud, Max Schur (1897-1969) (Schur, 1972, 38-60).
Le parole di Freud
riportate da Stekel ci restituiscono in maniera immediata l’intimo,
totalizzante e idealizzato rapporto di Freud con il fumo:
“È il mio buon amico, il mio consigliere, il mio socio, il mio consolatore, il compagno di viaggio che mi abbrevia la lunghissima strada.”
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Youcanprint, Tricase, 2015.
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Frankfurt a. M., 1975.
Stekel W., Zur Geschichte der analytischen Bewegung. In Fortschritte der
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[1] In realtà, il quarto volume contiene
altri 27 rapporti dopo il 250° del 12 maggio 1915, che si estendono fino al 19
novembre 1918. Essi sono però di differenti autori (Nunberg, Federn, 1975,
285). Per inciso, detto volume riporta anche gli “Addenda” ed “Errata” per i tre
precedenti (Nunberg, Federn, 1975, 355-6) Purtroppo l’edizione italiana del
primo volume non poté tener conto perché all’epoca era già uscita (1973).
[2] Qui e nel prosieguo, i caratteri d i s t a n z i a t i sono dell’autore.
[3] “Impulse”, nell’originale. Non solo il
concetto, ma il termine stesso di “pulsione” (“Trieb”) era ancora di là da
venire.
[4] Letteralmente “malgare in montagna” (“Sennerinnen
im Gebrige”).
[5] Quanto
infine a Reitler la situazione appare meno lineare: Freud lo conosceva fin dai
primi anni ’70 e lo cita infatti in alcune lettere a Silberstein (Freud 1989,
56, 59, 67; si veda anche Mühlleitner, 1992, 266) e questo farebbe pensare a
una consolidata amicizia che poteva consentire e prevedere incontri personali. D’altra
parte, l’unica sua lettera a Freud conservatasi presso i Freud Archives della Library of Congress di Washington
(D. C.) è scritta non con l’amichevole “tu” (“Du”) come avveniva per esempio tra
Freud e Fließ, ma con la formale terza persona (“Sie”) aprendosi per giunta con
uno “Stimatissimo professore” che fa pensare a tutto fuorché a un’amicizia di
lunga data. Che nel frattempo i rapporti tra i due si fossero a tal punto raffreddati?
[6] Bos:
“fantasy is required” (Bos, 2007, 135); Clark-Lowes: “Fantasy has to come to my
aid” (Clark-Lowes, 2010, 219, n. 20).
[7] Come non ricordare l’invito di Bion ad
approcciare i “pensieri selvaggi”? Si vedano ad esempio Bion, 1983, 21, 61; Bion, 1997; Bion, 2005, 62.
[8] Sul
tema molto è stato scritto e mi permetto di rimandare a Freud, Jensen, 2019, 21
n. 25 per una ricostruzione più articolata con indicazione della bibliografia
essenziale.
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