Georg Groddeck Parte II: La fuga nella filosofia (Berlino, 1922)
Paul Hoeniger (1865-1924), Spittelmarkt (1912) (Fonte: wikimedia) |
Traduzione in spagnolo (a cura di Juan Vicente Gallardo Cuneo)
Michele Lualdi
Molto meno nota della partecipazione di Groddeck al VI Congresso psicoanalitico internazionale tenutosi a L’Aia nel 1920 (quando esordì esclamando: “Sono un analista selvaggio”) è quella al congresso successivo, a Berlino, tra il 25 e il 27 settembre 1922.
Si tratta di un evento di cui non si trovano tracce significative nei lavori di storia della psicoanalisi e nelle grandi biografie di Freud, mentre qualcosa – ma non molto – viene detto nelle monografie dedicate alla vita e all’opera di Groddeck (Grossman, Grossman, 1965; Martynkewicz, 1997; non viene invece minimamente accennato nel saggio biografico di Grotjahn del 1966).
Fu questo l’ultimo congresso cui Freud riuscì a partecipare di persona (Jones, 1957, 111) impedito negli anni successivi dalla sua lunga e fatale malattia. Del suo intervento ci resta una breve nota, un’autorecensione da lui scritta per gli atti del congresso apparsi sul quarto fascicolo dell’Internationale Zeitschrift für Psychoanalyse di quell’anno (Freud, 1922a).
Essa si conclude così:
“Il relatore ha annunciato l'imminente pubblicazione di un libro, intitolato L'Io e l'Es, nel quale egli ha fatto un tentativo di valutare le conseguenze che per la nostra concezione dell'inconscio devono essere tratte da questi nuovi accertamenti” (Freud, 1922a, 467).
Se ora si considera che proprio il concetto di Es, con buona pace di Lou Andreas-Salomé che non manca di dolersene (lettera di Andreas-Salomé a Freud del 5 dicembre 1924 in Freud, 1966, 143), è qualcosa che Freud riconosce sia privatamente sia pubblicamente di avere tratto da Groddeck[1] (lettere di Freud a Groddeck del 17 aprile 1921 e del Natale 1922; Freud-Groddeck, 1970, 46-8, 72-3; Freud, 1922b, 486), sorge qualche perplessità in merito all’assenza di approfondimenti sulla presenza di Groddeck a questo congresso.
Per cercare di ridurre questa lacuna,
partirei dal dato più certo a nostra disposizione, ossia il sunto del suo
intervento, da lui stesso scritto per i già citati atti del congresso, una
parte del quale si trova in traduzione inglese nella biografia dei Grossman
(Grossman, Grossman, 1965, 126).
Dr. G. Groddeck, Baden-Baden: La fuga nella filosofia
Il rel[atore] discute la questione se il concetto sinora impiegato di inconscio sia bastevole ai fini del trattamento psicoanalitico. Secondo la sua opinione esistono forze nell’uomo che non vengono sufficientemente coperte dall’espressione “inconscio” per come finora impiegata. Egli propone di chiamare queste forze, ancor’oggi non designate, con il termine “Es”. Secondo la sua opinione tutte le espressioni vitali dell’uomo, la sua forma esteriore, struttura, alterazione e funzione dei suoi organi [2], le sue azioni e i suoi pensieri, le sue malattie psichiche e fisiche, anzi gli stessi psiche e fisico sono solo forme diverse di manifestazione in cui si mostra l’Es [3]. Tanto il sistema della coscienza quanto quello del preconscio e, [492] in fondo, anche quello dell’inconscio devono venir concepiti, secondo il suo punto di vista, come derivati e suddivisioni dell’Es, più precisamente come tali da dipendere dalle intenzioni dell’Es ma anche, dal canto loro, da influenzarlo. Il rel[atore] considera il decifrare il linguaggio continuamente cangiante dell’Es e il renderlo comprensibile all’analisi come una delle molte vie per trattare un malato. Non riconosce la necessità di una separazione dei trattamenti psicoanalitici dagli altri tipi di trattamento. Mentre considera ovvio che si metta a posto e si immobilizzi una gamba rotta e che non si cerchi soltanto di analizzare l’infortunio, afferma che si deve subito impiegare il trattamento mediante analisi, non appena l’osso sia stato curato. L’influsso dell’analisi sui processi di guarigione è evidente. Egli crede che la psicoanalisi abbia sulle espressioni vitali organiche dell’Es un influsso almeno tanto grande quanto su quelle psichiche.
Qualche considerazione
La prima domanda che sorge è cosa c’entri la filosofia citata nel titolo con il successivo contenuto. Forse il testo completo della conferenza potrebbe risolvere la questione, ma sorgono qui le prime difficoltà. Secondo i Grossman, Groddeck lesse al congresso di Berlino un testo che aveva preparato in anticipo (Grossman, Grossman, 1965, 126), ma nulla dicono sulle sue sorti.
Pochi anni più tardi, una nota del carteggio Freud-Groddeck, afferma recisamente che il manoscritto della “conferenza sull’Es, tenuta da Groddeck al Congresso Internazionale di Psicoanalisi di Berlino” risulta “irreperibile” (Freud-Groddeck, 1970, 118 n. 52).
Infine, nel 1997 Martynkewicz scrive, con qualche ambiguità:
“Stando alla lettura del manoscritto del discorso pubblicato, Groddeck ha fatto osservazioni basilari sul concetto dell’Es e il suo significato per la cura delle malattie organiche” (Martynkewicz, 1997, 279).
Si direbbe dunque che il manoscritto sia stato pubblicato e che egli abbia avuto modo di leggerlo. Peccato che il biografo non dia in tal senso alcuna indicazione bibliografica e che, per giunta, il poco che poi riassume della conferenza si trovi interamente nell’autorecensione di Groddeck sopra tradotta. Non si può che concludere che in realtà egli faccia riferimento a quest’ultimo e non al presunto manoscritto. Presunto, già, perché il vero problema non è quello della sua introvabilità (potrebbe essere stato distrutto da Groddeck o andato perso, oppure ancora essere finito chissà dove, in attesa di essere ritrovato), ma quello della sua stessa esistenza: su quali basi i Grossman prima, i curatori del carteggio poi e infine – in un modo tutto suo – Martynkewicz ne affermano l’esistenza? Non se ne parla nelle lettere tra Groddeck e Freud, né in quelle tra Groddeck e Ferenczi, né nelle altre corrispondenze psicoanalitiche che ho potuto consultare [4]. Non mi sono state di aiuto le voci bibliografiche dei Grossman (nella misura in cui ho potuto rintracciare i titoli da loro segnalati), mentre per questo preciso dato mancano indicazioni specifiche di fonti nel carteggio Freud-Groddeck e in Martynkewicz. Così dunque, dalla domanda sul titolo della conferenza, abbiamo guadagnato solo di fare un passo indietro e di essere rinviati a un’altra, sul testo della stessa.
Nel tentativo di rispondere a entrambe, possiamo oggi ricorrere a più recenti documenti, in particolare a una lettera scritta da Groddeck a Freud il 23 novembre 1922, in cui l’autore ci offre illuminanti informazioni sulla sua presenza al congresso di Berlino. Questa lettera non era disponibile ai tempi della pubblicazione del carteggio Freud-Groddeck. Suppongo che i Grossman non vi ebbero accesso, mentre di sicuro la consultò nel 1997 Martynkewicz (Martynkewicz, 1997, 279), che la cita tra le sue fonti come inedita e conservata nel lascito di Groddeck (Martynkewicz, 1997 370 n. 84 [5]).
Scrive dunque Groddeck:
“…il 26 settembre, alle 10 e mezza. Era l’ora in cui avevo lasciato la sede del congresso per riflettere per strada su ciò che avrei dovuto dire nella mia annunciata conferenza. Prima c’era stata la Vostra conferenza. Mi era chiaro che avrei dovuto prendere una qualche posizione”.
Ma una posizione su cosa? Martynkewicz avanza un’ipotesi che scarterei in quanto incongruente con il contenuto della lettera in questione, che egli stesso impiega come fonte. Partiamo dalla sua ricostruzione – si badi – fondata proprio sul testo della lettera di Groddeck:
“Il 26 settembre, alle ore dieci e mezzo, dopo un intervento di Freud è la volta di Groddeck che, poco prima di salire sul palco, ha una violenta controversia con lo psicoanalista Hans von Hattinberg [sic, regolarmente, anche nell’edizione originale]… Groddeck più tardi ammetterà… dopo l’attacco di Hattinberg, di avere voluto prendere le parti di Freud: ‘Mi fu chiaro’ [io ho reso: “Mi era chiaro”] scrive il 23 novembre a Freud ‘che dovevo prendere una posizione…’” (Martynkewicz, 1997, 279, parentesi quadre mie).
Anzitutto, come si constata agilmente leggendo la lettera di Groddeck, questi non salì sul palco alle 10.30, ora in cui invece uscì dalla sede congressuale. E lo poteva fare perché la sua era l’ultima relazione in programma per la mattinata mentre quella di Freud era stata la prima (dunque non erano contigue l’una all’altra, come lascia intendere Martynkewicz). Anche questo dato è facilmente documentabile in base a un’altra fonte che il biografo, come visto, non può non avere impiegato: gli atti del congresso, dai quali si evince che tra quello di Freud e quello di Groddeck vi furono ben cinque interventi: Auguste Stärcke, Paul Federn, Géza Róheim, Juliaan Varendonck e Herbert Silberer (Anonimo, 1922,486 e segg.). Ma, terza e più importante incongruenza, stupisce che Martynkewicz possa intendere quel “Mi fu/era chiaro che dovevo prendere una posizione” come conseguente al litigio con Hans Hattingberg: è infatti evidente dalla lettera che il dilemma di Groddeck sulla presa di posizione si consumava verso le 10.30 del 26 settembre mentre, come scriverà egli stesso poco dopo in questa lettera, lo scontro con Hattingberg avvenne solo “il giorno seguente”, ossia il 27 settembre.
Ci offre un’ipotesi alternativa la lettera scritta da Groddeck proprio a Hattingberg il 14 novembre 1922, in cui vengono rievocati gli accadimenti del congresso giusto a partire dal litigio tra i due: “In superficie c’era la netta sensazione di essermi sottratto a un compito. Dopo tutto ciò che era accaduto avrei dovuto esprimermi in favore oppure contro la gestione ufficiale della psicoanalisi. Invece ho fatto il buffone, e me la sono presa perché Lei si pronunciava su cose su cui avrei dovuto pronunciarmi io” (Freud, Groddeck, 1970, 119, corsivo mio). Effettivamente qui è detto a chiare lettere su cosa Groddeck sentiva di dover prendere posizione. Tuttavia a sfavore della sovrapponibilità tra questo passaggio e quello sul “prendere una posizione” della lettera a Freud stanno due considerazioni: anzitutto non si comprende bene quel “tutto ciò che era accaduto”. Se infatti lo si intende riferito al diverbio tra Groddeck e Hattingberg si è di nuovo rinviati al 27 settembre e in caso contrario mi pare resti inspiegabile. In secondo luogo, stando al resoconto ufficiale del congresso, la questione della “gestione ufficiale della psicoanalisi” venne discussa solo nel pomeriggio del 26 settembre, dunque dopo che Groddeck aveva tenuto la sua conferenza (Anonimo, 1922, 492 e 502-3): certo egli poteva sapere fin dal mattino che il tema sarebbe stato dibattuto, ma che senso e che valore avrebbe avuto esprimersi su tale questione durante la sua conferenza e non durante l’apposita riunione amministrativa (Geschtssitzung), cui era libero di partecipare in quanto membro a pieno titolo dell’Associazione Psicoanalitica Internazionale? Possibile, poi, che lo avesse turbato al punto da spingerlo a lasciare il congresso?
Insoddisfatto, avanzo una terza ipotesi. La mattina del 26 settembre Groddeck dovette essere colto da grande sorpresa nel sentire Freud annunciare un nuovo lavoro recante nel titolo la parola “Es”: a quanto ne sappiamo, infatti, questi non si era premurato di preavvisare colui dal quale, come detto, traeva il termine. Eppure da oltre un anno Freud era a conoscenza del manoscritto di Groddeck de Il libro dell’Es: un altro libro, dunque, nel cui titolo compariva il nuovo termine. Aveva accusato la ricevuta di una sua prima parte già nell’importante lettera all’autore del 17 aprile 1921 (Freud-Groddeck, 1970, 46 e segg), e fin da allora si era impadronito del concetto di Es, abbozzando addirittura uno schizzo dei rapporti tra istanze psichiche che sarebbe comparso, con poche modifiche, proprio ne L’Io e l’Es (Freud, 1922b, 487). Eppure il libro di Groddeck, come egli doveva amaramente constatare ancora nella lettera del 23 novembre 1922, tardava a essere pubblicato.
Né i Grossman né Martynkewicz, che pur riportano l’Es come tema della conferenza di Groddeck, fanno su ciò alcun commento, cosa che desta qualche perplessità proprio in considerazione del contenuto dell’intervento tenuto da Freud quella stessa mattina e certamente non ignoto ai biografi. Perplessità che diviene stupore quando si consideri che il 26 settembre 1922, eccezion fatta per la conferenza di Freud, nessuno ancora aveva ufficialmente impiegato il termine “Es” in ambito psicoanalitico se non Groddeck e in pochissimi ne avevano sentito parlare (tra cui probabilmente Otto Rank, che si occupava della casa editrice psicoanalitica e che concretamente preparava i manoscritti – tra cui appunto Il libro dell’Es – per la pubblicazione e Sándor Ferenczi, caro amico di Groddeck). E mentre nella propria conferenza Freud affrontava con cautela l’argomento, limitandosi in sostanza a segnalare le difficoltà legate alle ambiguità di impiego del termine “inconscio” in psicoanalisi e ad annunciare la pubblicazione di un lavoro nel cui titolo compariva questo nuovo termine, "Es”, destinato a un ruolo importante nel linguaggio e nella teoria della psicoanalisi [7], Groddeck fu molto più diretto, ritenendo che i tempi fossero già maturi per introdurlo e definirlo. Si badi, non era per Groddeck semplice questione terminologia: ciò che proponeva è un importante cambiamento o, se si preferisce, un completamento alla teoria psicoanalitica, poiché secondo lui non solo “esistono forze nell’uomo che non vengono sufficientemente coperte dall’espressione ‘inconscio’ per come finora impiegata” e che “egli propone di chiamare… con il termine “Es” [8], ma più in generale: “Tanto il sistema della coscienza quanto quello del preconscio e, in fondo, anche quello dell’inconscio devono venir concepiti… come derivati e suddivisioni dell’Es”. In altre parole, giusta o sbagliata che fosse, stava proponendo – e prima di Freud – una teoria strutturale: non certo qualcosa di trascurabile.
Così stando le cose, mi pare chiaro su cosa avesse da riflettere Groddeck lasciando la sede congressuale dopo avere ascoltato la conferenza di Freud: che posizione prendere in merito a essa. Tacere? Reclamare la propria priorità? In qualche modo tentò una via di mezzo: nulla disse apertamente contro Freud, non lo accusò di plagio né lamentò espressamente di avere già da tempo completato un Libro dell’Es. Agli occhi e agli orecchi dei presenti si limitò a dire la sua sulla struttura dell’essere umano fondata tanto per la mente quanto per il corpo su un insieme di forze detto “Es”. Ma a un livello più sotterraneo, allusivo, comunicava molto chiaramente con Freud, ben sapendo di essere compreso. Quello che infatti riassumeva nella sua conferenza altro non era che Il libro dell’Es (si veda ad es. in Groddeck, 1923: pp. 168-9 – l’Es non distingue tra organico e psichico –; pp. 104, 141, 355 – l’Es dà forma al corpo, alle sue parti; interviene nei processi organici tanto dei malati quanto dei sani –): cosa che a Freud non poteva certo sfuggire. E per Groddeck a contare era lui solo, non certo il gruppo dei “colleghi parrucconi” (Ferenczi, Groddeck, 1982, 69).
Questa ricostruzione ci consente in sovrappiù di attribuire un possibile senso al litigio del giorno successivo tra Groddeck e Hattingberg, apparentemente scatenato dalla conferenza di quest’ultimo. Il breve sunto riportato negli atti del congresso (Hattingberg,1922, 495-6), cui farà seguito due anni più tardi la pubblicazione del lavoro completo (Hattingberg,1924), chiarisce che l’autore, con grande anticipo sui tempi (e basti qui fare il nome di Bion), rifletteva tra l’altro sul rischio che l’analista impiegasse nell’incontro con il paziente le proprie teorie come difesa dal controtransfert e dunque dal proprio coinvolgimento emotivo.
A Groddeck, che solo il giorno prima aveva optato per proporre un contributo in sostanza teorico, questa poteva suonare come un’interpretazione del suo tentativo di difendersi, appunto rifugiandosi nella teoria, dalle emozioni inevitabilmente mossesi in lui dopo la conferenza di Freud: un tentativo, in altre parole, di difendersi dalla rabbia con cui avrebbe potuto attaccarlo. In un’articolata e raffinata dinamica di proiezioni e spostamenti, dunque, egli attaccò Hattingberg. Da quanto sappiamo, accusò la relazione di questi di non essere altro che un attacco al padre (incipit della lettera di Hattingberg a Groddeck del 1° novembre 1922; Freud, Groddeck, 1970, 118). Il che ha l’aria, per quanto detto finora, di una proiezione: “Non io ho attaccato il padre Freud, ma Hattingberg. Io al contrario difendo Freud aggredendo l’aggressore”. Del resto l’aspetto proiettivo sfiorava la coscienza nelle già citate parole con cui Groddeck rispondeva a Hattingberg il 14 novembre: “me la sono presa perché Lei si pronunciava su cose su cui avrei dovuto pronunciarmi io” (Freud, Groddeck, 1970, 119). Di più, nel momento stesso in cui Groddeck cercava di mostrare a se stesso di non avere attaccato il padre (Freud) ma di esserne il paladino, non faceva che… attaccarlo per spostamento: Hattingberg infatti, come egli stesso arrivava a cogliere con l’autoanalisi nella lettera a Freud del 23 novembre altro non era che l’oggetto di un doppio spostamento: quello di un fratello, Wolf, su cui a sua volta era stata spostata fin dall’infanzia l’imago paterna. Da ultimo, per preservare l’amato e irrinunciabile Freud dalla burrasca emotiva, lo confinava, nella lettera del 23 novembre, nel ruolo transferale di una madre: evidentemente non era ancora in grado di superare, come avrebbe fatto invece più avanti, l’ambivalenza verso di lui. Forse questo spiega la titubanza con cui nella lettera alludeva più volte al suo Libro dell’Es, origine del forte dissidio interiore sperimentato durante il congresso, per poi parlarne apertamente solo alla fine ne chiedendo – guarda caso – di accelerarne la pubblicazione.
A prescindere dalla lettura che si vuol loro dare, come si vede gli eventi sono molto densi e assai più articolati di quanto non consentano di cogliere le narrazioni sommarie delle biografie che ho potuto consultare (che certo per parte loro hanno la parziale scusante di non potersi permettere il lusso di sostare troppo a lungo sui singoli episodi di una vita).
Si capisce, di fronte a questa intricata matassa, perché Freud attenda poco più di un mese prima di rispondere alla ricca lettera di Groddeck: sa di doversi muovere su un piano allusivo e sa di dovere spiegazioni per quanto accaduto al Congresso. Sa, soprattutto, di essere il vero bersaglio dell’attacco di Groddeck a Hattingberg. Scrive infatti datando “Natale” la sua missiva:
“… il fatto che abbia collocato la mia persona nella serie materna – in cui evidentemente non rientro – [mostra] chiaramente come Lei voglia sottrarsi al transfert paterno” (Freud, Groddeck, 1970, 72).
Fin qui è esplicito. Può permetterselo perché altrettanto lo è stato al riguardo Groddeck. Ma poi deve passare, e lo fa con grande abilità, al registro allusivo, poiché così ha scelto fin dalla propria conferenza a Berlino l’amico:
“Io credo che l’Es (in senso letterario, non associativo) Lei l’abbia preso da Nietzsche. Posso affermarlo anche nel mio scritto?” (Freud, Groddeck, 1923, 72-3).
Qui non si tratta solo di fingere, a posteriori, di chiedere un qualche permesso a Groddeck su quanto scrivere nel proprio libro in proposito dell’Es. Il gioco è più raffinato: a un Groddeck che al congresso diceva: “Sai bene che il concetto di Es è mio e quanto io l’ho sviluppato”, rispondeva: “Sai bene che il concetto di Es non è tuo ma di Nietzsche” [9]. Peccato non si sia conservata la risposta di Groddeck…
Ritornando ora, dopo questo lungo percorso, alle nostre due domande originali: cosa c’entra la filosofia e che ne è del testo originario della conferenza di Groddeck, è certo più agile riprenderle dalla seconda. Nella misura in cui la ricostruzione tentata è accettabile, ne consegue che non esiste alcun testo della conferenza tenuta da Groddeck a Berlino. O meglio, non si può escludere che Groddeck avesse preparato per tempo un testo da leggere, ma credo che dopo avere ascoltato Freud ed essere uscito a passeggiare per schiarirsi le idee abbia approntato un nuovo discorso, incentrato sulla sua concezione dell’Es (in ciò agevolato dall’aver già scritto un intero volume sull’argomento) e finalizzato a rispondere direttamente e allusivamente a Freud.
E “la fuga nella filosofia”? Stupisce che, di nuovo, tanto i Grossman quanto Martynkewicz, pur citando espressamente il titolo (Grossman, Grossman, 1965 a p. 126 e Martynkewicz, 1997, 279), non si interroghino sulla sua scarsa corrispondenza al successivo contenuto, commettendo così una seconda leggerezza. Per conto mio Groddeck riprendeva nel titolo, in qualche modo riassumendola, la conferenza tenuta la mattina da Freud, considerando che parte dei problemi sollevati dal termine “inconscio” erano legati proprio al suo uso “puramente descrittivo” (Freud, 1922a, 467), che trovava la sua origine nelle speculazioni filosofiche. L’inconscio era dunque a rischio di una “fuga nella filosofia” e per impedirla Groddeck intendeva contrapporvi la propria concezione di Es, saldamente ancorata a considerazioni cliniche, mediche e psicoanalitiche.
Non è a questo punto ancor più significativo che di rimando Freud, con quella sottile e acuta ironia e allusività che gli erano proprie, abbia poi fatto notare a Groddeck proprio la provenienza filosofica (nietzschiana nello specifico) del suo concetto di Es?
Bibliografia
Anonimo, Bericht über den VII. InternationalenPsychoanalitischen Kongreß in Berlin (25.-27. Sept. 1922). In Internationale Zeitschrift für Psychoanalyse, 1922 (VIII), Heft 4, 478-505.
Ferenczi S., Groddeck G., Corrispondenza (1921-1933), Astrolabio, Roma, 1985.
Freud S. (1922a), Qualche parola sull’inconscio. In OSF, IX, Bollati Boringhieri, Torino, 463-7.
Freud S. (1922b), L’Io e l’Es. In OSF, IX, Bollati Boringhieri, Torino, 469-520.
Freud S. (1966), Eros e conoscenza. Lettere tra Freud e Lou Andreas Salomé 1912-1936, Bollati Boringhieri, Torino, 1990.
Freud S., Groddeck G. (1970), Carteggio Freud-Groddeck, Adelphi, Milano, 1973.
Groddeck G., Dr. G. Groddeck, Baden-Baden: Die Flucht inder Philosophie. In Internationale Zeitschrift für Psychoanalyse, 1922 (VIII), Heft 4, 491-2.
Groddeck G.W., (1923), Il libro dell’Es, Adelphi, Milano, 1966.
Grossman C. M., Grossman S., The Wild Analyst, Georg Braziller Inc., New York, 1965.
Grotjahn M. (1966), Georg Groddeck (1866-1934). L’analista indomito. In Alexander F., Eisenstein S., Grotjahn M., Pionieri della psicoanalisi, Feltrinelli, Milano, 1971.
Hattingberg H. von, Zur Analyse der analytischen Situation. In Internationale Zeitschrift für Psychoanalyse, 1922 (VIII), Heft 4, 495-6.
Hattingberg H. von, Zur Analyse der analytischenSituation. In Internationale Zeitschrift für Psychoanalyse, 1924 (X), Heft 1, 34-56.
Jones E. (1957), Vita e opere di Freud. III. L’ultima fase (1919-1939), Il Saggiatore, Milano, 1962.
Lualdi M., Nelle lettere di Freud. Indice analitico degli epistolari italiani. Volume 1, Youcanprint, Tricase, 2017.
Mahler M.S., Pine F., Bergman A., (1975), La nascita psicologica del bambino, Bollati Boringhieri, Torino, 1978.
Martynkewicz G. (1997), Georg Groddeck. Una vita, Il Saggiatore, Milano, 2005.
Nitzschke B., ZurHerkunft des „Es“: Freud, Groddeck, Nietzsche – Schopenhauer und E. vonHartmann. In Psyche, 1983, 769-804.[1] Non è questa la sede per addentrarsi della storia del concetto di Es e del suo impiego in psicoanalisi. Spunti assai interessanti si possono trovare in Nitzschke, 1983.
[2] “la sua forma esteriore, struttura, alterazione e funzione dei suoi organi…”. Mentre io intendo “struttura” come riferito agli organi, i Grossman considerano il termine come riferito all’uomo nel suo complesso e dunque traducono: “his outward form, his structure, the alterations and functioning of his organs…” (Grossman, Grossman, 1965, 126). Il passaggio originale si presta a entrambe le letture: “seine äußere Form, Aufbau, Veränderungen und Funktion seiner Organe…” (Groddeck, 1922, 491). Va peraltro considerato che l’interpretazione dei Grossman implica l’inserimento di un aggettivo possessivo davanti a “Aufbau” (“struttura”-“structure”) che è assente nell’originale, in cui precede invece gli altri sostantivi della serie per i quali anche io l’ho esplicitato.
[3] Si consideri cosa avrebbe scritto Margaret Mahler poco più di mezzo secolo dopo: “Io credo che dalla fase simbiotica dell’unità duale madre-figlio si sviluppino i precursori esperienziali della nascita dell’individuo, i quali, insieme con i fattori costituzionali innati, determinano la struttura somatica e psicologica dell’essere umano” (Mahler et al., 1975, 229, corsivo mio).
[4] Oltre agli epistolari già citati ho consultato tutti quelli di Freud disponibili in italiano e che contengono lettere per il 1922 e gli anni seguenti (Lualdi, 2017). Inoltre in tedesco: il carteggio con Pfister e quello con i figli (in quanto le edizioni italiane non sono complete), le lettere tra Freud e Abraham e il terzo volume del carteggio Freud-Ferenczi (in quanto non presenti in traduzione italiana). La mia ricerca non è dunque esaustiva (manca ad esempio il massiccio volume con gli scambi epistolari tra Freud ed Eitingon), ma è stata comunque piuttosto vasta.
[5] In questa nota Martynkewicz commette un refuso, indicando come data della il 22.11.1922. L’errore è presente già nell’edizione originale.
[6] Che infatti lo cita in una nota a piè pagina de L’Io e l’Es (Freud, 1922b, 486 n. 2).
[7] Naturalmente questo è quanto possiamo dire avendo a disposizione solo l’autorecensione di Freud, non ci è dato di sapere cosa abbia concretamente detto durante la conferenza. È possibile sia stato più esplicito sul concetto di Es e lo abbia meglio articolato? Considerato che aveva già iniziato la stesura de L’Io e l’Es, in cui il nuovo termine viene introdotto fin dalle prime pagine, non è da escludere. Un commento fatto da Groddeck, tra l’altro sembrerebbe suggerirlo (si veda nota seguente).
[8] Suona in tal senso paradossale ciò che poco meno di due mesi più tardi, il 12 novembre 1922 (dunque solo pochi giorni prima di scrivere a Freud l’importante lettera del 23), avrebbe scritto a Ferenczi: “Freud è ostacolato dalla sua funesta fede nella necessità di dare un nome, di battezzare…” (Ferenczi, Groddeck, 1982, 68). Ma non bisogna dimenticare che ci sfugge l’effettiva articolazione della conferenza di Freud al Congresso di Berlino: forse fu assai più puntuale di quanto non lasci immaginare il breve testo sopravvissuto e forse proprio questo spinse Groddeck a esporsi così perentoriamente durante il proprio intervento.
[9] Quando poi si scopre non essere così pacifico l’impiego da parte di Nietzsche del concetto di Es (Nitschke, 1983), si comprende come si possano approfondire le riflessioni su questa frase di Freud.
Una conferma della tua perizia nel muoverti tra testi e lacune, detto e non detto, proiezioni e allusioni e, soprattutto, la passione e la competenza . Francesco Marchioro
RispondiEliminaGrazie Francesco, per le tue parole e la tua costante attenzione di amico e studioso
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