Wilhelm Stekel: "Il vincolo del nome" (1911)

 

Pere Borrell del Caso (1835-1910): Escapando de la critica (1874) (fonte: wikipedia)

Traduzione e cura: Michele M. Lualdi

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L’articolo di Wilhelm Stekel qui proposto, pubblicato nel 1911 sulla rivista Zeitschrift für Psychotherapie und Medizinische Psychologie, si propone di indagare i possibili rapporti tra nome (e cognome) di una persona e altri aspetti della sua vita, quali sintomi nevrotici, abitudini, scelte sentimentali. L’autore, in pratica, rivista l’adagio latino nomen omen o, se si preferisce, tenta una sorta di ribaltamento dell’altra nota locuzione, nomina sunt consequentia rerum, trasformandola in res sunt consequentia nominum.
Il lavoro fu seguito nell’arco di pochi anni da almeno altri due contributi dello stesso genere da parte di due diversi psicoanalisti. Il primo e più noto è quello di Karl Abraham (Abraham, 1911): uscì nel dicembre del 1911 sul terzo fascicolo della seconda annata della rivista Zentralblatt für Psychoanalyse, nella sezione “Varia”, con il titolo “Sul potere determinante del nome”. Il secondo, meno noto, è di Herbert Silberer, anch’esso pubblicato sullo Zentralblatt, nella sezione “Varia” del numero 8/9 della terza annata, nel maggio-giugno del 1913. Si intitolava: “EinFeuilleton: Mensch und Name. (Die Verpflichtung des Namens) [Un feuilleton: Persona e nome (Il vincolo del nome)]. Entrambi i due brevi lavori si aprivano richiamandosi al precedente di Stekel che evidentemente aveva fatto da meritevole apripista.  

Prima di offrire il testo dell’articolo, vale la pena soffermarsi su alcune peculiarità della sua storia e del suo contenuto. 
Quanto alla storia, ce la racconta lo stesso autore in ben due lavori, dedicati il primo all’evoluzione del movimento psicoanalitico (Stekel, 1926, 555-8) e il secondo alla propria autobiografia, pubblicata nel 1950 (Lualdi, 2015, 245-56). Entrambe le ricostruzioni ricordano che la rivista Zentralblatt für Psychoanalyse nacque subito dopo il congresso di Norimberga del 1910, quale frutto di una negoziazione tra Freud e i suoi seguaci viennesi (in particolare lo stesso Stekel e Adler), sul piede di guerra per via della proposta, avanzata da Ferenczi durante il congresso, di formare un’Associazione psicoanalitica internazionale, con Jung quale presidente a vita e avente diritto di censura su tutti i lavori psicoanalitici da pubblicare. Per evitare inutili tensioni e nel tentativo di venire incontro ai suoi di Vienna, che non volevano attribuire ruoli di guida agli svizzeri, Freud si dichiarò pronto ad assumere la direzione della rivista che Stekel e Adler intendevano fondare per essere liberi da ogni censura: lo Zentralblatt. I tre sarebbero stati i soli redattori, tutti con diritto di veto sui contenuti. Fatto curioso, continua Stekel:
 

“Freud indirizzò il suo primo veto contro di me; concerneva un saggio intitolato Il vincolo del nome”… prevedeva che i lettori avrebbero riso di me e conformemente al nostro accordo esercitò la sua prima opposizione. Allora io pubblicai l’articolo in un'altra rivista psicologica. Non vi furono né scherni né derisioni; al contrario, giunsero conferme da parte di molti ardenti freudiani.” (Lualdi, 2015, 245-56).

 
Lo stesso Stekel scrisse nel 1914 due altri brevissimi trafiletti con lo stesso titolo, “Il vincolo del nome” (Stekel, 1914a, Stekel, 1914b), pubblicandoli questa volta senza problemi sullo Zentralblatt: al tempo si era infatti già staccato da Freud e dal movimento psicoanalitico, portando con sé la rivista e divenendone unico direttore e redattore: i veti erano orma storia passata.
Quanto al contenuto, Kurt Eissler afferma che nell’articolo Stekel riporta tra gli esempi di vincolo del nome quello di Lou-Andreas Salomé, “obbligata” a far perdere la testa agli uomini poiché omonima della biblica Salomé, che aveva fatto perdere la testa a Erode (in senso figurato) e a Giovanni Battista (in senso letterale) (Eissler, 1971, 43-4 n. 23). Ma come si vedrà leggendo il testo, ciò non corrisponde per nulla al vero. Di certo si sa invece (e ben lo sapeva anche Eissler! Eissler, 1971, 83 n. 49) che fu la Salomé a prendersi gioco del nome di Stekel, nella lettera a Freud successiva al 18 dicembre 1916 [1], dividendolo nelle due porzioni “St Ekel”, ossia “Santo Schifo” (Freud, 1966, 53), a indicare, in una sorta di… vincolo del nome, una sua morbosità per le tematiche sessuali. 
Ora, ammessa l’affidabilità della versione di Eissler, si potrebbe pensare che Stekel abbia espunto dal testo dell’articolo la parte dedicata alla Salomé prima di presentarlo alla Zeitschrift für Psychotherapie und Medizinische Psychologie¸ di modo da apparire “innocente”. Resterebbe però in tal caso da chiarire da dove Eissler abbia tratto l’informazione in questione, poiché come fonte cita solo il lavoro di Stekel realmente pubblicato. 
Il testo pone di per sé un problema delicato, che sfiora il paradosso: come offrire al lettore analisi basate sui nomi dei pazienti tutelando al tempo stesso il loro anonimato? Stekel stesso, del resto, è costretto a un certo punto dell’articolo ad ammettere: “Ma basta con gli esempi! Tanto i migliori non li ho potuti comunicare per ovvie ragioni”. L’elemento paradossale lo fa emergere Jones, che da una parte accusa Stekel di avere fondato il suo discorso su nomi inventati (Jones, 1959, 206) mentre dall’altra lo cita quale fonte affidabile (Jones, 1913, 235).

 

Il vincolo del nome [2]


[110] Qualche tempo fa mi si presentò un malato che si lamentava di una penosa azione coatta. Doveva controllare la consegna di merci in un grande negozio e annotare il numero di pezzi consegnati. Ogni volta dubitava di avere annotato correttamente il numero e doveva ricontarlo alcune volte. Similmente gli accadeva nel sommare diverse partite. Anche quando aveva consegnato una somma di denaro, lo tormentava l’idea di essersi sbagliato. “Dottore”, gridò il malato, disperato, “la mia malattia si può esprimere in una frase: non sono mai  s i c u r o [sicher]”. Chi [potrebbe] descrivere la mia sorpresa, quando mi informai del nome del paziente per inserirlo nel mio registro ed egli mi rispose: mi chiamo “S i c h e r”. 
Questa osservazione richiamò la mia attenzione sulle relazioni tra nome e nevrosi e nome e lavoro. Ho scoperto in proposito fatti curiosi. Mi era noto già da moltissimo che tutti gli uomini riflettono parecchio sul loro nome. Dagli artisti ci viene riferita una vera moltitudine di piccoli indizi, tutti confermanti che il nome ha una certa importanza nella dinamica della nevrosi. Tutti gli artisti sono certo più o meno nevrotici, come credo di aver dimostrato nel mio studio “Dichtung und Neurose [Poesia e nevrosi]” (Grenzenfragen des Nerven und- Seelenlebens, Casa editrice di J. F. Bergmann, Wiesbaden). B a c h  ha composto una fuga sulle lettere del suo nome [3] e  S c h u m a n n  era inconsolabile per il fatto di avere un nome non musicale. Compose gli incantevoli Papillons come variazioni del suo luogo di nascita, Asch (A-S-C-H) [4]. Di  G r i l l p a r z e r  si racconta che odiasse il suo nome. Il bisogno di nomi d’arte armoniosi ci rivela comunque che gli artisti esigono una relazione tra opere e nomi. Di  S t e n d h a l  racconta  L o m b r o s o: “Si divertiva ad alterare il suo nome, a tralasciare o ad aggiungere lettere, ad attribuirsi un titolo immaginario o una qualche qualifica onoraria [5], specialmente quando voleva impressionare i suoi conoscenti o compagni di tavola. Solo eccezionalmente dichiarava il suo vero nome, sarti e calzolai si recavano ogni volta dai signori Bel, Bell, Beil, Lebel [6]. A Milano si presentò come alto ufficiale dragone che si era congedato nel 1884 e che era figlio di un generale d’artiglieria. Presentava anche altre stravaganze: sulle sue bretelle o la sua cintola scriveva [111] note sui suoi affari di cuore, nei suoi manoscritti privati utilizzava inversioni sillabiche infantili: ‘cainerepubli’ per ‘républicaine’, ‘gionreli’ per ‘réligion’, ‘sraip’ per ‘Pairs’ di Francia”. E chi non ricorda i versi di scherno di  H e r d e r  sul giovane Goethe? “Tu che discendi da  G ö t t e r n [dei], da  G o t h e n [7] o da  K o t h e [escrementi]”. 
Poco tempo dopo la mia esperienza con il signor Sicher, trattai una signora a causa di una depressione. [Disse che] era insoddisfatta di suo marito – il non troppo raro caso in cui le prestazioni del marito non trovano riconoscimento. Era per lei troppo passionale. Pretendeva un amore più paterno. Voleva solo essere accarezzata e sentire parole di adulazione. Suo marito era molto, troppo giovane. Avrebbe dovuto sposare un uomo più vecchio. Le sue due sorelle avevano sposato uomini più vecchi di circa 20 anni ed erano molto felici nel matrimonio. E come si chiamava questa signora da nubile? Abbastanza stranamente A l t m a n n [Vecchiouomo]. Era come se tutte e tre le sorelle avessero sentito un vincolo che il nome aveva imposto loro. 
Questi fatti mi hanno dato molto da pensare. Trovai presto, nella maggior parte dei miei nevrotici, segreti legami con il nome, che essi mi comunicavano in termini di costrizione, dispetto, orgoglio e vergogna. La maggior parte dei malati sente un vincolo nei confronti del proprio nome e si sforza di assecondare questo vincolo. Trattai così un impiegato i cui sogni pullulavano di fantasie militari. Egli sarebbe anche diventato ben volentieri ufficiale. È un appassionato spadaccino e soffre di potenti istinti omicidi. L’uomo si chiama  K r i e g e r [guerriero]. O è un caso che il signor B r e i e r  mangi solo della purea [Brei]? Un caso che il signor  G r o s s [grande] soffra di deliri di grandezza e il signor K l e i n e r [(più) piccolo], al contrario, di un’avvilente sensazione di indegnità? 
Anche le reazioni per opposto non sono così rare. Un signor “B a u e r” [contadino] sogna di aristocratici antenati e il signor  F ü r s t  [principe] è un appassionato socialdemocratico. 
Alcuni nomi stanno addirittura al centro delle fantasie nevrotiche. Le mie ultime ricerche mi hanno [fatto] scoprire oscure relazioni tra criminalità e nevrosi. Qui voglio citare un esempio che si contraddistingue per l’impiego del nome. Uno dei miei pazienti, un professore, poteva uscire solo di notte. Nei boschi si sentiva benissimo, mentre di giorno, per le strade della città, moriva di paura. Giunsi solo in seguito a capire che interpretava un lucifugo [8] criminale [9]. L’uomo si chiama  W o l f [lupo]. Interpretava anche l’animale predatore. [112] Il sanguinario, lucifugo animale predatore che vive nei boschi. In questo paziente vi sono anche istinti necrofili. È un  l u p o  m a n n a r o. (Leuk-antropofagia!) [10]
Una signora, cittadina dell’impero tedesco [11], soffre di un’idea coatta che riguarda “pagare” e “pagare [qualcosa]” [12]. Il suo nome contiene un riferimento al denaro – come se si chiamasse  M a r c o. Il piccolo paese in cui la nevrosi è scoppiata si chiama Zehlenau (Zählenau-Zahlenau [13]). 
Un signor  R e i c h [ricco] soffre di un complesso del denaro e sogna con notevole frequenza di casseforti e libretti di risparmio. Il signor  R e i n e r [pulito] soffre di angoscia per lo sporco. Il signor  V o l l m a n n [uomopieno] di depressioni e della paura di non riuscire a riempire completamente [voll und ganz] il suo spazio. – Il signor  B l a s s [pallido] di congestioni in cui il suo volto diventa paonazzo e persino le sue orecchie si fanno rosse. Il signor  E n g e l [angelo] si rimprovera severamente per i suoi peccati di onanismo; si ritiene sporco e abietto. Il signor  F r i s c h [fresco] si sente sempre stanco. Il signor  H e i m [a casa] si sente infelice nel matrimonio – il signor  H e r z [cuore] si accusa di mancanza di cuore. Il signor  H o f m e i s t e r [precettore] ha ideali pedagogici. Il signor  K a t z [gatto [14]] ha istinti da animale predatore e reputa tutto ciò che è serio come [qualcosa che] “non vale niente” [15]. Il signor  P a s t o r [pastore] soffre di complessi religiosi e il signor  P i s s m a n n [uomopiscio] è enuretico. Il signor  S c h e n k e l b a c h [cosciaruscello] ha anch’egli a che fare con il complesso dell’urina e il signor  S p i t z [appuntito] si vergogna come se il suo nome fosse un simbolo sessuale universalmente noto. Anche il signor  S c h e n i e r e r [vergognoso [16]] arrossisce assai facilmente, benché da molto non sia più un ragazzino. Il signor  S t r a u s s [battaglia] è coinvolto in cento processi e ha sempre da litigare [17]
Ma basta con gli esempi! Tanto i migliori non li ho potuti comunicare per ovvie ragioni. I motivi psichici di questo comportamento sono, per noi analisti, la cosa più importante. Un tale esempio l’ho già pubblicato. Una signora che ha una nevrosi coatta racconta di avere improvvisamente iniziato a odiare il suo nome – più precisamente il suo cognome. Non lo poteva scrivere, pronunciare, leggere. Evitava, se solo ne aveva la scusa, di firmare con il suo nome [18]. Desiderava potersi sposare al più presto. Allora avrebbe certo avuto un nuovo nome. 
Si potrebbe ora credere che il desiderio di sposarsi fosse stato il motivo segreto e palese di quest’odio. Non era così. La faccenda andava più in profondità. Ella aveva iniziato improvvisamente a soffrire di dubbi quando era venuta a sapere che suo padre, che adorava immensamente, si era reso colpevole di varie disonestà. Il padre era morto e al posto del grande patrimonio che egli aveva amministrato, erano rimasti solo miseri spicci. Era anche [113] venuta a sapere che egli aveva avuto una o più amanti. Il suo amore per il padre si trasformò in odio e disprezzo. Questo trasformazione avvenne in modo del tutto inconscio. Nella coscienza egli era ancor sempre l’uomo stimatissimo, ineguagliabile. In tale fase di fluttuazione tra amore e odio, iniziarono il dubbio e le rappresentazioni coatte. L’odio verso il nome era l’odio verso l’uomo che le aveva dato il nome. Un motivo analogo l’ho documentato in  G r i l l p a r z e r, che parimenti odiava il suo nome (Dichtung und Neurose. J. F. Bergmann 1909 [19].) 
L’adulto non nevrotico si occupa molto poco del proprio nome. Ma anch’egli ha avuto un periodo in cui il suo nome gli ha dato molto da pensare. Se attingo ai miei ricordi, mi viene in mente che mi seccava molto quando i mei compagni di scuola associavano il mio nome a “Stock” [bastone]. Facevo allora notare indignato che mi chiamavo  S t e k e l, non  S t ö c k e l [bastoncino]. La stragrande maggioranza dei miei famigliari si firma tuttavia  S t ö k e l [20]. Mio fratello mi aveva raccontato una volta con grande orgoglio che proprio [nostro] padre aveva imposto questa grafia [21] per annientare il nesso per lui penoso con  S t o c k [22]. Dall’analisi conosco i tormentosi sentimenti di un ragazzo che si chiama  K o h n  e che per questo veniva canzonato dai suoi compagni [23]. Si fece poi battezzare e assunse un nome di origine germanica (qualcosa come H a g e n  o  G ü n t h e r), un gran nome da eroe. Solo che la sua nevrosi si esprimeva nel timore che lo si notasse per la strada e mentre parlava con degli ebrei. Non usciva con sua madre perché questa aveva un aspetto troppo ebreo. Temeva palesemente che si venisse a sapere il suo vecchio nome perché in realtà lo comandava ancora la madre… 
Molti nevrotici come scrittori o per altri motivi scelgono “pseudonimi” [24]. Questi pseudonimi tradiscono allora il desiderio dell’altro nome. Le donne scelgono di preferenza nomi maschili che suonano bene; gli uomini pseudonimi che suonano femminili [25]. (Forme di espressione dell’ermafroditismo psichico nel senso di  A d l e r.) Ebbene, conosco un nevrotico che si è attribuito l’orgoglioso soprannome di “Vittorio di Marona”. La soluzione era la seguente: la madre si chiamava  M a r i a, la sua governante  I l o n a. Fuse i due nomi in uno solo:  M a r o n a. Il [“]Vittorio[”] doveva [114] rappresentare l’orgoglioso vincitore. Questo paziente ha sognato negli ultimi giorni di avere sposato la sua  g o v e r n a n t e. Azzardando, gli ho chiesto se tra le sue fantasie professionali ci fosse quella di [diventare] un governatore. Ridendo ammette che nell’ultima settimana [ha] accarezzato il piano di entrare nella Banca austro-ungarica, fantasticando poi di diventare il  g o v e r n a t o r e  di questa banca, come un signor S., la cui sorte lo occupa intensamente. Anche di solito vive in innumerevoli fantasie da governatore. Sì, vorrebbe addirittura scrivere un articolo politico, [per dire che] si potrebbe introdurre in Austria una denominazione unica per i diversi rappresentanti delle provincie e chiamarli tutti uniformemente  g o v e r n a t o r i. 
Ancor più significativo diviene il nome in merito alla scelta amorosa. Si ama certo sempre se stessi nell’altro. Confrontando i nomi, si giunge a cose curiose. La mia fidanzata si chiamava  N e l k e n [26]. Confrontando il nome con  S t e k e l  si devono riconoscere certe somiglianze. Ripetutamente ho osservato delle somiglianze. In particolare, il nome di battesimo di genitori e fratelli e sorelle è determinante nelle scelta amorosa. Qualcuno ama, la prima volta, una  B e r t a. Casualmente anche la madre si chiama Berta [27]. Questo non è però un caso. Se poniamo attenzione, giungiamo alle più strane relazioni. Un nevrotico, ancorato a sua madre, sposò infine una signora il cui nome era, riprodotto il più fedelmente possibile, S e l m a   M a s s e n e t. Su un biglietto da visita, quest’uomo aveva una volta sottolineato le due  M a, sì che si poteva chiaramente leggere Ma-ma. Simili azioni sintomatiche celano, come  F r e u d  ci ha insegnato, il dominio di forze psichiche segrete. La psicoanalisi è in grado di dimostrare, dietro questi trastulli, complessi affettivamente accentuati, che conferiscono all’agire apparentemente privo di senso un senso profondo; anche il trastullo con il nome ha motivazioni inconsce. 
Non affermo certo che si tratta di relazioni giustificabili di per sé. Una nevrosi è un meccanismo fin troppo complesso perché la si possa spiegare con simili motivazioni superficiali. Si tratta però in ogni caso di un’osservazione interessante che esige verifica. Potrebbe certo essere vera solo in singoli casi. In fondo ci sono pur nomi che non consentono proprio alcun nesso. Ciononostante ho voluto richiamare l’attenzione su questi rapporti e invito i colleghi che hanno fatto o faranno osservazioni simili a comunicarle. Il tema è aperto alla discussione pubblica.   

Bibliografia

Abraham K. (1911), Sul potere determinante del nome. In Abraham K., Opere, vol. I, Bollati Boringhieri, Torino, 1975, 54-5.

Eissler K.R., Talent and Genius. The Fictitious Case of Tausk contra Freud, Quadrangle Books, NY, 1971.

Freud S. (1966), Epistolari. Eros e conoscenza. Lettere tra Freud e Lou Andreas-Salomé, 1912-1936, Bollati Boringhieri, Torino, 1990.

Jones E. (1913), Il complesso di Dio. In Jones E., Saggi di psicoanalisi applicata. Volume II. Folklore, antropologia, religione, Guaraldi, Rimini, 1972, 330-349.

Jones E. (1959), Memorie di uno psicoanalista, Astrolabio, Roma, 1974.

Lualdi M. M, Passando da Stekel. Edizione critica dell’Autobiografia di Wilhelm Stekel, Youcanprint, Tricase, 2015.

Stekel W., Dichtung und Neurose. Bausteine zur Psychologie des Künstlers und des Kunstwerkes, J. F. Bergmann, Wiesbaden, 1909.

Stekel W. (1914a), Il vincolo del nome. In Lualdi, Passando da Stekel. Edizione critica dell’Autobiografia di Wilhelm Stekel, Youcanprint, Tricase, 2015, 541.

Stekel W. (1914b) , Il vincolo del nome. In Lualdi, Passando da Stekel. Edizione critica dell’Autobiografia di Wilhelm Stekel, Youcanprint, Tricase, 2015, 542-3.

Stekel W., Zur Geschichte der Analytischen Bewegung. In Fortschritte der Sexualwissenschaft und Psychoanalyse, 1926 (II), 539-75.



[1] [NdC] Colgo l’occasione per correggere alcuni refusi che ho fatto in proposito in Passando da Stekel discutendo delle “lettere di Andreas-Salomé a Freud del 26 novembre 1916 - e relativa nota 117 a p. 223 - e del 18 novembre 1926 circa” (Lualdi, 2015, 435 n 621). Affermavo che l’espressione “St Ekel” era nella prima delle due. In realtà 1) l’espressione si trova nella seconda, 2) questa non è del 18 novembre 1926 circa da del 18 dicembre 1916 circa e 3) la nota 117 non è riferita alla lettera del 26 novembre ma a quella del 18 dicembre circa!

[2] [NdC] Titolo originale: Die Verpflichtung des Namens. In Zeitschrift für Psychotherapie und Medizinische Psychologie, 1911 (III), 110-4. I numeri in parentesi quadra indicano le pagine dell’edizione originale. Tutte le parentesi quadre sono mie. Online è possibile reperire sia una traduzione inglese, di Richard G. Klein, sia una spagnola, di Héctor Piccoli. Nel presente lavoro faccio alcuni raffronti con la prima, ma non con la seconda, poiché non conosco lo spagnolo.

[3] [NdC] Il nome Bach è composto dalle lettere con cui anglosassoni e tedeschi indicano le note: Si bemolle (B) La (A) Do (C) Si naturale (H). Si tratta delle note del terzo soggetto del Contrapunctus XIV dell’Arte della fuga, l’ultima opera del musicista, rimasta incompiuta. (wikipedia; flaminioonline). 

[4] [NdC] Stekel è qui piuttosto approssimativo. Per Papillons non è da intendersi, come annota invece Richard Klein, l’op. 2 del 1831, ma al più il nono movimento di Carnaval, op. 9 composta tra il 1834 e il 1835. In realtà non solo questo Papillons, bensì tutti e 22 i movimenti di Carnaval sono giocati sulle quattro note che, nella notazione inglese e tedesca, vengono indicate dalle lettere A (La), o S (Mi bemolle), C (Do), H (Si). Queste lettere, oltre a comparire nel cognome Schumann, costituiscono il nome non della sua città di nascita, ma di quella della sua amata, Ernestine von Fricken (fonte: lafilharmonie).

[5] [NdC] “Prädikat” nell’originale. Si veda Deutsches Wörterbuch dei fratelli Grimm, voce Prädicat.  

[6] [NdC] Questi vari cognomi sono alterazioni di quello vero di Stendhal, Beyle. Klein segnala che in tedesco “Beil” significa ascia, ma difficilmente ciò poteva rientrare nelle intenzioni dello scrittore francese. Al più, forse, può valer la pena considerare che ricordano tutti, per forma e per pronuncia l’aggettivo francese “bel”, ossia bello, nella sua grafia davanti a vocale.

[8] [NdC] Nel testo “lichtscheuen”, letteralmente “timoroso della luce [Licht]”. Il corrispettivo italiano più aderente resta il pur raro “lucifugo”, sia seguendo il DeutschesWörterbuch dei fratelli Grimm, che riconduce l’aggettivo tedesco al latino “lucifugus”, sia perché in italiano lucifugo è impiegato espressamente per indicare gli animali notturni (si vedano le righe immediatamente successive del testo) e, in senso traslato, le persone che preferiscono svolgere le loro attività di notte (fonte: Treccani). 

[9] [NdC] Questa frase manca nella traduzione di Klein.

[10] [NdC] Difficile comprendere il nesso qui proposto da Stekel. “Leuk” è radice indoeuropea da cui, per esempio, “luce”, ma anche “Luna”, che rimanda più direttamente non solo alla notte, ma anche alle leggende sulla licantropia. Si può anche aggiungere che esistevano probabilmente falsi nessi etimologici tra “lupo” e “Leuk”, come lascia intendere la pagina di fr.wikipedia dedicata a “Le loup en France”. Vi è infine probabilmente il gioco di parole leuc-antropo-fagia/lic-antropia, con sostituzione di “lic-” (da “Lyk[os]”, ossia “lupo” in greco)  con “Leuk” (si veda: Treccani).

[11] [NdC] “Eine reichsdeutsche Dame”. Stekel impiega qui il ricercato aggettivo presumibilmente perché “Reich”, come sostantivo, significa “impero” e come aggettivo significa “ricco”, qualità che ha a che vedere con l’immediata prosecuzione della vignetta clinica.

[12] [NdC] Stekel scrive “Zahlen und Bezahlen”. I due verbi sostanzialmente sinonimi, ma il secondo è caratterizzato dal prefisso “be-” che, applicato a un verbo intransitivo, lo rende transitivo (si veda Duden, voce “be-”).

[13] [NdC] Zählenau si legge come Zehlenau. A sua volta, esiste il verbo zählen, che significa contare, evidentemente imparentato con il verbo zahlen.

[14] [NdC] “Gatto” è in realtà “Katze”. La forma “Katz” indica con più precisione il gatto addomesticato, cosa significativa rispetto all’immediato prosieguo della vignetta (si veda Der Deutsche Wortschatz von 1660 bis heute, voce Katz: https://www.dwds.de/wb/Katz).

[15] [NdC] Nell’originale: “er sei für die Katz”, modo di dire tedesco.

[16] [NdC] Dal verbo “schenieren” (vergognarsi, farsi timido). Si vedano in tal senso: Reinisches Wörterbuch, Wörterbuch der deutsch-lothringischen Mundarten, Wörterbuch der elsässischen Mundarten. Klein riconduce invece il nome a “nice Kidney”, ossia “bel rene” (in tedesco “Schöne Niere”).

[17] [NdC] Il sostantivo “Strauss” (“Strauß”) ha diversi significati, (mazzo, struzzo, certame). Stekel impiega qui il modo di dire: “einen Strauß mit jemandemausfechten” (più precisamente: “… hat immer einen  S t r a u s s  auszufechten”) che ho reso con: “ha sempre da litigare”.

[18] [NdC] Questa frase manca nella traduzione di Klein.

[19] [NdC] In Dichtung und Neurose scrive Stekel: “L’odio contro il padre si esprime in molti uomini in un odio altrimenti inspiegabile per il proprio nome. Questo si manifestava in modo particolarmente intenso in Grillparzer, ‘quasi non riusciva a scriverlo, tanto meno poi a vederlo stampato, all’inizio non riusciva a decidersi a farlo apporre sulle locandine teatrali, si vergognava del proprio nome, ne aveva orrore, lo malediceva![‘] (S a u e r  l. c.)” (Stekel, 1909, 31).

[20] [NdC] Le sillabe “Stök-” e “Stöck-” hanno pronuncia in un certo senso intermedia tra “Stek-” e “Stock-”. “Stökel” e “Stöckel” sono inoltre cognomi tedeschi riconosciuti, il primo essendo una variante rara del secondo. Il cognome è fatto derivare da “Stock”. Si vedano i seguenti due link al Digitales Familiennamnewörterbuch Deutschlands: Stökel, Stöckel.

[21] [NdC] Si intenda: “Stekel”.

[22] Ricordo l’intensa agitazione quando il professore di storia naturale mi chiese scherzando all’ultimo anno di ginnasio: “Stekel, quando si chiamerà Stock?”. Toccò un punto sensibile della mia anima. Allora gli diedi una risposta notevolmente sfacciata per un ginnasiale: “Quando non studierò più storia naturale, professore!”.

[23] [NdC] Kohn (o Cohn), cognome ebreo molto diffuso nell’impero Austro-Ungarico, aveva dato origine a un personaggio immaginario che condensava in sé tutti i difetti attribuiti agli ebrei dall’antisemitismo. Il tema del “piccolo Kohn” era stato proposto per una delle prime discussioni dell’allora Società psicologica del mercoledì dallo stesso Stekel, che ne aveva poi redatto un resoconto per il quotidiano Österreichische Volkszeitung del 29 agosto 1903, firmandosi con lo pseudonimo di Willy Bojan. Per una traduzione italiana dell’articolo di Stekel si vedano i seguenti link: il passo psicoanalitico e academia.

[24] [NdC] Diversa qui la resa di Klein che propone: “Many neurotics or writers choose ‘pseudonyms’ for other reasons [molti nevrotici o scrittori scelgono ‘pseudonimi’ per altri motivi]”. Qui però il senso mi pare essere che molti nevrotici diventano scrittori e sei firmano con uno pseudonimo. Altri nevrotici, non scrittori, scelgono comunque uno pseudonimo “per altri motivi”. Originale: “Viele Neurotiker schriftstellern oder wählen aus anderen Gründen ‘Pseudonyme’”.

Come si è visto nella nota precedente, anche Stekel faceva uso di pseudonimi in qualità di scrittore.

[25] [NdC] La parte “gli uomini… femminili” manca in Klein.

[26][NdC] Nelken Malvine (1870-1943), attrice. Morì a Parigi (fonte: lexm.uni-hamburg). Secondo il sito geni.com, che non riporta l’anno di morte, quello di nascita sarebbe il 1873, supportato dalla fotografia di un documentoMalvine Nelken si sposò con Stekel il 4 novembre 1894. Il 21 giugno 1923 la coppia si separò legalmente, mentre il divorzio ebbe luogo solo il 7 settembre 1938 (Lualdi, 2015, 163 n. 214; 403, n. 570).

[27] [NdC] Questo esempio è molto interessante. Sappiamo infatti dall’autobiografia di Stekel che il suo primo amore si chiamava Bertha (Lualdi, 2015, 115-6). Può darsi quindi che si stia qui riferendo nuovamente a se stesso. Nel volume autobiografico egli spiega il proprio innamoramento per Bertha associandolo alla propria madre, ma non per via del nome, bensì perché “mia madre aveva lo stesso sguardo obliquo e gli stessi occhi” (corsivo dell’autore). Nell’autobiografia Stekel non riporta mai i nomi di battesimo dei famigliari. Quanto al padre, secondo il sito geni.com si sarebbe chiamato Moritz, così come il fratello, di cui si parla in un passaggio precedente di questo articolo. Tacciono invece tutte le fonti che ho potuto consultare in merito al nome della madre: di qui l’interesse di questo punto del testo, che forse ce lo rivela. 


Commenti

  1. Come altri tue ricerche ancora una volta getti luce su aspetti che com-presi ampliano l'interpretazione e l'ascolto analitico. Particolarmente apprezzabile l'osservazione sul nome Bach. Complimenti!

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    1. Molte grazie, Francesco, per la tua costante attenzione a questi contributi e per la com-prensione che contribuisci a creare con e attorno a essi.

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