Nervosismo e nevrosi. Studio filologico e biografico preliminare

 

Arc de cercle. Fonte: Bourneville et Regnard Iconographie Photographique de la Salpêtrière (1879-1880)
Michele M. Lualdi

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Nelle opere di Freud e più in generale nei testi tedeschi coevi di neurologia e psichiatria è possibile trovare alcuni termini imparentati tra loro: i sostantivi “Nervosität” e “Nervös” [nervosismo, nervoso] e l’aggettivo “nervös” [nervoso]. La loro resa in italiano non è immediata come potrebbe sembrare, specie se si vuole conservare e dar senso alla distinzione rispetto a una seconda serie che si incontra facilmente sfogliando quegli stessi lavori:  “Neurose”, “Neurotiker”, “neurotisch” (risp.: “nevrosi”, “nevrotico” [sost.], “nevrotico” [agg.]). La prima serie è costruita su calco dei corrispettivi francesi “Nervosité” e “nerveux”, di cui il tedesco cerca di conservare la sonorità e a loro volta derivanti da latino “Nervositas”. La seconda, dal greco antico, appartiene più immediatamente al vocabolario tedesco, senza intermediazione di altra lingua contemporanea.
Cercando di ricostruire la frequenza d’uso dei termini delle due serie nei testi tedeschi per il periodo 1800-1950 con il software Ngram viewer si ottiene quanto segue, a partire dal raffronto “Nervosität” vs. “Neurose” (grafico 1).

 

Grafico 1: frequenza d’uso di “Nervosität” e di “Neurose(n)”.

La ricerca è stata eseguita tenendo conto delle varie desinenze con cui i due termini possono presentarsi e il primo risultato che si ricava è che, nel complesso, dopo un primo periodo in cui prevale il calco francese, a partire all’incirca dal 1820 diviene stabilmente più frequente il termine di origine greca.
C’è però da fare subito una precisazione. Se infatti “Nervosität” passa presto dallo stato di termine tecnico a quello di parola d’uso comune (Johnson,1855, 3), non altrettanto vale per “Neurose”, che per giunta pare indicare inizialmente e letteralmente le affezioni dei nervi, oltre al novero delle patologie cosiddette funzionali del sistema nervoso (si veda ad es. Seedorff, 1838). Solo attorno alla metà del XIX secolo, il termine viene assumendo più precisamente questo secondo significato (ad es. Canstatt,1854, 172) e può darsi che proprio la diffusione di “Nervosität” nel linguaggio quotidiano, con la conseguente e inevitabile perdita di nettezza dei suoi confini semantici (Pörksen, 1983/1986, 202, 209, 232; Pörksen, 1984/1986, 549), abbia agevolato come reazione negli addetti ai lavori un ripiego sul termine “Neurose” che venne così più utilizzato e meglio definito. 
Meno immediati i raffronti tra i sostantivi “Nervös” e “Neurotiker” (grafico 2) e tra gli aggettivi “neurotisch” e “nervös” (grafico 3), che dovendo prendere in considerazione più desinenze danno origine a grafici più fitti.



Grafico 2: frequenza d’uso dei sostantivi “Neurotiker” e “Nervös”, tenuto conto delle loro possibili flessioni.

Per quanto riguarda i due sostantivi, sommando tutte le forme ritrovate dal software si può dire con buona approssimazione che il viraggio dalla prevalenza d’uso di “Nervös” a quella di “Neurotiker” avviene poco dopo il 1910, restando poi stabile, come accade per la coppia “Nervosität”/“Neurose” ma con circa un secolo di ritardo.
Nettamente diverso è il quadro offerto dal confronto tra gli aggettivi “nervös” e “neurotisch”.

 

Grafico 3: frequenza d’uso degli aggettivi “neurotisch” e “nervös”, tenuto conto delle loro possibili flessioni.

In questo caso il termine francese è costantemente più frequente del corrispettivo di origine greca. Se però guardiamo più attentamente, scorgiamo una possibile spiegazione del controintuitivo fenomeno. Infatti i grafici 2 e 3 ci vengono proposti da Ngram con scale di frequenza d’uso (asse delle ascisse) nettamente differenti: ogni unità in ascissa del grafico 3 corrisponde a 10 unità dell’ascissa del grafico 2. Ciò significa, grosso modo, che il picco che il grafico 3 registra attorno al 1910 per “nervösen” non è quantitativamente simile al picco che il grafico 2 riporta nel 1920 per “Neurotiker”, bensì è oltre 10 volte tanto! Per contro, nonostante le apparenze, nel 1920 la frequenza d’uso di “neurotischen” e di “Neurotiker” è assai simile. 
Molto probabilmente, la sovrarappresentazione complessiva di “nervös” è dovuta al fatto che, di tutti i termini qui analizzati, è quello che conserva costantemente un duplice impiego: quello propriamente neurologico e quello psichiatrico. Ngram lo ritroverà dunque anche nei testi che si occupano di anatomia e di neuroanatomia, in cui si parlerà abbondantemente, ad esempio, di “radici nervose” e “gangli nervosi”, ma non di “nervosismo”, “nevrotico” ecc. Un’altra possibile spiegazione sta forse nel fatto incontestabile che “nervös”, non diversamente dall’italiano “nervoso”, ha conosciuto nel tempo una larghissima diffusione nel linguaggio comune, in cui certo si impiega anche “neurotisch” (allo stesso modo di “nevrotico” in italiano), ma con differenze importanti rispetto all’ampiezza dell’area semantica coperta, assai maggiore e meno definita per il primo. È dunque possibile che per questo Ngram, scandagliando anche la letteratura non specialistica, individui molte più occorrenze di “nervös” che di “neurotisch” [1]
Va comunque precisato che, per il periodo di cui ci stiamo occupando, nei testi specialistici tedeschi continuano a essere impiegati i termini di entrambe le serie. 
Proprio tale copresenza porta a interrogarsi se esse siano considerabili a tutti gli effetti equivalenti o se, almeno per gli autori dell’epoca, veicolassero sfumature diverse. Sembra essere così, se ci affidiamo alla sesta edizione del ricco Meyers Großes Konversationslexikon, pubblicata tra il 1905 e il 1909, dunque poco prima che la letteratura medica tedesca virasse decisamente, stando ai dati raccolti, dalla serie di “Nervosität” a quella di “Neurose”. Secondo Meyer, entrambi questi termini rimandano a una supposta etiologia organica funzionale a carico del sistema nervoso centrale; tuttavia è interessante che per la spiegazione della voce “Nervosität”, l’autore rinvii in prima battuta a “Nervenschwäche” (ossia “Neurasthenie”, “Nevrastenia”) mentre alla voce “Neurose” troviamo il rimando al lemma “Nervenkrankheiten” [malattie nervose], più generico e sovraordinato rispetto a “Nervenschwäche”. In ciò peraltro, Meyer non si comporta diversamente da Canstatt che, scrivendo mezzo secolo circa prima, intitolava il capitolo del suo manuale di medicina clinica: “Nervenkrankheiten (Neurosen)” (Canstatt, 1854, 172) [2]
Sembra dunque che “Neurose” sia differente da “Nervosität” almeno sotto due aspetti [3]. Anzitutto, come detto, appare meno permeabile alle inevitabili alterazioni di significato cui va in contro qualsiasi termine specialistico una volta entrato a far parte del linguaggio comune; in secondo luogo veicola un presupposto etiologico più generico e meno vincolante rispetto a “Nervosität”: si tratta cioè sempre di supporre un’origine neurologica funzionale (ossia, in buona sostanza, difficilmente comprovabile all’esame autoptico) delle patologie significate dal termine, ma senza nulla dire quanto a un’ipotetica debolezza (“Schwäche”, “Asthenie”) dei “nervi” quale fondamento del disturbo funzionale, qualunque cosa si voglia intendere per debolezza e per disturbo funzionale. 
Questo nesso di “Nervosität” con l’astenia nervosa risulta centrale: non è certo un caso che proprio la neurologia francese, da cui la tedesca aveva tratto il termine, avesse elaborato un’interpretazione dominante delle patologie funzionali del sistema nervoso partendo dal presupposto etiologico di una debolezza di quest’ultimo. Un punto di vista che trovava piena maturazione e al contempo parzialmente superamento con Pierre Janet (1859-1947). Egli infatti da un lato conservò il focus sull’asse forza-debolezza, ma dall’altro si spostò da una concezione ancorata alla neurologia verso una decisamente psicologica: dismise quindi il termine “nevrastenia” e introdusse quello di “psicoastenia” (Ellenberger, 1970, 436, 439 e segg.): postulava con ciò, alla base delle nevrosi, fenomeni di “désagrégation psychologique”, ossia di dissoluzione psicologica, una sorta di “misère psychologique” (Ellenberger, 1970, 419-20) o ancora, per dirla come Freud e Breuer in Studi sull’isteria, un’“insufficienza psicologica” (Freud, Breuer, 1892-1895, 183, 251, 261, 374). 
Janet è però solo il culmine di una più lunga evoluzione del pensiero psichiatrico, che occorre qui prendere brevemente in considerazione. Se infatti nella seconda metà del XIX secolo, la psichiatria più rinomata fu quella tedesca, prima lo era stata stata quella francese (non meno organicista e dunque strettamente legata alla neurologia), la quale a sua volta aveva mutuato alcuni concetti cardine dalle teorie sviluppatesi in Inghilterra fin dal XVIII secolo: in particolare quella di John Brown (1735-1788) sull’irritabilità e l’esaurimento del sistema nervoso quale fondamento degli stati astenici, ossia di debolezza. Il suo Elementa medicinae (1780) aveva avuto grande diffusione non solo in patria, ma anche in America (dove circa un secolo più tardi George Miller Beard (1839-1883) avrebbe introdotto su quelle basi il concetto – o meglio il termine – di “nevrastenia”) e ovviamente in Francia (Zilboorg, Henry, 1941, 299, 427, 458, 471), come appunto dimostrano le teorie di Janet. 
In base a questo brevissimo raccordo storico, sarebbe lecito attendersi sul piano linguistico che verso la metà del XIX secolo le pubblicazioni tedesche comincino ad abbandonare la terminologia importata dalla Francia e dunque inevitabilmente intrisa di certi assunti impliciti (in particolare quello sull’astenia nervosa), per dare maggior spazio a un vocabolario diverso, meno viziato e dunque più permeabile a nuovi presupposti teorici. Ci attenderemmo, in altre parole, che verso metà secolo o poco dopo (giusto il tempo necessario alla diffusione del nuovo vento psichiatrico) “Neurose” e “Neurotiker” comincino a prevalere su “Nervosität” e “Nervös”. Invece “Neurose” prende il sopravvento un trentennio prima e “Neurotiker” circa sessanta-settant’anni più tardi del previsto: un tempo un po’ troppo lungo per giustificarlo come quello necessario alla diffusione del nuovo sapere. Come organizzare i dati a disposizione? 
Il primo rilievo, quello in anticipo, trova una possibile spiegazione nel fatto già considerato che inizialmente “Neurose” pare avere un significato ben più ampio di quello che siamo abituati a concedergli, riguardando anche fenomeni più prettamente neurologici (nevriti?) e solo e proprio attorno alla metà secolo inizia a indicare più specificatamente le patologie (supposte) funzionali del sistema nervoso. Al di là dei pochi riferimenti bibliografici supra dati in proposito, si può considerare un altro elemento. Se raffrontiamo i grafici 1 e 2 ponendo nuovamente attenzione alla scala delle ascisse notiamo che, nonostante le apparenze, il sostantivo “Neurose” ha inizialmente una frequenza d’uso ben maggiore non solo di “Neurotiker”, ma anche della somma di quest’ultimo con “Nervös” e “neurotisch”, ossia degli altri termini che, a differenza dell’aggettivo “nervös”, sono più strettamente associati a un contesto neuro-psichiatrico. Diversa è invece la situazione a inizio XX secolo, che rispecchia quella attesa: la frequenza d’uso di “Neurose” diviene equiparabile a quella degli altri tre termini. Anche questo dato quantitativo supporta l’ipotesi che inizialmente “Neurose” fosse impiegato per coprire una più ampia serie di fenomeni rispetto a quelli che chiamiamo oggi “nevrotici” e che risulti per questo fin dal 1820 circa più impiegato di “Nervosität”. 
Come mai però si deve attendere fino dopo l’inizio del 1900 per vedere imporsi il sostantivo “Neurotiker” su “Nervös” con parallelo restringimento dell’impiego di “Neurose” a un senso più vicino a quello per noi abituale? Per rispondere occorre tener presente un dato ulteriore, ossia che la psichiatria francese (e quella inglese) riuscì in un solo ambito a conservare il predominio oltre la metà del XIX secolo: quello del mesmerismo e dell’ipnosi (Zilboorg, Henry, 1941, 460), strumenti terapeutici strettamente associati allo studio delle nevrosi. Tant’è che di queste ultime si iniziò a discutere più chiaramente e autonomamente nella psichiatria tedesca solo verso il 1880, ad esempio con gli studi di Carl Westphal (1833-1890) (Zilboorg, Henry, 1941, 473). Questo più tardivo sviluppo di un pensiero tedesco sui fenomeni nevrotici, indipendente e non (troppo) influenzato da quello francese, ne favorì certamente uno contemporaneo e corrispondente sul piano del linguaggio specialistico, incoraggiando il rafforzarsi di termini alternativi a quelli più usuali, con i quali esprimere nuovi punti di vista: “Neurose”, “neurotisch”, “Neurotiker” poterono diventare solo allora parole più efficaci per veicolare riflessioni mediche che, pur ancora strettamente ancorate alla neurologia, venivano sganciandosi dall’ipotesi etiologica più specifica anglo-francese degli stati astenici. Così Meyer, giusto a inizio 1900, poteva rinviare a “Nervenschwäche” per spiegare “Nervosität” ma a “Nervenkrankheiten” per “Neurose”.

Il caso di Freud

Ammessa l’esistenza di una reale differenza di fondo tra le due serie di termini qui indagate, resta comunque difficile capire quanto i contemporanei ne fossero pienamente coscienti nel momento in cui ricorrevano all’una o all’altra. Verosimile è supporre che ciò dipendesse dalla formazione del singolo autore, dalla profondità delle sue conoscenze linguistiche e dalla raffinatezza del suo stile. 

Nel caso di Freud, la sua conoscenza della lingua (o meglio, delle lingue) e la sua attenzione allo stile sono assunti che non richiedono qui particolare argomentazione: mi basti ricordare che nel 1930 gli fu conferito il premio Goethe per la letteratura (Freud, 1930). Lungo tutta la sua produzione scientifica troviamo occorrenze tanto della serie “Nervosität-Nervös-nervös” quanto dell’altra, “Neurose-Neurotiker-neurotisch”, cui si aggiunge, seppur raramente, l’impiego di “Neurotisch” in funzione di sostantivo. Quest’ultimo va probabilmente inteso come una precisa scelta stilistica dell’autore, considerata la sua scarsa presenza non solo nelle sue opere ma più in generale nel panorama letterario medico del periodo [4]. Un ulteriore dettaglio, se si vuole, a conferma della meticolosa cura con cui Freud selezionava le parole da impiegare nei suoi scritti. 
Un buon modo per approcciare l’indagine sull’impiego da parte di Freud delle serie “Nervosität” e “Neurose” ci è offerto dalla raccolta Gesammelte Werke, che nei primi 16 volumi, non diversamente da OSF, propone le opere del padre della psicoanalisi in ordine cronologico. Ecco cosa emerge a un’indagine sommaria (tabella 1).

 

Tavola 1: frequenza d’uso di “Nervosität”, “Nervös”, “nervös”, “Neurose”, “Neurotiker”, “Neurotisch”, “neurotisch” nelle opere di Freud (Gesammelte Werke). La ricerca è stata effettuata scandagliando i testi in PDF con Foxit reader 10.1, risultato più affidabile di Adobe. Si sono incluse tutte le flessioni dei termini così come i composti (ad es. “Neurosenlehre”, teoria delle nevrosi, ecc.). Si sono escluse invece le occorrenze dei termini nei vari indici e nelle intestazioni di pagina. Allo stesso modo, il numero di pagine indicato dopo il numero del volume non tiene conto delle sezioni di ciascuno di essi successive alla fine dei veri e propri testi di Freud (indici, piano dell’opera ecc…), di modo da rendere meno distorti eventuali calcoli sulla frequenza relativa di impiego dei vari termini.

Come si nota a colpo d’occhio, non solo la serie francese non viene mai del tutto abbandonata, ma nemmeno è possibile individuare alcuna concreta tendenza al suo progressivo abbandono. Infatti i termini di tale serie ricorrono con la frequenza più bassa nei volumi II-III (4 occorrenze su 700 pagine, dunque una frequenza d’uso di 0,0057), IX (1 occorrenza su 194 pagine; frequenza d’uso: 0.0052) e nel XV (1 occorrenza su 197 pagine: frequenza d’uso 0,0051), ossia verso l’inizio, nella fase centrale e verso la fine della produzione scientifica di Freud: il volume II-III altro non è che L’interpretazione dei sogni (1899), il IX contiene Totem e e Tabù (1912-13), mentre il XV è Introduzione alla psicoanalisi (Nuova serie di lezioni) (1932). Si aggiunga che le uniche due occorrenze del termine nel volume XVII, che raccoglie lavori residui distribuiti tra il 1892 e il 1938, si trovano nello scritto Compendio di psicoanalisi, del 1938! 
Suggestivo è pensare che ne L’interpretazione dei sogni Freud abbia intenzionalmente ridotto al minimo il ricorso ai termini di provenienza francese proprio per rimarcare la novità del suo lavoro. Non si dimentichi infatti che nel 1899 il vero e proprio viraggio del linguaggio psichiatrico doveva ancora avvenire: stando ai dati raccolti possiamo immaginare siano sati anni di grande fermento dal punto di vista non solo della teoria, ma anche di quell’innovazione linguistica specialistica i cui risultati si sarebbero visti di lì a pochi anni con un notevole e repentino incremento d’uso del sostantivo “Neurotiker” rispetto al rivale “Nervös” e con un più puntuale impiego di “Neurose”. Freud mostrava dunque, anche da questo punto di vista, di avere ben presente la situazione e di avere la stoffa dell’innovatore. Prova ne sia il fatto che ne L’interpretazione dei sogni la serie di origine greca è impiegata 108 volte, ossia ben 27 volte tanto quella francese (4 sole occorrenze). Di contro, nel volume immediatamente precedente (il primo di Gesammelte Werke) il rapporto è soltanto di circa 7 a 1, con 294 occorrenze della serie greca e 39 di quella francese!  
Se ci spostiamo al polo opposto, i due volumi di Gesammelte Werke in cui la serie francese è maggiormente rappresentata sono il VII (frequenza d’suo 0,1036) e l’XI (frequenza d’uso 0,1141). Ciò è dovuto in particolare a due testi lì raccolti e nei quali il tema del “nervosismo” (“Nervosität”) viene espressamente discusso. Nel VII troviamo La morale sessuale “civile” e il nervosismo [Nervosität] moderno, in cui il fenomeno viene ricondotto espressamente da Freud, nel suo breve excursus sugli autori che lo hanno preceduto, alla nevrastenia (Freud, 1908, 412 e segg.). Per parte sua, egli si distacca da questa visione diffusa e propone di individuare nel nervosismo nient’altro che una sintomatologia dovuta agli effetti tossici di forme di attività sessuale non sane (Freud, 1908, 415). In altre parole, si tratterebbe di una nevrosi attuale. Il volume XI di Gesammelte Werke contiene la serie di lezioni di Introduzione alla psicoanalisi, la ventiquattresima delle quali è dedicata al “nervosismo comune”. Qui, in modo più esplicito, è ribadita l’equivalenza tra nervosismo e nervosi attuali, delle quali una forma, forse la più indicativa, è proprio la nevrastenia (le altre essendo la nevrosi d’angoscia e l’ipocondria) (Freud, 1915-17, 539-543).
Nel complesso, la conservazione della serie francese colpisce perché, nel suo conservarsi dall’inizio alla fine delle opere di Freud, pare non risentire direttamente dello sviluppo di una specifica terminologia psicoanalitica: per fare un paio di esempi, “nervosismo” non viene del tutto soppiantato dal più tecnico e psicoanalitico “nevrosi attuali”, né un termine tanto centrale come “Neurotiker” spodesta completamente “Nervös”. Anzi, come visto Freud vi aggiunge la molto più ricercata sostantivazione dell’aggettivo “neurotisch”. I casi eclatanti di La morale sessuale ‘civile’ e Introduzione alla psicoanalisi dimostrano che, almeno in parte, “Nervosität” viene conservato proprio per quelle connotazioni, condivise con i contemporanei, che rinviano in particolar modo alla nevrastenia: non a caso si tratta di due testi espressamente rivolti a un pubblico ben più ampio della cerchia psicoanalitica propriamente detta: il primo venne infatti scritto per una rivista esterna al movimento psicoanalitico, Sexual-Probleme (prima Mutterschutz; Freud, 1908, 409), mentre il secondo, notoriamente, raccoglie le lezioni universitarie tenute dal padre della psicoanalisi tra il 1915 e il 1917. 
Tuttavia la serie francese compare anche negli scritti di Freud più specialistici. Se certo sarebbe utile e interessante indagare più dettagliatamente le varie occorrenze dei singoli termini, più in generale è lecito chiedersi come mai Freud continuasse a impiegarli, nonostante andasse sviluppando e creando uno specifico vocabolario ritagliato sulle proprie concezioni [5]. Elementi come il raffinato impiego del sostantivato “Neurotisch” e la proporzione d’impiego tra serie francese e serie greca ne L’interpretazione dei sogni rispetto ai lavori degli anni precedenti fanno ben comprendere l’intenzionalità e l’importanza delle scelte terminologiche di volta in volta compiute da Freud. Per giunta, il fatto che in alcuni contesti la serie francese sia impiegata pochissimo, chiarisce che l’intento non è certo quello di evitare ripetizioni lessicali (se così fosse, dovremmo avere una percentuale di occorrenza pressoché identica per le due serie). A mi parere due fattori, uno biografico e uno prettamente stilistico, possono aiutarci a comprendere il senso di questa conservazione. 
Quanto al primo, non possiamo dimenticare che la svolta di Freud verso lo studio delle nevrosi nacque proprio a quel crocevia tra neurologia e psichiatria francese che fu la Salpêtrière di Charcot, dove si era recato nell’ottobre del 1885 per studiare i cervelli dei bambini, giusto nel momento in cui il grande neurologo parigino si concentrava invece sulle nevrosi, appoggiandosi proprio al principale ambito di eccellenza conservato della psichiatria francese dopo la metà del secolo: l’ipnosi (Lualdi,2018, 15; Lualdi,2019, 30 e segg.). L’occasionale scelta in favore delle serie francese potrebbe dunque rivelarsi essere, in almeno alcune delle sue occorrenze, un omaggio a Charcot – maestro superato ma non dimenticato – e a una delle radici geografiche e culturali delle teorie sviluppate nel corso dei decenni dal padre della psicoanalisi. 
Qui certo la biografia si fa stile, ma quanto a quest’ultimo, un secondo elemento potrebbe rivelarsi interessante in questo contesto: la cosiddetta “variazione sinonimica”, tecnica stilistica consistente nel definire un concetto attraverso l’impiego di più sinonimi, ognuno però caratterizzato da connotazioni proprie, al fine di offrirne un’immagine complessiva a tutto tondo (Pörksen, 1974, 43 e segg.; Lualdi,2023b, 12 n. 45). Una tecnica in cui era maestro proprio uno dei modelli di stile di Freud, quel Goethe che avrebbe dato il nome al premio per la letteratura assegnatogli nel 1930. Da questo punto di vista, alternare, ad esempio, “Nervös”, “Neurotiker” (e “Neurotisch”) consente di restituire al lettore un’immagine più articolata e viva di quello che altrimenti sarebbe soltanto un “Kranke”, un malato.

Conclusione

La trama seguita fin qui ha una ricaduta concreta nel momento in cui ci si approccia alla traduzione di un testo specialistico tedesco sul tema delle nevrosi o, se si vuole, delle “malattie nervose”.
Come detto, occorrerebbe conoscere bene il particolare autore e sapere quanto fosse attento alla scelta delle parole e allo stile, quanto a fondo conoscesse la lingua, prima di poter decidere con una qualche sicurezza se conservare in traduzione una netta distinzione tra la serie di “Nervosität” e quella di “Neurose”. Se di base, personalmente, opterei a priori per tentare di salvaguardare il più possibile anche in italiano la differenza terminologica offerta dal testo di partenza (al più chiarendo preventivamente al lettore le differenti sfumature delle due serie), mi pare che questa tutela divenga quasi un obbligo nell’approccio alla pagina freudiana. Che infatti egli non solo avesse piena conoscenza del nesso tra “Nervosität” (a differenza di “Neurose”) e “nevrastenia” è chiaro da quanto scrive sia nel 1908 sia nel 1915-17. E la sua cura nella scelta del singolo termine, generalmente riconosciuta, è ulteriormente confermata, nel ristretto ambito semantico e lessicale qui analizzato, dallo sporadico e perciò stesso più significativo impiego di “Neurotisch”, manovra linguistica che si avvicina alla vera e propria passione creativa di Freud per i neologismi, cui il tedesco si presta assai più agilmente dell’italiano grazie alla possibilità di creare termini composti (come “Lustprinzip”, principio di piacere”, “Todestrieb”, “pulsione di morte”, ecc.) e che si possono rintracciare fin dai primi lavori neurologici del padre della psicoanalisi (quando, per intenderci, aveva poco più di vent’anni; Lualdi, 2021, 12, 17-8). 
Probabilmente “Neurotisch” verrebbe comunque sacrificato nella necessaria resa italiana con “nevrotico” che non si può non impiegare per le assai più numerose occorrenze di “Neurotiker”. Ma tolto questo dettaglio, che data la rarità di impiego di “Neurotisch” potrebbe comunque essere recuperato con segnalazioni in note a piè pagina, credo resti opportuno preservare il più accuratamente possibile in traduzione la distinzione “nervosismo-nervoso” da un lato e “nevrosi-nevrotico” dall’altro. Se infatti si escludono le occorrenze chiaramente neurologiche dell’aggettivo “nervoso”, la prima serie rinvia non solo al concetto di nevrastenia, ma anche a quello, più specifico e tutto interno al discorso psicoanalitico, di “nevrosi attuale”; rimandi che meritano di essere tenuti in considerazione e attentamente valutati. 
Va da sé che l’analisi del singolo caso potrebbe mettere in luce importanti eccezioni a questa impostazione traduttiva di base e guidare altrimenti le scelte di chi traduce.

Bibliografia

Canstatt C. F., Handbuchder Medicinischen Klinik. Erster Band, Verlag von Ferdinand Enke, Erlangen, 1854.  

Ellenberger H. F. (1970), La scoperta dell’inconscio, Bollati Boringhieri, Torino, 1976.

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Freud S. (1908), La morale sessuale ‘civile’ e il nervosismo moderno. In OSF, V, Bollati Boringhieri, Torino, 407-430.

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Freud S., Breuer J. (1892-1895), Studi sull’isteria. In OSF, I, Bollati Boringhieri, Torino, 161-440.

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Johnson E., Nervositätist keine Einbildung, Verlag von Adolph Stubenrauch & Co., Berlin, 1855.

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Lualdi M. M. (2019b), A un passo dall’arte. In Freud S., Jensen W., “Non è vana curiosità”. Carteggio Freud-Jensen (1907), Youcanprint, Tricase,

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Zilboorg G., Herny G. W. (1941) Storia della psichiatria, Nuove Edizinoi Romane, Roma, 2001.



[1] Resto comunque dubbioso su questa seconda ipotesi, poiché resterebbe da spiegare come mai non avvenga lo stesso per “Nervosität” rispetto a “Neurose”.

[3] Non si dimentichi che stiamo qui parlando non dell’uso specifico dei termini in psicoanalisi, ma di quello più generico nella medicina del periodo.

[4] Per approfondire la ricerca, ho inserito anche il sostantivo “Neurotisch” in Ngram, ma esso risulta talmente raro da non modificare in alcun modo le riflessioni prima proposte.

[5] Per quanto prima discusso, la domanda ha molto meno senso per l’aggettivo “nervös”, che Freud avrebbe comunque dovuto continuare a impiegare per le occorrenze usi più prettamente neurologiche.




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