La salute mentale

 

Il divano di Freud (Freud Museum, London). Fonte: commons.wikimedia

Propongo qui di seguito il testo italiano di un mio breve intervento accolto sul Correo de Psicoterapia y Salud Mental (n 21, Dicembre 2022) della Asociación Latinoamericana Sándor Ferenczi e tradotto da Juan Vicente Gallardo Cuneo.


La professione di psicoterapeuta mi porta a considerare la salute mentale da un punto di vista psicoanalitico e la passione per la storia della psicoanalisi mi spinge a partire da Freud. Infine, l’abitudine alla ricerca mi chiama a interrogare la veridicità delle informazioni che raccolgo, senza darle per scontate.
    Ora, è noto che secondo Freud la salute mentale si definirebbe come capacità di amare (lieben) e lavorare (arbeiten). Meno noto è probabilmente il fatto che non esiste alcun passaggio nei suoi scritti in cui egli lo affermi espressamente. La storia ha origine con Erik Erikson, che scrive in Childhood and Society:

 Freud was once asked what he thought a normal person should be able to do well. The questioner probably expected a complicated answer. But Freud, in the curt way of his old days, is reported to have said: 'Lieben und arbeiten' (to love and to work)” (Erikson, 1963, 264-5).

 La questione è stata riconosciuta nel 2006 dall’americano Ralph Keyes nel volume TheQuote Verifier. Who said What, Where and Wenn: è lui a indicare come vera fonte della definizione freudiana la testimonianza o meglio, il “sentito dire” di Erikson (Keyes, 2006, 135-6). Egli prosegue affermando che secondo alcuni psicoanalisti la frase sarebbe in realtà da attribuire a un allievo di Freud, Theodor Reik (1888-1969), ma nemmeno nei suoi scritti Keyes è riuscito a ritrovarla. 
    Si tratterebbe dunque di una leggenda, come molte ce ne sono nella storia della psicoanalisi e in particolare di Freud (Lualdi, 2022a). Eppure, come spesso accade, contiene una mezza verità.
    Che infatti per Freud lavoro e amore siano componenti fondamentali della salute mentale lo si può ricavare da alcuni passaggi delle sue opere. Scrive per esempio nel 1914 a proposito dell’amore:

 prima o poi bisogna ben incominciare ad amare per non ammalarsi” (Freud, 1914a, 455).

 E quell’“amare” è nell’originale proprio il lieben che lo stesso Erikson riporta in tedesco in Childhood and Society (Freud, 1914b, 151).

Vi è un secondo passaggio di Freud che, pur non citando direttamente “amare” (lieben) e “lavorare” (arabeiten), fa al caso nostro:

 Poiché la salute e la malattia non sono distinte nella loro essenza, ma solo separate da un confine quantitativo determinabile nella pratica, non ci si prefiggerà come fine del trattamento altro che la guarigione pratica del malato, il ricupero delle sue capacità di prestazioni e di godimento (Leistung- und Genußfähigkeit)” (Freud, 1903, 411; Freud, 1904 [1903], 8).

 E del resto va ammesso che la leggendaria affermazione suona molto freudiana, considerato che come l’amore (la capacità di godimento) rimanda direttamente alla pulsione libidica, così il lavoro (la capacità di prestazioni) rimanda a quel grandioso meccanismo di trasformazione pulsionale (e in particolare della pulsione aggressiva) che è la sublimazione. La salute mentale e i suoi difetti si giocano dunque nella relazione: relazione con gli specifici individui che si amano, sessualmente o in modo sublimato, e relazione con gli altri in generale, ossia nella società, attraverso il lavoro e la sublimazione pulsionale.
    Ma c’è ancora un’altra parte di verità nella leggenda. Infatti, se è vero che non fu Sigmund Freud a pronunciare la frase, fu sua figlia Anna a scriverla in un lungo e fondamentale articolo apparso in inglese nel 1945 sul primo numero della neonata rivista The Psychoanalytic Study of the Child:

     An adult neurosis is not only assessed subjectively according to suffering, but objectively according to the extent in which it damages the two main capacities of the individual: the capacity to lead a normal love and sexual life and the capacity of work” (Freud A., 1945, 135).

 Ecco comparire proprio le stesse parole di Erikson, love e work! Per giunta la frase di Anna Freud ha il pregio di scorporare espressamente le due componenti dell’amore, quello più direttamente ancorato alla pulsione (sexual life) e quello sublimato (love).
    Siamo posti in tal modo di fronte a un apparente paradosso: se infatti la pulsione è “un concetto limite tra lo psichico e il somatico” (Freud, 1915, 17), fondare su di essa la definizione di salute mentale significa ammettere che parlare di questa significa necessariamente parlare anche di salute del corpo.
    Il punto non è qui indagare le possibili ripercussioni filosofiche di una posizione che offre una prospettiva altra rispetto al dualismo cartesiano di res cogitans e res extensa (indagine che non sarei in grado di portare avanti). Si tratta piuttosto di prendere atto di come il concetto di pulsione, così discusso e apparentemente superato anche secondo certe correnti psicoanalitiche, ci costringa a interrogarci costantemente su quell’unità mente-corpo che buona parte della medicina occidentale ancor oggi fatica a riconoscere, preferendo concentrandosi sul corpo come entità a sé, o peggio ancora, su un suo singolo organo, apparato, sistema. Non si dimentichino le voci di certi pionieri della psicoanalisi (questo richiamare alla memoria è uno dei compiti degli storici della psicoanalisi): Georg Groddeck con ragione, ci ricorda Simmel, non vedeva di buon occhio la distinzione tra psicoterapia e medicina organica (Simmel,1926); e nel 1924 Sándor Ferenczi e Otto Rank mettevano in luce il fenomeno negativo del progressivo frammentarsi e specializzarsi del sapere medico, proponendo come “antidoto” la psicoanalisi quale scienza dell’uomo nel suo complesso (Ferenczi, Rank, 1924, 116).
    In questa idea di essere umano che prescinde dalle categorie dicotomiche di psiche e corpo, anima e carne, sta a mio parere un pregio della psicoanalisi e degli approcci a essa imparentati: Rank lo porterà avanti nella svolta esistenzialista delle sue teorie, una volta sganciatosi definitivamente nel 1926 da Freud (Lualdi, 2016a, 212), né si dimentichi Ludwig Binswanger, figura a cavallo tra psicoanalisi ed esistenzialismo, che metterà progressivamente al centro della propria concezione di essere umano e di terapia i concetti dell’esserci nel mondo e di meta o fine: dunque “divenire” (Lualdi, 2015, 252-3). In seno alla psicoanalisi sarà Bion a concepire l’analisi come un divenire: “divenire O”, realizzare se stessi è la possibilità, a volte pericolosa ma sempre evolutiva, che offre la psicoanalisi (Bion, 1965, 164). Per dirla con un altro autore inglese, si tratta di realizzare il proprio Vero Sé (Winnicott, 1960, 151-2), recuperando o costruendo ex novo quella capacità di gioco che nell’adulto si manifesta come passione. Eccoci così tornati all’originaria definizione “freudiana”: infatti è solo la passione che da un lato può schiudere le porte del lavoro come vera sublimazione gratificante e dall’altro consentire l’accesso alla sessualità matura, il gioco per eccellenza riservato all’adulto.
    Ma è un ritorno solo apparente, poiché molto cambia quanto a ricadute sulla terapia. Si passa infatti da una concezione pressoché standardizzata e normativa della cura, tesa a un’ideale astratto e unico di adulto sano che ama (ossia ha raggiunto la freudiana fase genitale) e lavora, a una cura come relazione di accoglimento dell’altro in quanto tale, nel rispetto del suo progetto di vita, che può dirigersi tanto verso la genitalità quanto verso mete diverse. Alcuni rapidi esempi in proposito: la personalità schizoide e quella schizotipica, che almeno in alcuni casi devono venire a patti con un’esistenza “divergente” dalla norma, con l’impossibilità di colmare la distanza che le separa dagli altri, piuttosto che costringersi a ciò che sentono come una rinuncia a se stesse in nome di relazioni (genitali) che creano in loro solo disagio. Non diversamente è stato a lungo per gli omosessuali, la cui terapia fortunatamente non può essere più concepita come “normalizzazione” del desiderio sessuale, ma persegue il raggiungimento di un’identità sessuale stabile (se questa è la domanda del paziente) o che nemmeno tocca il tema sessuale (se altre sono le domande portate in terapia) (Lualdi, 2016b). In altre parole, non il punto non è portare l’analizzando a far proprio il modello di salute mentale dell’analista. Piuttosto è l’analista che deve fare spazio dentro di sé per accogliere il Vero Sé dell’altro come primo passo per la sua realizzazione. In questo modo l’analista al lavoro (Arbeit) dimostra amore (Liebe) (nella forma sublimata del rispetto e dell’accoglienza) per l’altro: è la riprova della sua salute mentale, necessaria per prendersi cura del paziente.
    Ciò vale a mio parere ancor più nella fase storica che attraversiamo, dove le possibilità di realizzazione individuale a lungo sono state messe a dura prova dalle limitazioni imposte dalla pandemia, come ora lo sono dalla crisi globale ed energetica conseguente alla guerra in Ucraina. La stanza d’analisi può divenire in alcuni casi uno dei pochi spazi capaci di garantire l’accoglienza del Vero sé di chi si affida a noi.

 

Bibliografia

 

Bion W. R., Transformations, Karnak Books, London, 1965.

Erikson E. H. (1963), Childhood and Society. Second Edition Revised and Enlarged, W. W. Norton & Company Inc. New York, 1963.

Ferenczi S., Rank O. (1924), Traiettorie di sviluppo della psicoanalisi, Youcanprint, Tricase, 2016. Tr. it. a cura di Michele M. Lualdi.

Freud A., Indications for Child Analysis. In The Psychoanalytic Study of the Child, 1945 (I), 127-49.

Freud S. (1903), Il metodo psicoanalitico freudiano. In OSF, IV, Bollati Boringhieri, Torino, 1970, 403-12.

Freud S. (1904 [1903], Die Freudsche psychoanalytische Methode. In Gesammelte Werke, V, Imago Publishing, London, 1942, 1-10.

Freud S. (1914a), Introduzione al narcisismo. In OSF, VII, Bollati Boringhieri, Torino, 1975, 439-72.

Freud S. (1914b), Zur Einfhürung des Narzißmus. In Gesammelte Werke, X, Imago Publishing, London, 1949, 138-171.

Keyes R., The Quote Verifier. Who said What, Where and Wenn, St. Martin Griffin, New York, 2006.

Lualdi M. M., Passando da Stekel. Edizione critica dell’Autobiografia di Wilhelm Stekel, Youcanprint, Tricase, 2015.

Lualdi M. M. (2016a), Sei capitoli in cerca d’autore. In Ferenczi S., Rank O. (1924), Traiettorie di sviluppo della psicoanalisi, Youcanprint, Tricase, 2016, 123-263.

Lualdi M. M. (2016b), Omosessualità. Trame storiche, Youcanprint, Tricase, 2016.

Lualdi M. M. (2022a), Una nuova leggenda su Freud?

Simmel E. (1926), Georg Groddeck, per il sessantesimo compleanno. In Lualdi M. M. (2022b), Georg Groddeck Parte VI: Buon compleanno Mr. Groddeck! pp.  6-14.

Winnicott D. W. (1960), Ego Ditorsion in Terms of True and False Self. In Winnicott D. W., The Maturational Process and The Facilitating Environment, Karnac, London, New York, 1995, 140-52

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