Michael Bálint, "Gli ultimi anni di Sándor Ferenczi"

 

Michael Bálint (1897-1970) (fonte: ecoinformazioni.com)

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Egregio signore [1]
La pubblicazione del terzo volume dell’ottima biografia di Freud [2] di Jones ha messo me, esecutore letterario di Ferenczi, in una situazione imbarazzante. 
In questo volume, il dr. Jones esprime opinioni piuttosto dure sulle condizioni mentali di Ferenczi, specialmente nei suoi ultimi anni di vita, diagnosticando una specie di paranoia a lenta evoluzione, con allucinazioni e impulsi omicidi nella sua ultima fase [3]. Usando a fondamento la sua diagnosi, interpreta in tal senso le pubblicazioni scientifiche di Ferenczi da un lato e la sua partecipazione al movimento analitico dall’altro. 
Indubbiamente, l’ultimo periodo di Ferenczi, che si può considerare aver avuto inizio con la Genitaltheorie (Thalassa) e il libro scritto insieme con Rank, Entwicklungsziele (Traiettorie di sviluppo [4]) è assai controverso. Fu durante quegli anni che Ferenczi avanzò diverse idee che al tempo vennero percepite come fantastiche, rivoluzionarie, esagerate, senza adeguato fondamento e così via. In parecchie occasioni egli stesso dovette ritrattare o modificare l’una o l’altra idea appena proposta ed era ampiamente risaputo che Freud teneva un atteggiamento critico verso molte di esse – anche se ben lungi dal criticarle tutte. 
Tutto ciò ha creato un’aura estremamente sfavorevole, che ha reso straordinariamente difficoltosa qualsiasi fondata rivalutazione di ciò che c’era di buono e di duraturo valore tra le idee di Ferenczi. 
Se ora le opinioni del dr. Jones sulle condizioni mentali di Ferenczi non venissero controbattute da me, che ho reso disponibile l’intera corrispondenza Freud-Ferenczi per la Biografia, verrebbe a crearsi l’impressione che io, esecutore letterario di Ferenczi, suo allievo e amico intimo, sia d’accordo con esse. Questo darebbe certamente a intendere al pubblico psicoanalitico che gli scritti dell’ultimo periodo – quando, secondo il dr. Jones, la sua salute mentale declinava – non meritino doverosa attenzione. Secondo me è vero esattamente il contrario. Gli ultimi scritti di Ferenczi non solo hanno anticipato di quindici-venticinque anni lo sviluppo della tecnica e della teoria analitica, ma contengono ancora molte idee che potrebbero gettar luce su problemi attuali o persino futuri. 
È per questa ragione che desidero dichiarare che vedevo di frequente Ferenczi – almeno una o due volte a settimana – durante la sua ultima malattia, un’anemia perniciosa che portò a una degenerazione collaterale del midollo spinale rapidamente progressiva. Divenne presto atassico, durante le ultime settimane dovette rimanere a letto e negli ultimissimi giorni doveva essere nutrito: la causa immediata della sua morte fu la paralisi del centro respiratorio. Nonostante la sua progressiva debolezza fisica, mentalmente fu sempre lucido e in parecchie occasioni discusse con me nei dettagli la sua controversia con Freud, i suoi diversi progetti su come riscrivere e ampliare il suo scritto per l’ultimo congresso [5] – se mai fosse stato in grado di tenere di nuovo una penna in mano. Lo vidi la domenica precedente la sua morte [6] anche allora – benché tremendamente debole e atassico – era mentalmente del tutto lucido. 
Certo, come in ognuno di noi, vi erano in Ferenczi alcuni tratti nevrotici, tra i quali una permalosità e un bisogno estremo di essere amato e apprezzato – accuratamente descritti dal dr. Jones. È inoltre possibile che il dr. Jones, nel giungere alla sua diagnosi, abbia avuto accesso a fonti diverse da quelle da me citate. In ogni caso, secondo me la principale differenza tra il dr. Jones e me non è relativa tanto ai fatti quanto alla loro interpretazione, il che suggerisce fortemente che sia dovuta, almeno in parte, a qualche fattore soggettivo. Che la nostra divergenza abbia o meno altre origini, vorrei proporre che per il momento noi si prenda nota del nostro disaccordo, affidando alla prossima generazione il compito di individuare la verità.

Suo, ecc.

Michael Bálint.

Il dr. Jones commenta: 
Certo capisco il dr. Bálint nella sua difficile situazione. Naturalmente non mi viene in mente di dubitare della fedeltà della sua memoria o dell’accuratezza delle sue osservazioni. Ha però omesso di accennare al fatto che esse sono ben compatibili con una diagnosi più seria, dal momento che è una caratteristica dei pazienti paranoici quella di ingannare amici e famigliari mostrando una completa lucidità in molti ambiti.
Né mi aspetto che il dr. Bálint dubiti della mia bona fides [7]. Ciò che ho scritto sugli ultimi giorni di Ferenczi si è basato sulle dichiarazioni di un testimone oculare degno di fiducia.
Il mutevole valore degli ultimi scritti di Ferenczi resta, come osserva giustamente il dr. Bálint, controverso. Io ho semplicemente dichiarato il mio accordo con le opinioni tanto fermamente espresse da Freud, Eitingon e da tutti coloro che conoscevo nel 1933, secondo cui tali scritti sono stati in certa misura influenzati da fattori personali soggettivi. 
Ernest Jones. 

*   *   *

 Qualche considerazione 

Che nello scrivere la biografia di Freud, uscita tra il 1953 e il 1957, Ernest Jones non sia stato né tenero né giusto nei confronti di Sándor Ferenczi è cosa risaputa. Forse meno noto è che già due decenni prima, all’indomani della morte del pioniere ungherese, Jones coglieva (con pessimo gusto, mi sia permesso) l’occasione del necrologio per l’International Journal of Psycho-Analysis per assestare un primo colpo:  

… ciò che molti considerano il suo lavoro più ragguardevole, Versuch einer Genitaltheorie [Thalassa], sembra aver più folgorato che stimolato la mente dei suoi lettori e le opinioni differiscono ampiamente se ciò dipenda dal fatto che le idee lì espresse anticipano troppo i tempi o se siano troppo soggettive. Può ben darsi che una generazione futura vi troverà ispirazione per un importante avanzamento nel pensiero, o forse no. Probabilmente molti sono stati scoraggiati da uno studio intensivo e dal seguire la linea di pensiero lì dischiusasi dal fatto che negli scritti successivi Ferenczi mostrò inconfondibili segni di regressione psichica nel suo atteggiamento verso problemi fondamentali della psicoanalisi. Ferenczi ha brillato come una cometa, ma non fino alla fine” (International Journal of Psycho-Analysis, 1933 (14), pp. 465-6; corsivi dell’autore; parentesi quade mie). 

Fu però solo sul finire del 1957, dopo l’uscita del terzo volume della sua biografia di Freud, che si levarono diverse voci a tutela di chi da sé ormai non poteva più difendersi. 
In novembre Sylva Grossman, che con il marito stava raccogliendo materiale per quella che sarebbe diventata, otto anni più tardi, la prima monografia biografica su Groddeck (Grossman, Grossman, 1965), contattava Elma Pálos, figliastra di Ferenczi e prima ancora suo grande amore, con questa richiesta: 

Ho avuto il Suo indirizzo dalla signora Groddeck. Sto scrivendo una biografia del dr. Groddeck e naturalmente il dr. Ferenczi vi entra in gioco quale caro amico. Frau Groddeck, la Sig.ra de Forest, Margarete [sic] Honegger, William Inman e io concordiamo tutti che le affermazioni di Jones nel 3° vol. della biografia di Freud siano false. – Spero che Lei mi possa dare una descrizione veritiera degli ultimi anni di Ferenczi, di modo che il mio libro possa rettificare gli errori di Jones” (Groddeck, Ferenczi, 2006, 196). 

Pronta la risposta di Elma Pálos: 

Cara Sig.ra Grossman: è accluso, molto succintamente, ciò che posso dirLe sull’ultimo anno del dr. Ferenczi. Prima di ciò, era un uomo completamente preso e il più interessato al suo lavoro, ma dopo il lavoro sapeva rilassarsi e godersi la vita, la compagnia e la natura. Come ogni essere umano, aveva i suoi problemi, ma sapeva affrontarli e risolverli. Né noi, che vivevamo con lui, né i suoi amici intimi notammo mai alcuna anomalia nel suo comportamento e nel corso dei suoi pensieri. Il suo humor non lo abbandonò mai” (Groddeck, Ferenczi, 2006, 196-7). 

Come scrisse alla vedova di Georg Groddeck, Emmy, il 25 novembre 1957, Elma riceveva in quel periodo richieste anche da parte di altri tre non meglio identificati analisti, che chiedevano il suo aiuto per sollecitare una rettifica da parte di Jones delle sue affermazioni su Ferenczi. Lei stessa si decise a scrivere in Inghilterra agli amici di Ferenczi, pregandoli di metterla in contatto con l’amico e un tempo medico personale del patrigno, Lajos Lévy, emigrato in America nel 1954, per invitarlo a perorare anch’egli la causa (Groddeck, Ferenczi, 2006, 197). 
Tra gli amici cui si rivolse, anche Michael Bálint, esecutore letterario di Ferenczi, il quale si espose pubblicamente inviando al direttore dell’International Journal of Psycho-Analysis una lettera, apparsa sul primo fascicolo del 1958 e sopra proposta in traduzione. 
Bálint inizia esattamente dallo stesso punto nel quale Jones, nel necrologio di Ferenczi di oltre vent’anni prima, aveva incominciato a criticare Ferenczi: Thalassa. Così come conclude in modo perfettamente sovrapponibile a quello scritto: rinviando al giudizio dei posteri. 
Il suo discorso sembra cioè voler andare al di là della biografia di Freud scritta da Jones, o meglio ancora volersi porre prima e al di qua di essa, controbattendo fin dalle origini le distorsioni poste in essere dal suo autore. E dunque, quando commenta che forse Jones avanza la sua diagnosi basandosi su “fonti diverse da quelle da me citate”, ossia il carteggio tra Ferenczi e Freud, Bálint lascia intendere qualcosa di ben diverso se non di esattamente opposto: la diagnosi di Jones in realtà non ha fonti, considerato che egli già la esprimeva nel necrologio in cui, prima ancora di avere letto l’intenso carteggio tra Ferenczi e Freud, prima ancora di avere tra le mani la documentazione necessaria per farsi un quadro articolato della situazione, aveva parlato piuttosto laconicamente di “regressione psichica”. 
Si noti, la risposta di Jones sulla questione, fondamentale in storiografia, delle fonti, risulta alquanto debole: non fa che appellarsi a un testimone oculare, per giunta anonimo. Come dunque valutare l’affidabilità di una simile testimonianza? Si deve forse pensare che Jones si stia riferendo a se stesso? 

La lettera di Bálint, se certo non fu piacevole di Jones, lasciò scontenti anche diversi sostenitori di Ferenczi, in particolare Erich Fromm. Questi da un lato, il 14 giungo di quello stesso anno, pubblicava su Saturday Review un articolo in cui, nell’ambito di una dura recensione della biografia di Jones, criticava aspramente e squalificava il ritratto degli ultimi anni di Ferenczi che vi emergeva; dall’altro lato, lo stesso giorno scriveva una lettera alla psicoanalista Izette de Forest lamentando la codardia di Bálint, troppo incline, a suo dire, al compromesso con Jones (Antonelli, 1996). 
Va però a mio parere riconosciuto anzitutto a Bálint il merito di essere stato il primo a far sentire pubblicamente la sua voce, oltretutto sull’organo ufficiale dell’Associazione psicoanalitica internazionale, con ciò esponendosi a tutta la comunità psicoanalitica. 
La lettera presenta inoltre un passaggio davvero lungimirante. Scrive infatti Bálint:

Gli ultimi scritti di Ferenczi non solo hanno anticipato di quindici-venticinque anni lo sviluppo della tecnica e della teoria analitica, ma contengono ancora molte idee che potrebbero gettar luce su problemi attuali o persino futuri.

E se pensiamo all’attuale dibattito e al concentrarsi dell’attenzione e di tanti sforzi terapeutici sul tema del trauma, non possiamo che dargli ragione. E dando ragione a lui, la riconosciamo anche a Ferenczi, incarnando quella “prossima generazione” al cui giudizio si appellavano tanto Bálint quanto, prima di lui, Jones. 

Bibliografia

Antonelli G., Il mare di Ferenczi. La storia, il pensiero, la vita di un maestro della psicoanalisi, Di Renzo Editore, Roma, 1996. 

Ferenczi S. (1933), Confusione di lingue tra gli adulti e il bambino. Il linguaggio della tenerezza e il linguaggio della passione. In Ferenczi S., Opere. Volume Quarto 1927-1933, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2002, 91-100.

Ferenczi S., Rank O. (1923), Traiettorie di sviluppo della psicoanalisi, Youcanprint, Tricase, 2017.

Groddeck G., Ferenczi S., Briefwechsel, Stroemfeld Verlag, Frankfurt a. M. und Basel, 2006.

Grossman C., Grossman S., The Wild Analyst, Braziller, New York, 1965.

Jones E., Obituary. Sandor Ferenczi, 1873-1933. In International Journal of Psycho-Analysis, 1933 (XIV), 463-6. 

Jones E. (1957), Vita e opere di Freud. III. L’ultima fase (1919-1939), Il Saggiatore, Milano, 1962.

Lualdi M. M., Prefazione. In Ferenczi S., Rank O., Traiettorie di sviluppo della psicoanalisi, Youcanprint, Tricase, 2017, 7-17.

Masson, J. M. (1984), Assalto alla verità. La rinuncia di Freud alla teoria della seduzione, Mondadori, Milano, 1984.



[1] Titolo originale: “Sandor Ferenczi’s Last Years”. In International Journal of Psycho-Analysis, 1958 (XXXIX), 68. In traduzione ho ripristinato gli accenti sui nomi propri ungheresi, assenti nell’edizione originale. Corsivi nell’originale.

[2] Jones, 1957.

[3] Jones, 1957, 208-11.

[4] Ferenczi, Rank, 1924. Nell’originale: “Developmental Aims”, ossia “Obiettivi di sviluppo”, che tuttavia non corrisponde al titolo con cui il volume era uscito già nel 1925 nella traduzione inglese di Caroline Newton, che suona invece: “The Development of Psychoanalysis”. Sulle curiose vicende legate al titolo rinvio a Lualdi, 2017, 8.

[5] Si tratta di “Confusione di lingue tra gli adulti e il bambino. Il linguaggio della tenerezza e il linguaggio della passione” (Ferenczi, 1933). Secondo la ricostruzione di Masson, anche qui Jones agì nell’ombra. Infatti, non potendo evitare la pubblicazione in tedesco dell’allora molto controverso lavoro, fece in modo di impedirne l’uscita in inglese, di modo che il testo non fosse accessibile alla maggior parte dei membri dell’Associazione psicoanalitica internazionale. L’edizione inglese vide la luce solo nel 1949, ossia 16 anni più tardi (Masson, 1984, 140-2).

[6] Dunque il giorno immediatamente precedente. Ferenczi morì infatti il 22 maggio del 1933, un lunedì. Piccolo particolare: nella biografia di Freud, Jones indica erroneamente come data del decesso il 24 maggio (Jones, 1957, 211). Non si tratta di una svista della traduzione italiana, l’errore è già nell’edizione originale inglese.

[7] In latino nell’originale.

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