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Faust e Mefistofele, locandina di Richard Holand Holst (1868-1938) (fonte: wikimedia) |
Michele M. Lualdi
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A partire da una citazione di Freud
dal Faust che pare
non essere finora stata segnalata, il lavoro indaga sistematicamente le altre
allusioni e citazioni di versi dalla tragedia goethiana, in 35 carteggi e nei
volumi degli scritti psicoanalitici nell’edizione italiana di Boringhieri (OSF).
Emerge una forte associazione da un lato tra la figura di Mefistofele e i testi
psicoanalitici, dall’altro tra quella di Faust e le lettere alla fidanzata. Vengono
proposte alcune ipotesi per l’interpretazione dei risultati e per il perfezionamento
della ricerca.
Cavalier Freud
Come noto, le pagine sia pubbliche
sia private di Freud sono ricche di citazioni dirette e di allusioni ai grandi
della letteratura, non solo tedesca, che egli ben conosceva ed amava. Una di
queste, che mi risulta finora sfuggita agli studiosi, si trova nella sua lettera
a Fließ del 22 febbraio 1897:
“Al prossimo congresso dovrai
chiamarmi ‘professore’; voglio essere un gentiluomo come altri lo sono” (Freud,
1895a, 286).
Questa, almeno, la traduzione di Bollati
Boringhieri, che non rispetta però del tutto il testo originale:
“Auf dem
nächsten Kongreß nennst Du mich ‘Herr Professor’; ich will
ein Kavalier sein wie andere Kavaliere” (Freud, 1985b, 271).
Ho già discusso altrove (Lualdi,2020, 28-9)
di alcuni problemi di traduzione posti da questo passaggio e dalle righe immediatamente
seguenti, giungendo a proporre la seguente resa:
“Al prossimo congresso mi chiamerai
‘professore’; voglio essere un cavaliere come altri cavalieri…”
Al tempo non avevo colto la
presenza di una chiara allusione al Faust di Goethe e precisamente a una
battuta di Mefistofele nella scena della Cucina della strega:
“Ich bin ein Cavalier wie andre Cavaliere
[sono un cavaliere come altri cavalieri]” (Goethe, Faust, 125).
La prima riflessione è dunque una
semplice conferma di quanto concludevo allora, ossia l’importanza di una
traduzione che resti aderente all’originale (in Boringhieri l’aderenza sembra essere
più alla versione inglese, che parla di “gentleman like other gentlemen…”; Freud, 1985c, 253), così aumentando
le possibilità di cogliere eventuali rimandi ad altri testi. Vedremo alla fine un
ulteriore riprova di come simili attenzioni in fase di traduzione possano
aiutare ad andare oltre la lettera del testo.
Una seconda, più interessante e di
più ampio respiro, riguarda il complesso delle citazioni e allusioni di Freud ai
versi del Faust, segnalate dai curatori dei suoi epistolari e della sua Opera
Omnia Psicoanalitica (OSF).
Gli epistolari freudiani e il Faust
I dati
Ho consultato 35 carteggi (Carotenuto,
1994; Doolittle, 1973; Freud, 1960; Freud, 1966; Freud,1971; Freud, 1974b; Freud,
1985b; Freud, 1989; Freud, 1993; Freud, 2002; Freud, 2011; Freud, 2013; Freud,
2016a; Freud, 2016b; Freud, Abraham, 2009; Freud, Bernays Ma., 2011; Freud,
Bernays Ma., 2013; Freud, Bernays Ma., 2015; Freud, Bernays Ma., 2019; Freud, Bernays
Mi., 2005; Freud, Binswanger, 1992; Freud, Bleuer, 2012; Freud, Eitingon, 2004;
Freud, Ferenczi, 1992; Freud, Ferenczi, 1998; Freud, Ferenczi, 2003; Freud,
Ferenczi, 2005; Freud, Freud A., 2006; Freud, Groddeck, 2008; Freud, Jensen,
2019; Freud, Pfister, 2012; Freud, Rank, 2012; Freud, Zweig, 1968; Schnitzler,
1987; Weiss, 1970), trovando che, su un totale di 45 tra citazioni e allusioni
a versi del Faust [1]
(compresa quella da me individuata), 16 sono di Mefistofele e altrettante del
protagonista, Faust. Le restanti 13 si distribuiscono tra vari personaggi nessuno
dei quali supera le 2 occorrenze. La scena più rappresentata è quella dello
Studio, che ricorre 7 volte, seguita da Notte e Cucina della Strega, che
compaiono 5 volte ciascuna. Questi dati sono di per sé
inconcludenti, poiché è prevedibile che, essendo Faust e Mefistofele i due
personaggi principali della tragedia, siano anche quelli maggiormente citati.
Anzi, la perfetta distribuzione delle frequenze tra i due pare scoraggiare
ulteriori approfondimenti. Eppure, la banalità dei risultati cela un paio di
sorprese, che una grossolana analisi statistica porta alla luce.
I rifermenti ai versi del
Faust,
si concentrano in 13 dei 35 carteggi considerati, che nel complesso possiamo
provare a dividere in due grandi gruppi: la corrispondenza principalmente scientifica,
con medici e altri psicoanalisti (19 carteggi) e quella con familiari, artisti
e pazienti, in cui la discussione della psicoanalisi in quanto teoria, tecnica
e disciplina è o totalmente assente o minima (15 carteggi)
[2].
Ora, su 19 carteggi “psicoanalitici” 9 contengono riferimenti faustiani e 10 no
(la proporzione si aggira dunque attorno al 50%); per i carteggi “non
psicoanalitici” la situazione è invece nettamente differente: in 4 abbiamo citazioni
e allusioni mentre in 11 no: la percentuale scende dunque a 36%. La differenza 50%
vs 36% non è da poco e invita ad analizzare meglio la distribuzione delle
citazioni separatamente nei due gruppi.
Per quanto riguarda gli epistolari non
psicoanalitici, su 14 occorrenze, 9 sono di Faust e 1 Mefistofele; la scena più
rappresentata è quella dello Studio (3 volte), mentre Notte è presente solo 1 volta
e Cucina della Strega non è mai chiamata in causa. Altro dato interessante è
che, fatta eccezione per due allusioni contenute nelle lettere di gioventù all’amico
Silberstein (Freud, 1989), le altre 12 sono tutte in tre dei quattro volumi del
carteggio con Martha Freud. Più in particolare, dei 9 richiami a Faust, ne
troviamo qui ben 8.
Per contro, le 31 occorrenze
rilevate nei carteggi psicoanalitici sono così distribuite: 9 riferimenti a
Faust e 15 a Mefistofele. La scena più rappresentata, seppur di poco, è quella
della cucina della strega (5 volte) seguita a ruota da Notte e Studio (4 volte)
e da Prologo in cielo (3 volte).
Le opere psicoanalitiche di Freud e
il Faust
Ho
eseguito l’analisi basandomi sulle occorrenze di passi del Faust
individuati dai curatori dell’edizione italiana Bollati Boringhieri (OSF [3]).
Su un totale di 40 tra citazioni e allusioni [4]>,
in ben 24 casi si tratta di battute di Mefistofele mentre al dottor Faust la
parola viene data solo 9 volte. Quanto alle scene, invece, ha una netta
prevalenza Studio, con 23 occorrenze, seguita a lunga distanza da Notte (4). Cucina
della strega è richiamata da Freud solo 2 volte.
Dati
complessivi: carteggi e OSF
Su un
totale 85 citazioni e allusioni, 40 riguardano Mefistofele – quasi la metà –, mentre
solo 25, ossia ancor meno di 1/3, si riferiscono al protagonista, Faust. Le restanti
20 si distribuiscono in modo piuttosto uniforme tra altri personaggi. Quanto alle
scene, si conferma la netta predominanza di Studio (30 volte), che distanzia di
molto Notte (9 volte) Cucina della strega (7 volte), mentre le restanti non
superano le 4 occorrenze. Per la precisione, Studio è l’ambientazione di due
scene, ma considerato che si tratta di due scene consecutive, che ai fini del presente
lavoro si possono ben considerare come una sola resta comunque evidente la sua
significatività.
Analisi dei dati
I personaggi
Nei carteggi si evince un’associazione
di Faust con quelli non psicoanalitici e di Mefistofele con gli psicoanalitici.
Il nesso tra il diavolo goethiano e la disciplina freudiana è ampiamente comprovato
dai dati tratti da OSF e si riconferma a livello di dati aggregati (carteggi
psicoanalitici + carteggi non psicoanalitici + OSF).
È come se Freud, nel momento in cui
scrive di psicoanalisi, si identificasse con Mefistofele, in sostanza parlando
per bocca sua. Per altro, fatto ancor più suggestivo dell’intervento di un
processo di identificazione, sappiamo di almeno un’occasione in cui, in una
seduta analitica, si espresse concretamente ricorrendo alle parole del
demone. È Stekel a raccontarcelo, rievocando una seduta della sua breve analisi
con Freud (Lualdi, 2015, 89, n. 79 e 196 n. 277):
“Si arrivò anche all’analisi di un
sogno, con la quale Freud voleva dimostrarmi una fissazione a mia madre. Ero
stupito. La mia inclinazione verso mia madre era quella di un normale essere
umano, ero stato in grado di staccarmi da lei presto. Durante la mia infanzia
mi erano capitati due sogni di incesto. In base a conversazioni con amici
dovevo considerarli come normalmente umani. Non ero consapevole di un rapporto
della mia vita sessuale con mia madre, che viveva molte miglia distante e devo
ancor oggi sottolineare che resto della stessa opinione. Il cosiddetto complesso
d’Edipo è una normale manifestazione. Solo l’eccesso lo rende un fenomeno
patologico. Richiamai l’attenzione di Freud sul fatto che ero di un altro
parere.
Disse, scherzando: ‘Lo sapete! Con
questa bevanda in corpo, vedo Elena in ogni donna [Sie wissen ja! Mit diesem
Trank im Leibe, seh ich dann Helena in jedem Weibe]’ (Stekel, 1926, 540-1).”
La battuta conclusiva di Freud non
è che una rivisitazione degli ultimi due versi della scena della Cucina della
strega, pronunciati da Mefistofele:
“Du siehst mit diesem Trank im Liebe
/ Bald Helenen in jedem Weibe [Con questo filtro in corpo vedrai, ben presto,
in ogni donna un’Elena]” (Goethe, Faust, 127).
Benché Stekel non sia autore sempre
degno della massima fiducia, a rendere credibile il suo ricordo non è solo il
fatto che inventare una battuta del genere, oltre che operazione non immediata,
non avrebbe un gran senso, ma soprattutto il ripetersi di questi due versi nel
carteggio con Jung. Il 16 aprile 1909, infatti, Freud scrive al collega e allora
amico svizzero:
“…
grazie all’attenzione enormemente accresciuta dell’inconscio, la quale vede
Elena in ogni donna…” (lettera di Freud a Jung del 16 aprile 1909; Freud 1974b,
237).
D’altra parte a proposito di
significatività delle figure infernali, non si dimentichi che l’esergo de L’interpretazione
dei sogni chiama in causa, si potrebbe dire invoca, proprio gli inferi.
Non meno forte pare il nesso tra la
figura di Faust e i carteggi non psicoanalitici, più precisamente con la
fidanzata e futura moglie Martha Bernays. L’unico altro riferimento a Faust, in
questo gruppo di testi, è in una lettera dell’adolescenza (1872!) all’amico
Eduard Silberstein, mentre non se ne trovano nelle lettere alla cognata Minna e
in quelle ai figli, Anna compresa (che pure, oltre che figlia divenne anche sua
collega!).
Questa selettività nel richiamarsi
alla figura di Faust fa supporre che la presenza di citazioni e allusioni in Freud
(almeno di quelle qui indagate), non sia da considerarsi solo un elemento caratteristico
del suo stile, ma dipenda anche, in qualche misura, dallo specifico
destinatario: è evidente che per bocca del personaggio goethiano Freud veicola
a Martha Bernays qualcosa che ha a che fare specificamente con il loro rapporto,
un rapporto di intenso amore, struggente perché vissuto per anni in pressoché
costante distanza e assenza, come il ricchissimo carteggio tra i due fidanzati dimostra
inequivocabilmente; qualcosa che lo distingue da tutti gli altri rapporti affettivi,
per quanto intimi, come quelli con i figli (in particolare con Anna; Marchioro,
2017). E infatti il Faust che Freud chiama in causa nelle sue lettere alla
fidanzata è principalmente quello innamorato e passionale.
Ciò, di rimando, porta a chiedersi
come mai Freud citi il Faust (in particolare Mefistofele) scrivendo ad
alcuni colleghi e collaboratori ma non ad altri. Poco probabile, a mio parere,
che ciò dipenda dal grado di profondità del rapporto: basti pensare che nel carteggio
con Rank non vi è alcuna citazione, mentre se ne trovano in quelli con Groddeck
e con Abraham, benché Freud avesse con il primo, almeno fino al 1926, anno
della loro definitiva separazione, una relazione assai più profonda che con gli
altri due. Ipotesi da non escludere è che, semplicemente, in certi carteggi vi siano
riferimenti al Faust che ancora non sono stati colti e portati a conoscenza:
del resto è proprio da una situazione di questo tipo che ha preso il via la presente
ricerca.
La netta separazione tra la
presenza di Faust nelle lettere alla moglie e quella di Mefistofele nei
carteggi psicoanalitici trova un interessante parallelismo nella vita concreta
della famiglia Freud: sappiamo infatti che la moglie non si interessò mai alla disciplina
del marito, né questi cercò mai di interessarla ai propri “mefistofelici” studi.
Le
scene
Per
quanto riguarda le scene, la situazione è differente: quello che infatti si
coglie nei carteggi psicoanalitici, ossia una prevalenza della scena della Cucina
della strega (probabilmente di per sé poco significativa considerata la
differenza minima rispetto al numero totale di occorrenze delle altre scene),
non trova riscontro a livello di dati aggregati, che invece sono coerenti con
quanto messo in luce dai carteggi non psicoanalitici: una netta prevalenza della
scena dello Studio.
Tale
scena, come detto, è in realtà costituita da due blocchi: nel primo Mefistofele
si manifesta e si presenta a Faust, nel secondo questi accetta di stringere il patto
con lui. Nella misura in cui Mefistofele è associato alla psicoanalisi, la
scena dello Studio potrebbe prestarsi a rappresentare l’incontro di Freud con
la psicologia, il padrone cui si pone al servizio, come Mefistofele con Faust. Scrive
infatti a Fließ il 25 maggio 1895:
“sono
un uomo che non può vivere senza una mania, una passione divorante, senza un
tiranno, per dirla con Schiller, e questo è diventato tale per me. Nel servirlo
non conosco limiti. È la psicologia”.
E
Mefistofele a Faust, nel momento in cui gli offre i propri servigi (scena dello
Studio):
“Io
voglio di qua obbliarmi al tuo servizio, ad un tuo cenno non riposare e non
aver tregua” (Goethe, Faust, p. 81).
L’attribuzione
di questo significato alla scena dello Studio può apparire in contrasto con il
fatto che essa prevale anche nelle lettere alla fidanzata, in cui al contempo è
prioritaria la figura di Faust: quello di Studio non è infatti per nulla un Faust
romantico. In realtà, nei quattro volumi di quel carteggio Freud-Martha Bernays,
la maggior frequenza della scena dello Studio non è associata a Faust: su
un totale di tre volte in cui essa compare, solo un caso riguarda Faust (negli
altri due si tratta di parole di Mefistofele, qui vincente diavolo tentatore…).
In questo caso, dunque, l’esiguo dato numerico della frequenza con cui ricorre la
scena dello Studio oscura il fatto più significativo che la maggior parte delle
occorrenze di Faust è tratta da ben altre scene.
Approfondimento
Se
per quanto riguarda la frequenza di comparsa della scena dello Studio nei
carteggi non psicoanalitici siamo portati a concludere che tale dato non ha particolare
peso e significato e anzi, diviene piuttosto un elemento di ostacolo per ulteriori
analisi, vale la pena indagare cosa si può dire della prevalenza della scena
della Cucina della strega nei carteggi psicoanalitici, considerato che
numericamente è altrettanto poco spiccata. In questo caso, tuttavia, la
possibilità che essa abbia davvero un qualche significato particolare per Freud
è suggerita dal fatto che, come visto, la ritroviamo anche in uno stralcio di
vita vissuta di Freud (e di Stekel), non solo nei suoi scritti.
Ora,
uno degli aspetti che rendono importanti e preziosi i carteggi freudiani è il
loro essere sovente una sorta di contrappunto agli scritti scientifici del
padre della psicoanalisi, sì che ci illuminano sulle correnti emotive e conflittuali
(in altre parole, sulla dimensione più umana) sottese all’evolvere delle teorie
psicoanalitiche: sono un poco, potremmo dire, come l’enorme pentolone in cui ribollono
misteriosi ingredienti nella cucina della strega goethiana e dalla quale ci si
attendono filtri capaci di potenti azioni sull’uomo. Gli scritti scientifici
somigliano più ai prodotti di questa cottura, destinata di per sé (come appunto
i carteggi) a rimanere segreta, nascosta agli occhi del mondo.
La
Cucina della strega ben si presta dunque a rappresentare i dietro le quinte, le
necessarie premesse della vera e propria opera psicoanalitica, il ribollire
delle idee contenuto nei carteggi. Questo corrisponde del resto al senso della
scena nell’economia del Faust: da lì prende infatti concretamente avvio la
diabolica avventura di Faust nel mondo: il suo aspetto ringiovanisce grazie a
un filtro magico e nel frattempo si risveglia in lui il desiderio d’amore.
Pe
parte loro, negli scritti pubblici di Freud troviamo solo due riferimenti alla scena
della Cucina della Strega, tracce significative di queste fasi preparatorie. Riporto
qui sotto i due brani delle opere freudiane, sottolineando le parti tratte dalla
Cucina della strega.
“Il presente
frammento della storia del trattamento di una giovinetta isterica dovrebbe mostrare
come l'interpretazione onirica intervenga nel lavoro analitico. Esso mi permetterà
altresì per la prima volta di sostenere pubblicamente, con un'ampiezza che non
permetterà più malintesi, una parte delle mie vedute sui processi psichici e
sulle condizioni organiche dell'isteria. Di tale ampiezza non ho certo più
bisogno di scusarmi, giacché si ammetterà che le grandi esigenze poste
dall'isteria al medico e al ricercatore non possono essere soddisfatte da un disdegnoso
spregio, ma solo da uno studio amorevole ed approfondito. Invero: Nicht Kunst und Wissenschaft allein, Geduld will bei dem
Werke sein [Non solo perizia e dottrina, Pazienza esige un tal lavoro!]” (Freud, 1901, 312; parentesi quadre
nell’originale).
“Vale forse la
pena, a scanso di equivoci, di esaminare piu da presso che cosa si intende
quando si parla di "liquidazione permanente di una richiesta
pulsionale". Certo non che quest'ultima viene fatta sparire di modo che
non si fa sentire mai piu. Ciò sarebbe in generale impossibile, né sarebbe in
alcun modo auspicabile. No, si intende qualcosa di diverso, che si può all'incirca
definire come ‘imbrigliamento’ della pulsione: ciò significa che quest'ultima,
perfettamente inglobata nell'armonia dell'Io, diventa accessibile a tutti gli
influssi che promanano dalle altre tendenze presenti nell'Io, e non segue piu
un proprio autonomo binario per raggiungere il soddisfacimento. Alla domanda
per quale strada e con quali mezzi ciò accada, non è facile rispondere. Dobbiamo
dirci: ‘E allora non c'è che la strega.’ Ebbene, questa strega è la metapsicologia”
(Freud, 1937, 508).
Si
tratta in entrambi i casi – naturalmente – di battute di Mefistofele ed è interessante
notare come si pongano l’uno agli esordi e l’altro verso la fine della parabola
produttiva di Freud. Toccano inoltre l’aspetto pratico e clinico della
psicoanalisi (il primo) e quello in assoluto più teorico, ossia la
metapsicologia (il secondo), in tal modo abbracciando i due aspetti principali
della psicoanalisi.
La
seconda citazione, inoltre, chiama direttamente in causa la strega, figura che se
lì rappresenta per via di metafora la componente teorica e metapsicologica
della psicoanalisi, è in grado anche, su di un altro e ben più concreto piano,
di raccordarsi a quella pratica a clinica: già Charcot infatti evidenziava il
nesso tra stregoneria e isteria, tra strega e siterica e Freud seguiva l’indicazione
studiando, nel 1897, il noto manuale degli inquisitori, il Malleus Maleficarum,
alla ricerca di paralleli con e manifestazioni isteriche (Freud, 1985a, 257) [5].
Freud
e Mefistofele: considerazioni e speculazioni
L’identificazione
del Freud analista con Mefistofele è senz’altro più evidente in alcuni passaggi
che in altri. All’episodio ricordato da Stekel si può aggiungere quello con cui
si è aperta la ricerca, poiché anche lì Freud parla in prima persona. L’elemento
aggiuntivo è che non si limita a riferire alla propria persona ciò che
Mefistofele dice di sé, ma vi immette un’evidente dimensione di desiderio,
rinviando a un futuro caldamente auspicato il poter essere come Mefistofele,
ossia un “un cavaliere come altri cavalieri”.
In
diverse altre occorrenze, specie negli scritti scientifici ma non solo, viene a
mancare l’uso della prima persona e con ciò l’identificazione risulta meno
evidente e più sfuggente. Tenerne conto può però aiutarci a cogliere sfumature
di significato e ad avanzare suggestive ipotesi. Vorrei farei in tal senso un
solo esempio, riprendendo quella che è forse la citazione più nota di Freud
dalla scena della Cucina della strega.
Il
9 marzo 1909 scrive a Jung un’importante lettera (sottolineo la citazione dal
Faust):
“Anche a me è arrivata notizia di quella paziente che
Le ha insegnato l’ingratitudine nevrotica dell’amante disprezzata. Muthmann
[uno psichiatra tedesco], durante una visita, parlò di una certa dama che si
era presentata a lui come la Sua amante… Ma eravamo entrambi concordi nel
supporre che le cose stessero altrimenti e non si potessero spiegare senza
tener conto della nevrosi di chi ce le aveva raccontate. Essere calunniati e
rimanere scottati dall’amore con cui operiamo, sono questi i pericoli del nostro
lavoro… Stai a tu per tu col diavolo e avresti paura di una fiammella?” (Freud, 1974b, 227; parentesi quadre mie).
Jung
ha scritto a Freud, in lettere precedenti, della spinosa situazione con Sabina Spielrein
e Freud cerca di chiarirgli i problemi del controtransfert (termine che
introdurrà per la prima volta nel carteggio poco più tardi, nella lettera del 7
giugno 1909, sempre in relazione alla questione Spielrein; Freud, 1974b, 248).
Chiude l’intervento parlando per bocca di Mefistofele, evidentemente nel
tentativo di ridimensionare i termini del problema e le angosce di Jung. Il
diavolo è dunque la pulsione con cui si opera e che si ravviva nella stanza d’analisi
(il transfert), mentre la fiammella sono le calunnie oppure il rimanere
scottati (il controtransfert).
Ora,
sulla scorta dell’ipotesi qui proposta si può dare al passaggio anche una
lettura differente, che non esclude la precedente ma vi si aggiunge, uscendo
però dall’orbita della relazione terapeutica e sentimentale Jung-Spielrein. Nella
misura in cui vi è un’identificazione tra Freud e Mefistofele, allora quel
diavolo con cui Jung è a tu per tu non è tanto (o solo) il transfert, ma anche il
padre della psicoanalisi. Dunque? Freud sta forse dicendo a Jung che non deve
avere paura di quella situazione transferale e controtransferale proprio perché
sta a tu per tu con lui, il diavolo, e sotto la sua ala non può succedergli
nulla di male? Oppure gli sta facendo notare che se sa gestire le immani quote
pulsionali (omosessuali; Freud, 1974b, 102) inevitabilmente circolanti nel
rapporto tra loro due, non ha certo da spaventarsi per quelle fiammelle eterosessuali
momentaneamente accesesi nel rapporto con la Spielrein?
Si dovrebbe
in quest’ottica considerare che il rapporto di Freud con Jung è in qualche modo
analogo a quello di Mefistofele con Faust: in entrambi i casi vi è un tentativo
di dominare l’altro (curiosamente, tentativi entrambi votati a identico fallimento).
E ancora, che il rapporto di Freud con Jung diviene rapidamente – e ne sono
coscienti entrambi – simile a un rapporto padre-figlio: e si ricorderà a tal
proposito che nel saggio in cui più direttamente Freud indaga la figura del
diavolo, la interpreta come rappresentante del padre e del cattivo rapporto con
lui (Freud, 1922, 537 e segg.; Di Nola, 1987, 15 e segg., Russell, 1988, 239).
Naturalmente,
un’ultima domanda merita attenzione: cosa potrebbe giustificare una simile
identificazione tra Freud e Mefistofele? Si tratta della questione più importante
dal punto di vista della fondazione del discorso fatto sin qui e anche di
quella più difficile da risolvere. Vorrei comunque avanzare un’ipotesi, per
quanto assai speculativa.
Mentre
il legame tra padre e diavolo è già stato accennato nelle righe precedenti, occorre
trovare qualcosa che raccordi Freud simultaneamente a entrambi e che passi
possibilmente per la sua infanzia: per quanto a prima vista improbabile, il
piede equino potrebbe fare al caso nostro.
Sul
fronte del diavolo, era credenza diffusa in Germania che avesse il piede equino
e che fosse da questo riconoscibile. Non stupirà che la cosa venga ricordata
proprio nella scena della Cucina della strega del Faust e che Mefistofele
aggiunga trattarsi di una malformazione tanto intrinseca alla sua natura che non
può liberarsene, dovendo limitarsi a dissimularla con artifici come i “polpacci
finti” (Goethe, Faust, 125; Russell, 1988, 213-4).
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Il dialogo tra Dio e Mefistofele
nella scena del Prologo in cielo del Faust. Ben visibile il piede equino
del diavolo (fonte: wikimedia). |
Quanto
invece a Freud, il piede equino aveva evidentemente una certa presa su di lui. Il
più noto nella sua biografia è senza dubbio quello da lui attribuito alla Gradiva
dell’omonimo racconto di Wilhelm Jensen. Fu proprio l’insistenza su questo
elemento a far perdere alla fine la pazienza al poeta e romanziere che, rispondendo
seccamente al padre della psicoanalisi, interruppe il breve carteggio con lui
(Freud, Jensen, 2019). La sicurezza con cui Freud formulò quell’ipotesi e la
fermezza con cui la sostenne in diversi contesti (con Jensen, con Jung, nella
Società psicoanalitica di Vienna e infine nel suo saggio dedicato alla Gradiva;
Lualdi, 2019a)
era certamente il frutto delle pregresse esperienze come neurologo presso il
primo istituto pediatrico pubblico di Vienna, diretto da Max Kassowitz: qui per
un decennio, tra il 1886 e il 1896, si era occupato di bambini affetti da
paralisi cerebrale infantile, argomento su cui aveva scritto ben tre monografie
(Freud, Rie, 1891; Freud, 1893a; Freud 1897). La paralisi infantile provocava
non di rado la malformazione del piede equino, segno cui Freud decise di
dedicare l’incipit della sua terza e più importante monografia, vera e propria summa
neurologica, La paralisi cerebrale infantile. E lo fece in modo molto
particolare, tanto tipico del suo stile quanto poco di quello degli scritti
medico-scientifici dell’epoca, ossia chiamando in causa quale esemplificazione
(naturalmente a suo dire; Ramachandran, Aronson, 2006) un’opera d’arte: il quadro del
1642 di Jusepe de Ribera Le pied-bot (Freud, 1897, 99). Se già l’audacia del riferimento artistico in un
testo medico suggerisce che ci si trovi di fronte a qualcosa di significativo
per Freud, al punto da portarlo sconvolgere le usuali regole della
comunicazione scientifica (che mi risulti, non si trova nulla di paragonabile
in nessuno dei suoi altri scritti neurologici), la sensazione si fa più
consistente quando si apprende che egli conservò sempre una copia del quadro nella
sala d’attesa del suo studio: aveva dunque ben due piedi equini, l’altro
essendo quello della Gradiva, il cui bassorilievo teneva nello studio, vicino
al divano analitico. Perché
tale persistente interesse per il piede equino? Qui ci si può legare al
rapporto con il padre, anche se la trama si fa così fitta che devo rinviare ad
altra sede per l’argomentazione, limitandomi a segnalare, in quanto dirò più
sotto, le principali conclusioni colà raggiunte (Lualdi, 2019a,
75 e segg.; Lualdi, 2019b,
27-41 e 67-75; Lualdi, 2020). In
diverse occasioni Freud si definì “paralizzato”, affetto da una “paralisi”,
impiegando esattamente lo stesso termine, “Lähmung” (e “gelähmt”, “paralizzato”)
con cui si indicava e si indica in medicina la paralisi cerebrale (“Cerebral- o
Zerebralähmung”). La centralità della paralisi per Freud, quale fenomeno
tanto neurologico quanto psichico non si evince solo da certe sue scelte
terminologiche nel parlare di sé, ma anche dal fatto che negli stessi anni in
cui si occupava di paralisi cerebrale (e in cui in più occasioni si definiva “paralizzato”
nelle lettere a Fließ), lavorava anche al suo studio sulle paralisi isteriche
(Freud, 1893b).
Nei
miei lavori sopra segnalati ho cercato di mostrare come, alla base di questo senso
di paralisi, si possa porre il rapporto di Freud con il padre, in particolare naturalmente
quello dell’infanzia, nei suoi risvolti edipici e aggressivi
[6].
Ora
il piede equino si presta bene a rappresentare e mettere in simbolo la fantasia
della paralisi, quantomeno per chi conosce i sintomi della reale paralisi
infantile. Una messa in simbolo, quasi una sublimazione, che fece di un blocco
la fonte di spinte creative (il ricco lavoro sulle paralisi cerebrali
infantili, il saggio sulla Gradiva, che inaugurava l’estetica freudiana e l’applicazione
della psicoanalisi alle opere d’arte). Ecco dove l’inconscio poteva mettere il
suo zampino, creando l’invito all’identificazione con Mefistofele, zoppo per
definizione: il paralitico dal piede equino si dotava per questa via di enormi
poteri, che poteva mettere senza sosta al servizio d’altri, in specie della
psicoanalisi.
Non
a caso la più precoce citazione fatta da Freud del Mefistofele della Scena
della Cucina è proprio quella da me individuata e segnalata in apertura al
lavoro, che risale al febbraio 1897: un momento che si pone non solo al termine
della sua decennale esperienza neurologico-pediatrica con i bambini affetti da
paralisi cerebrale, ma esattamente all’indomani dell’uscita del volume in cui
Freud citava il dipinto di Ribera, La paralisi cerebrale infantile,
avvenuta agli inizi dello stesso mese (Lualdi, 2020, 55). E, fatto curioso, in
quella stessa lettera, subito dopo essersi messo nei panni di uno zoppo Mefistofele,
si dichiara affetto da una “paralisi [“Lähmung”] intellettuale”. Peccato
che, nella traduzione di Boringhieri, al posto di “paralisi”, si trovi “crisi”,
con ciò facendo sfumare una ricca serie di possibili percorsi allusivi e sotterranei:
ecco l’ulteriore riprova, promessa in apertura, dell’importanza di certi
dettagli nelle traduzioni.
Limiti
e possibili sviluppi della ricerca
Il
lavoro qui presentato non può che essere considerato preliminare e
richiederebbe approfondimenti su diversi fronti.
Anzitutto
l’impianto statistico può essere raffinato sia in termini di strumenti di
analisi (si pensi per esempio al test del Chi quadro per verificare le –
presunte – significatività rilevate nelle differenze di distribuzione dei dati)
sia, più in generale, nel modo di codificare i dati raccolti. Non è infatti
scontato che sia corretto attribuire identico peso a ciascuna delle citazioni e
allusioni trovate. Si dovrebbe tener conto anzitutto della quantità di battute
che i vari personaggi della tragedia goethiana hanno al suo interno, così come
della relativa lunghezza di ogni scena, poiché questo rende differenti le loro
probabilità di venire citati.
Allo
stesso modo è stato attribuito egual peso ai vari carteggi freudiani, ma il valore
di ogni citazione andrebbe in realtà ponderato per rapporto alle dimensioni (meglio
se misurate in termini di quantità di parole) del volume in cui si trova.
Grossolana
è anche la distinzione tra carteggi psicoanalitici e non psicoanalitici, poiché
fondata esclusivamente sull’identità e sul ruolo dei corrispondenti di Freud.
Ma naturalmente ci sono lettere ai colleghi che non riguardano minimamente la
psicoanalisi e questo suggerirebbe di discriminare più attentamente il contesto
di ogni singola citazione.
Un’ulteriore
analisi dovrebbe riguardare la ricerca di quali citazioni si ripetono nelle
pagine freudiane, di modo da individuare le più frequenti e analizzarne la
possibile significatività.
Infine,
non è da escludere, come già detto, che diverse allusioni e citazioni siano
ancora sparse nei vari testi in attesa di essere colte: si tratterebbe di intraprendere
un immane lavoro di scandaglio sistematico degli scritti di Freud, fatto a
partire da una approfondita conoscenza della tragedia di Goethe.
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