A Sándor Ferenczi: omaggio minimo

 

Sándor Ferenczi (1873-1933) (fonte: wikicommons)

Michele M. Lualdi 

Traduzione in spagnolo (a cura di Juan Vicente Gallardo Cuneo, ALSF-Chile)

L’edizione completa del carteggio tra Groddeck e Ferenczi, uscita in tedesco nel 2006 [1] e che sto in questi mesi traducendo, contiene, tra il materiale sinora inedito, diverse lettere di Gizella Ferenczi, moglie di Sándor Ferenczi. I particolare, quella del 2 novembre 1933, scritta a poco più di cinque mesi dalla morte del pioniere della psicoanalisi (22 maggio 1933), oltre a consentirci di conoscere e sentire più da vicino il profondo amore per il marito da poco scomparso, riporta in alcune righe il racconto degli ultimi momenti di vita di quest’ultimo.

Ferenczi soffriva di anemia perniciosa, una malattia dei globuli rossi dovuta a carenza di vitamina B 12 e incurabile fino alla scoperta di quest’ultima, avvenuta solo nel 1948 [2]. Com’è noto, tanto Freud quanto la storiografia psicoanalitica classica furono particolarmente ingiusti nel commentare e tramandare il racconto degli ultimi, sofferti, della vita di Ferenczi, alimentando la leggenda del suo sprofondare in una psicosi senza ritorno. Nella lettera del 29 maggio 1933 a Jones – a solo una settimana dalla morte del fidato amico – Freud scriveva che Ferenczi era affetto da “pseudologia phantastica”, un modo edulcorato di indicare paranoia. Per parte sua, Jones dipinse a più riprese, nella sua ampia biografia di Freud, un Ferenczi supponente, squalificandone in particolare gli ultimi lavori in quanto frutto di una mente rovinata dalla psicosi paranoide [3].

Di seguito le poche ma toccanti righe di Gizella Ferenczi [4].

…il 22 maggio, giorno della sua morte – ci parlò ancora – lesse il giornale (che gli cadeva continuamente dalle mani) e chiamò Sarolta [5] a sé per dirle: Sarolta verrà un “cambiamento”. Poi però vedemmo che d’improvviso si era indebolito. Volevamo tutti e 3 prendere ancora un caffè nero insieme[;] Sándor lo voleva freddo – e quando arrivammo al suo letto – vedemmo che è [6] la fine.


Gizella Altschul (1866-1949) (fonte: alsf-chile)




[1] Ferenczi S., Groddeck G., Briefwechsel Ferenczi/Groddeck, (hrsg. von Michael Giefer), Stroemfeld/Roter Stern, Frankfurt a. M. und Basel, 2006.

[2] Ferenczi S., Grodeck G., cit., p. 180 n. 2.

[3] Lualdi M. M., Buongiorno inconscio. Stekel, Adler, Jung, Abraham, Ferenczi, Youcanprint, Tricase, 2014, pp. 152-3.

[4] Ferenczi S., Groddeck G., cit. p. 184.

[5] Sarolta Alcsuti, sorella di Gizella Ferenczi, viveva in quel periodo con i Ferenczi, reduce da un intervento di doppia cataratta.

[6] Tempo presente nell’originale (“es zu Ende geht“), evidentemente una svista di Gizella Ferenczi.

Commenti

  1. Grazie per la rievocazione ma soprattutto per la "nitidezza" della tua presentazione storica.

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  2. Grazie a te, Francesco, costantemente presente nelle esplorazioni (grandi e piccole) nella storia della psicoanalisi e dei suoi pionieri

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